Brevi appunti sugli ammortizzatori sociali

AutoreFranco Liso
Pagine597-612
Franco Liso
Brevi appunti sugli ammortizzatori sociali
S: 1. Le proposte della commissione Onofri in materia di ammortizzatori e la riforma mancata. -
2. Le disorganiche innovazioni nel frattempo intervenute. - 3. Il protocollo del 23 luglio 2007. - 4.
Ammortizzatori e servizi all’impiego. - 5. La necessità di innovazioni più incisive.
1. Il tempo trascorso dalle proposte formulate della commissione Onofri in materia
di ammortizzatori sociali1 è passato invano. Quelle proposte, che prospettavano un ra-
zionale ed equo sistema universalistico di protezione dei lavoratori sia nel caso di sospen-
sione temporanea del lavoro sia nel caso di perdita del posto di lavoro, sono rimaste so-
stanzialmente senza seguito2. Le esigenze di riordino e di razionalizzazione della
disciplina della materia sono rimaste immutate in tutta la loro intensità, perchè il siste-
ma continua ad essere iniquo ed inef‌f‌iciente. Iniquo, perché presenta forti sperequazioni
di tutela tra le varie categorie di lavoratori; inef‌f‌iciente, perché in genere si esaurisce
nella semplice erogazione di reddito senza favorire il reinserimento lavorativo.
Si deve peraltro riconoscere che, se la commissione Onofri ha indicato una giusta
direzione per la razionalizzazione del sistema degli ammortizzatori, non ha invece fatto
molto per illuminare il sentiero che sarebbe stato necessario percorrere al f‌ine di raggiun-
gere l’ obiettivo formulato. Si può dire che probabilmente questo lo si vede nella stessa
sommarietà delle indicazioni relative alla precisa conformazione dell’obiettivo da rag-
giungere.
1 La commissione formulava l’auspicio di un sistema universalistico che prevedesse tre livelli di intervento.
Il primo, relativo ai casi di sospensione temporanea del lavoro, avrebbe dovuto essere basarsi su di un mec-
canismo tipo cassa integrazione guadagni, a carattere assicurativo, con costi ricadenti sulle categorie benef‌i-
ciarie (datori di lavoro e lavoratori, con percentuali, da ripartire tra i due sulla base di accordi) e con presta-
zione a durata limitata in un determinato arco di tempo (12-18 mesi nell’arco di 5 anni), correlata (entro
certi limiti) alla contribuzione versata dai singoli e con tasso di copertura del 70%. Il secondo livello, relati-
vo ai casi di perdita del posto, avrebbe dovuto sostituire i trattamenti di disoccupazione, ordinari e speciali,
di integrazione salariale straordinaria e di mobilità. Anche esso avrebbe dovuto avere base assicurativa ed
essere al più integrato dal risorse della f‌iscalità generale. La prestazione avrebbe dovuto avere un collegamen-
to con l’ammontare dei contributi versati ed essere decrescente, con temperamenti collegati a situazioni
particolari (carichi familiari, età). La prestazione avrebbe dovuto essere subordinata ad un nesso forte con gli
uf‌f‌ici per l’impiego ed alla disponibilità ad accettare occasioni lavorative congrue. Il terzo livello avrebbe
dovuto essere rappresentato da un intervento ulteriore, di carattere assistenziale, da erogare dopo l’esauri-
mento delle precedenti prestazioni. La commissione auspicava, inoltre, nel campo dell’assistenza, l’ istitu-
zione di un reddito minimo vitale per i soggetti in condizioni di particolare bisogno, gestito in forma decen-
trata, legato alle più generali politiche assistenziali e mirato al reinserimento lavorativo.
2 Si può fare eccezione, da un lato per l’indicazione della necessità di un forte collegamento degli ammor-
tizzatori con le politiche attive, che sul piano formale ha ricevuto crescenti riconoscimenti da parte del legi-
slatore e, dall’altro, per la proposta del reddito minimo vitale (il legislatore lo ha sperimentalmente introdot-
to nella forma del reddito di inserimento, ma l’istituto non ha attecchito, salvo qualche esperienza ripresa a
livello regionale).
598 Studi in onore di Edoardo Ghera
In altri termini, poiché la riforma implicava che si dovessero mettere le mani in un
groviglio di tutele specif‌iche e particolaristiche, peraltro presidiate da consolidati equilibri
di potere, sarebbe stato opportuno essere più espliciti sui molti passaggi che sarebbero
stati necessari per ricomporre il nuovo quadro. Ad esempio - per indicare l’elemento più
rilevante - non si faceva cenno alcuno alla corposa e particolare realtà del trattamento di
disoccupazione nel settore agricolo e del trattamento con requisiti ridotti del settore extra-
agricolo, che costituiscono problematici modelli di tutela del lavoro discontinuo.
È molto probabile che questa indeterminatezza abbia poi f‌inito per rif‌lettersi nella
disposizione con la quale nel 1999 venne data delega al Governo per il riordino della
materia3. Sappiamo che questa delega rimase inattuata. Il giudizio unanime è che la ra-
gione dell’inattuazione fosse da ricercare nella presenza della improbabile condizione
che la delega venisse attuata senza aggravio del bilancio dello Stato. È mia opinione,
invece, non si debba escludere che abbia potuto contribuirvi anche il fatto che la delega,
per la sua sostanziale genericità, non aveva certo provveduto ad individuare i complessi
nodi tecnici e soprattutto politici che è necessario af‌frontare e sciogliere per realizzare
una vera ristrutturazione del sistema.
Le medesime considerazioni possono nella sostanza rivolgersi anche ai tentativi
compiuti successivamente (il Patto per l’Italia del 2002 ed il disegno di legge governativo
848-bis del medesimo anno), nei quali si riproponeva l’esigenza di un sistema più equo
ed ef‌f‌iciente. Sappiamo che essi non sono neanche approdati alla riformulazione di una
delega ad opera del legislatore.
Ci si potrebbe sof‌fermare sulle diversità di accenti, che non sono certo mancati, tra
le due esperienze di quelle diverse legislature. Ma, a mio avviso, il giudizio di fondo non
cambierebbe. Può sintetizzarsi nell’af‌fermazione che, in f‌in dei conti, ci si è confrontati
soltanto con le mimiche della riforma.
2. Abbiamo detto che nel tempo trascorso dalla proposte della Commissione Ono-
ri le esigenze di riordino e di razionalizzazione del sistema degli ammortizzatori sono
rimaste inalterate. In verità, si può dire che quelle esigenze si sono anche fatte più pres-
santi a seguito di ulteriori interventi del legislatore il quale, facendosi quasi sempre spu-
doratamente scudo di una formula ormai divenuta rituale («In attesa della riforma degli
ammortizzatori…»), ha continuato ad intervenire con l’attitudine di sempre; attitudine
che ci si aspettava venisse corretta una volta per tutte dalla legge organica del 1991 (la
legge n. 223, che realizzava una importante razionalizzazione dell’area della cassa inte-
grazione), e che invece ha avuto modo di riproporsi prepotentemente anche dopo la sua
approvazione. Mi riferisco all’attitudine ad intervenire solo sulla spinta delle emergenze
e di pressioni particolari. In questo modo si è f‌inito per accentuare ancor più la profon-
da disorganicità del sistema, sempre più frutto di stratif‌icazioni alluvionali, che talvolta
lo rendono dif‌f‌icilmente leggibile agli stessi addetti ai lavori e sortiscono l’ef‌fetto di per-
petuare ed aggravare le sue profonde e ben note iniquità.
3 Art. 45, c. 1, della legge n. 144 del 1999.

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