La portabilità della posizione pensionistica complementare
Autore | Stefano Giubboni |
Pagine | 461-480 |
Stefano Giubboni
La portabilità della posizione pensionistica complementare
S: 1. Introduzione. - 2. La disciplina originaria e l’evoluzione del regime della portabilità ante
l. n. 243 del 2004 e d.lgs. n. 252 del 2005. - 3. Le s oluzioni prefi gurate nella legge deleg a per la
riforma del sistema pensionistico e quelle accolte nel d.lgs. n. 252 del 2005. - 4. Gli orientamen-
ti interpretativi della dottrina e i dubbi di incostituzionalità del decreto legislativo delegato. -
5. La prospettiva del diritt o comunitar io e la trasferibili tà transfro ntaliera de i diritti a pensione
integrativa.
1. La materia della portabilità della posizione pensionistica complementare e, al suo
interno, la questione del trasferimento del contributo dovuto dal datore di lavoro, costi-
tuiscono, per comune osservazione1, uno dei profili più sensibili e controversi della di-
sciplina oggi organicamente dettata dal d.lgs. n. 252 del 2005 in attuazione della delega
conferita con la legge n. 243 del 2004. È su di essa che, come ben noto, si sono non a
caso consumati i momenti forse più tesi e concitati del già tormentato iter di approva-
zione della delega da parte del Governo, col convulso succedersi di schemi di attuazione
di segno sostanzialmente diverso in seno al Consiglio dei Ministri prima della discussa
scelta al fine operata dal testo del d. lgs. n. 252/2005.
Ma è a ben vedere sin dal primo intervento legislativo organico in materia, ad ope-
ra del d.lgs. n. 124 del 1993, che il tema della portabilità della posizione individuale
all’interno del sistema previdenziale complementare costituisce uno dei punti di snodo
più rilevanti della disciplina, oggetto, infatti, più d’ogni altro, con la sola sintomatica
eccezione degli altrettanto decisivi profili fiscali, di ripetuti interventi di modifica, ed in
qualche modo di “correzione”, da parte del legislatore, già con la l. n. 335 del 1995, e
poi ancora col d.lgs. n. 47 del 2000.
L’elevata sismicità di quest’area della disciplina della previdenza complementare de-
riva dal fatto che essa si trova al centro – o forse è senz’altro epicentro, per proseguire
nella metafora – di quella costitutiva dialettica tra libertà individuale e dimensione col-
lettiva dei fondi pensione2, che nel micro-sistema considerato si atteggia, già nel d.lgs. n.
124 del 1993 ed ancor più nei successivi sviluppi normativi, in termini contrassegnati
da una marcata specialità, se non da una vera e propria «eccentricità»3, rispetto ai prin-
cipi generali del nostro diritto sindacale.
1 V., per tutti e da ultimo, Tursi 2007, 546.
2 Così già Viscomi 1997, 55; Alaimo 2001, 223; sia da ultimo consentito di richiamare Giubboni 2007,
spec. § 6 e 7.
3 Cfr. Sandulli 2006, 177, alla nota 18, che, sia pure con riferimento al diverso (ma connesso) profilo del
conferimento tacito del trattamento di fine rapporto (d’ora innanzi Tfr), osserva come lo stesso finisca per
risultare «l’effetto di una, più o meno forzata, estensione dell’efficacia delle fonti istitutive», e come, quindi,
anche da tale punto di vista il sistema pensionistico complementare continui «a porsi in rotta di collisione
con le tecniche di estensione dell’efficacia del contratto collettivo».
462 Studi in onore di Edoardo Ghera
È, infatti, costitutivamente derogatoria, rispetto ai generali principi in tema di effica-
cia oggettiva del contratto collettivo di diritto comune4, la scelta – compiuta con la disci-
plina del 1993 e poi costantemente ribadita – di fondare sulla libertà individuale, e quindi
sulla sovrana valutazione di convenienza del singolo, l’adesione del lavoratore al fondo di
previdenza complementare istituito dalla fonte collettiva applicabile al rapporto.
La scelta di radicare proprio nella libera valutazione e nella volontà del singolo il
primo momento di libertà della previdenza privata5, ha avuto, anzi, quale inevitabile
conseguenza, che, già nella pregiudiziale occasione d’intervento rappresentata dalla pri-
ma organica disciplina della materia del 1993, il rapporto tra interesse individuale ed
interesse collettivo, siccome derogatorio ed eccentrico rispetto ai principi generali, si
ponesse su di un piano naturalmente inclinato verso la progressiva promozione della
autonomia individuale. Sicché poteva esattamente osservarsi come proprio per effetto di
quella pregiudiziale scelta del legislatore del 1992-1993, nella dialettica tra autonomia
collettiva ed individuale fosse quest’ultima ad assumere «un ruolo prevalente»6, e ciò pur
all’interno di un sistema che – sotto ogni altro profilo, a cominciare da quello relativo
alla gerarchia tra fonti istitutive e tra fondi chiusi ed aperti – tendeva a riassegnare alla
prima la naturale posizione di preminenza.
L’opzione del legislatore di fare della libertà di adesione «principio costitutivo del
sistema» della previdenza complementare7 – per quanto certamente non necessitata (ol-
tre che discutibile)8 – trovava, peraltro, e continua ovviamente a rintracciare, il suo na-
turale referente di legittimazione costituzionale nel c. 5 dell’art. 38 Cost. Fintantoché
perdurerà quella opzione, è invero gioco forza imputare a detto referente costituzionale
la libertà di scelta del lavoratore, cui pure risulti applicabile un contratto collettivo isti-
tutivo di una forma pensionistica complementare9. Come pure è giocoforza – allo stato
attuale del “diritto vivente” della previdenza complementare – giustificare alla stregua
del secondo comma della medesima disposizione costituzionale la forte funzionalizza-
zione che allo stesso sistema è impressa dal legislatore (ed in modo viepiù accentuato da
quello del 2005) nella prospettiva del concorso alla garanzia della adeguatezza dei mezzi
adeguati alle esigenze di vita nella vecchiaia10.
Benché risulti innegabilmente foriera di aporie e contraddizioni11, questa irrisolta
ambivalenza del referente costituzionale del diritto della previdenza complementare as it
stands delinea, nondimeno, il quadro – ampio ed aperto – di riferimento delle scelte
compiute ad oggi dal legislatore nella effettiva articolazione della dialettica tra autono-
4 Il rilievo per cui la libertà individuale di adesione costituisce una deroga alla efficacia ed alla inderogabilità
del contratto collettivo, consentendo al lavoratore di rifiutare il suo naturale effetto normativo, è comune in
dottrina: v. tra gli altri Persiani 2001, 730; Alaimo 2001, 218; Bonardi 2007a, 572; Bollani 2007, 599 e 600.
5 L’altro è ovviamente costituito dalla libertà di istituire forme pensionistiche complementari, libertà che il
d.lgs. n. 124 del 1993 rimetteva – in primo luogo ed in via privilegiata – alla parti sociali ed alle dinamiche
della contrattazione collettiva; cfr. diffusamente Ciocca 1998.
6 Alaimo 2001, 218.
7 Bessone 2000, 70.
8 Cfr. soprattutto Pessi 1999 e, più di recente, Id. 2005.
9 Cfr. fra gli altri Alaimo 2001, 228, e da ultimo, diffusamente, Bonardi 2007a, 572 ss.
10 V., per tutte, C. Cost. 28.7.2000 n. 393, MGL, 2000, 965, con nota di Pessi.
11 V. solo Cinelli 2000 e Ghera 2001.
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