La formazione e il 'lavoro di qualità': la prospettiva europea

AutoreBruno Caruso - Daniela Comandè
Pagine211-227
Bruno Caruso e Daniela Comandè
La formazione e il “lavoro di qualità”: la prospettiva europea*
S: 1. “Il tempo del sapere”. - 2. Il diritto sociale alla formazione nella rif‌lessione dei giuslavoristi.
- 3. La formazione come κοινή delle politiche sociali europee. Dal piano Delors alla direttiva del
Consiglio sulla f‌lexicurity. - 4. Formazione e nuova qualità del lavoro. - 5. Il diritto individuale alla
formazione come diritto sociale di “ultima generazione”.
11. Al di là di ogni facile retorica, è assodato che l’importanza di informazione, co-
municazione e conoscenza, quali componenti strutturali del lavoro che cambia2, costitu-
isca un imprescindibile elemento di rif‌lessione anche per la cultura giuslavorista.
Nella letteratura corrente è ormai quasi un luogo comune il riconoscimento del
fatto che il sapere sia diventato un fattore strategico nella pianif‌icazione aziendale, oltre
che elemento strutturale del modo di creare valore e di produrre; esso si incorpora nelle
merci e nei prodotti ma determina pure il modo in cui si organizza il lavoro e come la
persona si relaziona con la macchina3. Tutto ciò non può non aver ricadute su una disci-
plina, il diritto del lavoro, che nella relazione storica, giuridica e sociale della persona con
il lavoro (nel nostro ordinamento costituzionale alla base del suo patto fondativo di le-
gittimazione: art. 1) trae il proprio paradigma scientif‌ico.
Scopo di questo breve articolo è mettere in evidenza come un istituto, considerato
tradizionalmente marginale nello spettro variegato degli istituti riconducibili al diritto
del lavoro – la formazione professionale che del sapere è uno dei tradizionali veicoli –
abbia assunto, in relazione a quanto detto prima, rilievo centrale sia nella rif‌lessione dei
giuslavoristi, sia nella attività di regolazione, avente ad oggetto il lavoro, degli attori
pubblici e privati.
Al punto che il riferimento alla formazione professionale, insieme ad altri obiettivi
generali qualif‌icanti (elevato livello di occupazione, protezione sociale adeguata, lotta
all’esclusione sociale, livello elevato di istruzione e tutela della salute) è oggetto della
nuova clausola sociale inserita nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea4.
* Il contributo è stato concepito e realizzato congiuntamente dagli autori.
1 Così signif‌icativamente si intitola un volume, impostato sotto forma di dialogo, in cui si tenta di formu-
lare una serie di domande e risposte sul lavoro che cambia, Ranieri, Foa 2000.
2 Dore 2005; Paci 2005. Vedi anche Bonomi, Rullani 2005; Ranieri 1999; Moro 2006; Accornero 2006.
3 La letteratura sull’economia della conoscenza è ormai sterminata, tra i tanti v. Callieri 1998; Boutang
2002; Rullani 2004; Gorz 2003; Foray 2006; Mokyr 2004; Aa.Vv. 2006; Frey, Livraghi, Pappadà 2003;
Pilati 2005. In ambito più strettamente giuslavoristico sempre attualissime le rif‌lessioni di Vardaro 1986,
spec. 111 ss.
4 Si veda il punto 17 dell’art. 2 (art. 2F), pt. B del Trattato di Lisbona (in GUE, C 306 del 17.12.2007, p.
1 ss.) che inserisce l’art. 5 bis nel TCE (la cui nuova denominazione sarà Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea). Riproponendo la formula dell’art. III-117 del Trattato che adotta una Costituzione
per l’Europa, si af‌ferma che «nella def‌inizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione tiene
conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un’ade-
212 Studi in onore di Edoardo Ghera
Tale rilevanza della formazione per il lavoro, che ne determina una rilevante attività
di regolazione pubblica e privata, deriva da una caratteristica tratta direttamente dal
lessico comunitario: il lavoro nell’organizzazione del lavoro dell’impresa f‌lessibile e just
in time e nella economia globalizzata, dinamica e volatile, deve essere adattabile.
Tale ultimo concetto rinvia a due diverse concezioni che pongono, entrambe, al
centro delle moderne organizzazioni, l’esperienza della formazione e della conoscenza.
Una prima, considera l’impresa unico soggetto in grado di produrre cambiamento
e innovazione, anche nel modo di produzione post-fordista, perché “abile” a rispondere
attivamente alle domande del mercato: in questo caso il lavoro non è più considerato
un fattore passivo, né tantomeno una “merce”, bensì fattore attivo del cambiamento. Se
ne riconosce, così, una rinnovata centralità come fattore di produzione (il capitale uma-
no) a dispetto dell’utopia sulla fabbrica ad automazione totale af‌f‌iorata negli anni ’80;
se ne considera il valore aggiunto qualora integrato interattivamente e armonicamente
con le nuove tecnologie; anzi sarebbe proprio l’alto contenuto di intelligenza astratta e
artif‌iciale presente in queste ultime ad esaltare l’autonomo e irripetibile atto di intera-
zione che il lavoratore, tecnologicamente formato e scientif‌icamente istruito, è in grado
di porre in essere.
E tuttavia, in questa concezione, la persona rimane pur sempre un’appendice se non
della macchina – come nell’organizzazione fordista, ove era considerata il segmento ter-
minale dell’apparato5 –, di un’organizzazione intelligente (appunto l’impresa) al cui
cambiamento il nuovo lavoratore formato è (o deve essere) in grado di adattarsi conti-
nuamente pur non determinandone né strategie, né percorsi, né f‌inalità (etero determi-
nati da una entità superiore e oggettiva: il mercato).
Una seconda concezione considera la formazione non più soltanto funzionale all’ac-
crescimento del patrimonio professionale per percorsi verticali e predef‌initi di carriera,
pur sempre disegnati dall’impresa, ma come un momento dinamico di continuo riposi-
zionamento professionale e anche di semplice accrescimento culturale (la formazione
per tutto l’arco della vita), con riferimento a personali progetti nel lavoro ma anche
fuori dal lavoro6.
guata protezione sociale, la lotta contro l’esclusione sociale e un livello elevato di istruzione, formazione e
tutela della salute umana».
5 Per una rif‌lessione sul punto si rinvia allo studio di Braverman 1978.
6 Quaglino 2006, p. 88 ss. Il livello formativo, in costante evoluzione, diventa astratto e, diversamente dal
concetto marxiano di lavoro astratto – ovvero il «lavoro puro e semplice, […] assolutamente indif‌ferente a
una particolare determinatezza, […] attività semplicemente formale, o, che è lo stesso, semplicemente ma-
teriale, attività in generale, indif‌ferente alla forma» (Marx 1968, 280 - 281) –, è da intendersi come possi-
bilità ad essa connessa di andare oltre l’attaccamento ad uno specif‌ico lavoro. Il lavoro astratto, fungibile e
facilmente misurabile in unità di tempo – poiché spogliato di ogni determinazione qualitativa – a seguito
allo sviluppo dell’economia fondata sul sapere e sulle competenze non codif‌icabili – diventa categoria obso-
leta o, comunque, non più generalizzabile come idealtipico. La formazione “aperta”, e dunque in qualche
modo astratta, di cui dovrebbe benef‌iciare ciascun lavoratore «sia sul posto di lavoro sia fuori, in contesti
molto più ampi e diversif‌icati – che presuppongono una sua partecipazione attiva nel domandare maggiori
opportunità di apprendimento – gli consentirebbe non solo di ef‌fettuare delle scelte consapevoli, ma anche
di determinare qualitativamente e in maniera infungibile il suo lavoro. È lo stesso lavoratore ad avvertire
«che la sua accumulazione di capitale umano inf‌luenza sia il suo stato occupazionale, sia le condizioni di
lavoro, nel caso in cui sia occupato» (Pappadà 2003, 197 ss.), e i suoi livelli di conoscenza sono direttamen-

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