Le prove nel processo del lavoro di primo grado nel primato della giurisdizione

AutoreMichele Miscione
Pagine703-721
Michele Miscione
Le prove nel processo del lavoro di primo grado nel primato
della giurisdizione*
S: 1. Il primato della giurisdizione. - 2. Certezza di preclusioni e decadenze per correttezza dei
processi. - 3. L’insanabilità della mancata allegazione dei fatti e degl’elementi di diritto. - 4. La nullità
del ricorso. - 5. L’onere d’allegazione, il principio di non contestazione, le presunzioni. - 6. I poteri
uf‌f‌iciosi del giudice in base all’art. 421 c.p.c. - 7. Il divieto di depositare documenti nuovi. - 8. Con-
clusioni: certezza del diritto attraverso la “nomof‌ilachia”.
1. La Costituzione prevede all’art. 102 che «la funzione giurisdizionale è esercitata
da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario»;
all’art. 108 che «le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono sta-
bilite con legge». Anche l’art. 113 conferma il primato della «tutela giurisdizionale».
Voglio cominciare senza rifugiarmi nel banale, ma per ricordare e riaf‌fermare che tutto
parte dalla giurisdizione, vincolata in base alla costituzione ed alla legge.
La giurisdizione è costituita dalle regole, se si vuole dalle “regole del gioco” (consi-
derando il gioco come una cosa seria). Alla giurisdizione non c’è alternativa.
Eppure spesso si sente dire che, ancor prima della giurisdizione, verrebbe la “verità”,
quale bene primario che dovrebbe prevalere su tutto. L’af‌fermazione serve per superare
le regole della giurisdizione, al f‌ine formale di raggiungere la “verità”. Oltretutto ha una
forte carica moralistica, perché — in negativo — chi s’oppone alla violazione della giu-
risdizione anche per la ricerca della “verità” sarebbe un furbo che cerca di prevalere sulla
sostanza con formalismi e cavilli.
I poteri uf‌f‌iciosi ex art. 421 c.p.c. [talvolta chiamati «of‌f‌iciosi» con la “o”] sono
stati giustif‌icati, come si vedrà, proprio per la ricerca della «verità materiale», ma — me-
glio precisarlo subito — solo dopo che siano già acquisite le allegazioni e le prove1.
È facile replicare che una «verità materiale» o “assoluta” non esiste, che tutto è rela-
tivo e ci sono non una ma molte verità, in assoluta buona fede. È inutile continuare, con
il rischio veramente dell’ovvio: è certo che tutti debbono cercare la verità2 — non solo il
giudice ma anche gl’avvocati nei limiti della difesa di parte — ma prima viene la giuri-
sdizione, come valore assoluto ed insuperabile. La giurisdizione costituisce principio
d’ordine pubblico, vincolante in base a norme costituzionali: in altre parole, non è pos-
sibile superare mai le regole della giurisdizione, né per una mitica “verità” né per altri
* Relazione, ampiamente riveduta e con l’aggiunta delle note, al Convegno organizzato a Palmi il 24 no-
vembre 2007 dalla Camera civile di Palmi su La prova nel processo del lavoro. Nel logo della Camera civile di
Palmi è riportato Iustitia nemini neganda, per indicare che il giudice deve sempre pronunciarsi (ma, con
molto maggior ottimismo, si potrebbe forse intendere che ognuno ha diritto al giusto).
1 Cass. S.U., 23.1.2002, n. 761, Martinuz c. Automobili Petri Nino s.r.l., GC, 2002, I, 1909 con nota di
Cattani 2002; Corriere giur., 2003, 10, 1335, con nota di Fabiani 2003.
2 Vellani 2001, 979.
704 Studi in onore di Edoardo Ghera
beni positivi, perché è la giurisdizione il bene fondamentale dell’ordinamento. Ogni
deroga, anche “a f‌in di bene”, costituirebbe una violazione intollerabile di principi fon-
damentali, con ef‌fetti veramente distruttivi.
È poi da vedere se c’è veramente un “f‌in di bene”. Talvolta si sente dire che uno
“strappo” alla giurisdizione andrebbe a benef‌icio dei lavoratori, bisognosi di tutela in
quanto parte debole3. Non voglio addentrarmi sulla congruità o opportunità di nulla,
ma dico solo che la giurisdizione non aiuta né danneggia nessuno, che la giurisdizione è
assolutamente neutra; né francamente riterrei legittima una giurisdizione che favorisse in
alcun modo l’una o l’altra parte.
Anche le eventuali deroghe, che non potrebbero essere ammesse per una parte sola,
f‌inirebbero per essere “neutre”, ma con il rischio d’incertezze e confusioni, causa sempre
d’ingiustizie.
Ritengo che la giurisdizione favorisca solo la correttezza ed una deroga, anche se alla
ricerca della “verità”, favorirebbe solamente gli scorretti.
Nella logica della tutela della parte debole, ho sentito dire una volta che, poiché la
procedura sarebbe rispettata dagl’avvocati “bravi” ed esperti, che però sono quelli più
cari e che i lavoratori non potrebbero permettersi, sarebbero avvantaggiati i datori di
lavoro “ricchi”; inoltre, poiché sarebbe ingiusto che la parte fosse danneggiata dagl’erro-
ri degl’avvocati, i giudici potrebbero intervenire per correggere, con una specie di tutela
d’uf‌f‌icio della parte (tanto più se “debole”). Evidentemente l’ipotesi è grossolana, oltre
che falsa ed of‌fensiva per gl’avvocati: serve però per riaf‌fermare con forza il principio che
gl’eventuali errori non possono essere sanati d’uf‌f‌icio e che solo l’ipotesi è sconvolgente
del sistema. Per fortuna, però, è soprattutto grossolana.
Si dice che le preclusioni e decadenze, che caratterizzano il rito del lavoro (ora anche
quello ordinario), sarebbero state poste per rendere breve il processo4: è certamente vero,
ma il f‌ine principale è di garantire che il processo sia trasparente e lineare f‌in all’inizio,
evitando ed ostacolando tatticisimi tesi ad utilizzare la procedura in modo da ostacolare
la giurisdizione.
Concludo sul punto. Le regole sulle prove, che costituiscono una parte decisiva
della giurisdizione, vanno rispettate e non c’è giustif‌icazione per deroghe. Ogn’af‌ferma-
zione di “f‌in di bene” è non solo falsa, ma soprattutto sconvolgente. Le deroghe alla
giurisdizione servono solamente agli scorretti.
2. Il sistema di prove nel giudizio di lavoro di primo grado è decisivo per l’intero
processo, non solo per le preclusioni e decadenze ma anche, e direi soprattutto, per gl’ef-
fetti della prima pronunzia.
Lo sanno tutti che la sentenza di condanna di primo grado è immediatamente ese-
cutiva e crea ef‌fetti dif‌f‌icilmente reversibili. Bisogna distinguere però le situazioni di
mero fatto, contingenti e fumose (incerte nell’an e quomodo), da quelle che già “di per
sé” producono ef‌fetti almeno in parte irreversibili.
3 Rinvio alle critiche di Vallebona 2006a, 19 ed ivi citazioni in nota. Cfr. anche Centofanti 2003, 516.
4 Cfr. ad es. Centofanti S. 2003, 515.

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