La riforma del sistema contrattuale

AutoreGiuseppe Ferraro
Pagine357-375
Giuseppe Ferraro
La riforma del sistema contrattuale
S: 1. Le ragioni di una riforma. - 2. Le novità negli ultimi rinnovi contrattuali e prospettive di
generalizzazione. - 3. Gli accordi di concertazione. - 3.1. Il Protocollo del 23.7.1993 e le proposte di
revisione. - 3.2. Oltre il Protocollo del 1993. - 4. L’ipotesi di «ribaltamento» della struttura contrat-
tuale. Valutazioni critiche. - 5. Il riequilibrio dei livelli contrattuali. La contrattazione territoriale. -
5.1. Le prospettive della contrattazione aziendale. - 6. La legif‌icazione del sistema contrattuale. Valu-
tazioni critiche.
1. Proposte per una riforma del sistema contrattuale af‌f‌iorano periodicamente nelle fasi
calde dei rinnovi contrattuali, specie quando le trattative ristagnano e si infervora la conf‌lit-
tualità sociale. Eppure una tale prospettiva si presenta oggi più praticabile per i molti fattori
concomitanti che inducono a rivedere l’equilibrio codif‌icato nel Protocollo del luglio del
1993. Si tratta di motivazioni eterogenee, niente af‌fatto coincidenti nelle premesse, eppure
parzialmente convergenti nell’invocare un maggiore decentramento regolamentare1, in li-
nea del resto con una tendenza che attraversa la maggior parte dei paesi europei2.
Dal lato sindacale, la spinta preminente deriva da una forte insoddisfazione per la
perdita del potere di acquisto dei salari e per una generale riduzione della quota dei reddi-
ti da lavoro dipendente, oltretutto defalcati da tasse e contribuzioni. La responsabilità di
una tale situazione viene almeno in parte addebitata al sistema contrattuale introdotto dal
Protocollo del 1993 che, essendo stato concepito per perseguire una rigorosa politica dei
redditi e di controllo dell’inf‌lazione, ha anche determinato una protratta moderazione sa-
lariale e rallentato i tempi di recupero inf‌lazionistico. La ricostruzione storicistica dell’ac-
cordo del 1993 fornisce molti argomenti a sif‌fatta prospettazione, ove appena si ricordi la
particolare congiuntura economico-politica che ha condizionato l’accordo, concepito in
stretta contiguità con la soppressione della scala mobile, avvenuta def‌initivamente nel
1992, in una fase di alta inf‌lazione ed elevato debito pubblico, che rischiavano di compro-
mettere seriamente l’ingresso dell’Italia nell’Europa monetaria. In quella congiuntura l’ac-
cordo è consapevolmente diretto a contenere le spinte inf‌lazionistiche attraverso una pre-
1 Su questa problematica cfr. il dibattito in Aa.Vv., 2007, con interventi di Ricciardi 2007, 219; Cella 2007,
227; Bellardi 2007, 235; Mariucci 2007, 251; Negrelli 2007, 259; Carrieri 2007, 273; Treu 2007, 285;
Dell’Aringa 2007, 297; Della Rocca 2007, 307.
2 Caruso 2006, 581; Sciarra 2006, 4147; Consiglio Nazionale dell’economia e del lavoro, Le relazioni sin-
dacali in Italia e in Europa. Rapporto 2004-2005, 19 dicembre 2006. Secondo Boeri, Brugiavini e Calmfors
2001, «l’ipotesi più probabile è quella di un proseguimento delle tendenze al calo degli iscritti e alla decen-
tralizzazione delle contrattazioni. Prima o poi questo f‌inirà per indebolire ogni tentativo di coordinamento
nazionale delle contrattazioni sui salari in Europa», «ma la crescente integrazione dei mercati europei po-
trebbe gradualmente indurre nuovi modelli di comportamento dei sindacati, con la cooperazione trasnazio-
nale a livello micro all’interno delle imprese transeuropee, che conferirebbe una nuova dimensione interna-
zionale alla politica sindacale. Dato che questo signif‌ica che le grandi imprese porteranno avanti le trattative
in modo autonomo, di conseguenza potrebbe contribuire ad accelerare il processo di disintegrazione delle
contrattazioni e del coordinamento a livello nazionale» (p. 176).
358 Studi in onore di Edoardo Ghera
vedibilità degli incrementi salariali ed un controllo centralistico della contrattazione nelle
sue varie manifestazioni. Senonché, alla distanza, l’alternanza di due bienni di contratta-
zione economica, spesso ritardati e sovrapposti, non ha consentito di recuperare adeguata-
mente l’erosione inf‌lazionistica, oltretutto calcolata secondo indici Istat in perenne conte-
stazione; la contrattazione di secondo livello ha spesso ristagnato, anche per varie
congiunture economiche sfavorevoli; la stessa «indennità di vacanza contrattuale» si è rive-
lata eccessivamente blanda ed assai poco protettiva, se non addirittura un incentivo alla
dilazione dei tempi di rinnovo, essendo peraltro frequentemente elusa. Per contro la parte
più dinamica dell’accordo, che avrebbe dovuto stimolare meccanismi salariali incrementa-
li legati alla produttività ed alla crescita delle aziende, non ha ricevuto soddisfacente realiz-
zazione, se non in aree circoscritte e settoriali, per una radicata dif‌f‌idenza delle imprese a
consentire controlli di merito sugli incrementi di produttività ed anche per una storica
carenza culturale dei sindacati a controllare i dati contabili e f‌inanziari delle aziende. Sicché
l’accordo del 1993 è stato eccellente nel strutturare un ordinato sistema di relazioni indu-
striali, inadeguato nel promuovere la produttività ed un maggiore controllo dei processi
produttivi in vista di un adeguamento salariale allineato alle performance aziendali.
Un assetto del genere dovrebbe essere in linea di principio alquanto soddisfacente
per le associazioni imprenditoriali, se non fosse per le forti tensioni che ancora si concen-
trano su alcuni rinnovi contrattuali e per le esigenze, specie delle grandi aziende, di re-
cuperare una maggiore autonomia negoziale rispetto agli standard omogeneizzanti della
contrattazione di settore, che evolve lentamente nei prof‌ili attinenti alla organizzazione
del lavoro ed alla f‌lessibilità degli orari. Di qui una insistente richiesta di scambio tra
f‌lessibilità, in particolare oraria ed organizzativa, ed incrementi retributivi correlati ad
una maggiore produttività, a volte appena mascherata dall’esigenza di introdurre criteri
meritocratici e incentivanti per contrastare l’appiattimento salariale.
Il dibattito è peraltro inf‌luenzato da due fenomeni che operano ormai costante-
mente «sotto traccia», da tempo neppure recente, e cioè: a) dal ruolo crescente della
contrattazione di livello europeo, che mantiene un trend evolutivo alquanto accentuato
nonostante il rallentamento del processo di integrazione, ed anzi rivela una peculiare
inclinazione della dinamica contrattuale a disciplinare taluni istituti in termini più ela-
stici e progressivi rispetto ad altre tecniche regolative eccessivamente coercitive per le
diverse esperienze nazionali; e b) sul versante opposto, dalle spinte al decentramento
politico-amministrativo, che persistono tuttora anche in una fase di arretramento delle
tensioni federaliste ed anzi lasciano af‌f‌iorare un elevato tasso di contrattazione di livello
locale, specie regionale.
Motivi autonomi di insoddisfazione investono poi la contrattazione del settore pub-
blico, ove sembra si sia inceppato il delicato equilibrio tra la fase di determinazione delle
risorse f‌inanziarie e quella più strettamente negoziale e sia emersa al contempo una certa
artif‌iciosità del ruolo perseguito dall’agente negoziale che rivela margini di operatività
sempre più ristretti3. Per non parlare poi del dif‌f‌icile equilibrio tra la contrattazione di
comparto e quella decentrata4, la quale ha assunto connotazioni e contenuti non del
3 Dell’Aringa 2007, 297.
4 Su cui v. da ultimo Bellardi, Carabelli, Viscomi 2007, ed in particolare il rapporto conclusivo.

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