Vizi del contratto di intermediazione finanziaria e responsabilità degli intermediari

AutoreFrancesco Sporta Caputi
Pagine355-374

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  1. L’onda d’urto innescata dai recenti scandali finanziari (Cirio, Parmalat e default dello Stato dell’Argentina1) ha travolto, come noto, molti piccoli ed ignari risparmiatori. La inevitabile e dolorosa debacle del valore attuale del patrimonio mobiliare ha generato una sorta di “caccia alle streghe” nei confronti degli intermediari finanziari, volta a sottoporre al vaglio dell’autorità giudiziaria comportamenti poco “virtuosi” tenuti dai secondi e ad ottenere la rimozione degli effetti giuridici dei contratti di intermediazione con gli stessi stipulati. In particolare, le azioni giudiziarie hanno censurato la violazione da parte degli intermediari finanziari delle regole di condotta statuite dal Testo unico della intermediazione finanziaria (per brevità, TUF) e dai relativi regolamenti di attuazione emanati dalla Consob, denunciando l’opacità del flusso informativo proveniente dall’intermediario riguardo la tipologia e l’ampiezza dei rischi connessi all’investimento in strumenti finanziari.

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    La produzione giurisprudenziale, soprattutto di merito, che ne è scaturita è stata tumultuosa, oltre che oscillante, poiché la richiamata violazione è stata qualificata dai giudici sia in termini di nullità del contratto per mancanza dei requisiti essenziali o per violazione di norme imperative, sia in termini di inadempimento contrattuale grave che legittima la risoluzione del contratto, sia ancora, ed in via residuale, in termini di annullabilità del contratto per vizi del consenso nella forma dell’errore o del dolo.

    La disciplina della prestazione dei servizi di investimento, recata dall’art. 21 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (di seguito, TUF) e dai regolamenti attuativi emanati dalla Consob2, si atteggia precipuamente come una disciplina dell’informazione “da e per” l’investitore3. L’informazione è differentemente modulata in funzione del grado di conoscenza ed esperienza di investimento in strumenti finanziari del cliente e la sua erogazione impone agli intermediari finanziari diversificati obblighi di fare o di non fare, sinteticamente indicati quali obblighi di comportamento degli intermediari abilitati4.

    Le norme racchiuse nell’art. 21 del TUF si connotano, da un lato, per il loro carattere imperativo, poiché tese alla tutela del risparmio attraverso la protezione degli interessi degli investitori, raggiunta mediante la definizione di parametri di comportamento cui gli operatori di mercato devono informare la propria attività per assicurare l’integrità dei mercati finanziari5; dall’altro, e paradossalmente, per la mancata indicazione di sanzioni specifiche da irrogare nelle ipotesi di loro violazione. È lasciato quindi all’interprete il delica-

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    to e complesso compito di individuare le sanzioni atte a censurare la condotta contra legem degli intermediari finanziari e ad assicurare tutela, quanto meno di tipo rimediale e risarcitorio, agli investitori rimasti danneggiati.

    La ricerca del rimedio più idoneo alle patologie del rapporto negoziale clienteintermediario finanziario ha generato una prevedibile situazione di incertezza giuridica, sfociata, come premesso, in una tumultuosa attività giudiziaria.

    La copiosa produzione giurisprudenziale6 che ne è derivata ha tratteggiato una sorta di “caleidoscopio” degli strumenti rimediali della patologia del contratto di intermediazione finanziaria. Prima facie, le soluzioni individuate appaiono tutte astrattamente applicabili al fine di soddisfare l’interesse dell’investitore danneggiato al ripristino dello status quo ante investimento; ma, proprio per tale ragione, esse instillano il dubbio su quale, fra esse, si configuri come quella più corretta alla luce della ricostruzione dogmatica del problema giuridico in oggetto.

  2. La nullità del contratto, in specie la nullità virtuale7, quanto la risoluzione del contratto per inadempimento grave8 o, ancora, l’annullabilità del

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    contratto per errore o dolo9, anche solo incidente, sono le soluzioni offerte dal diritto generale dei contratti, tutte caldeggiate, con lo stesso rigore e la stessa ricchezza di argomentazioni, tanto dalla dottrina quanto dalla giurisprudenza formatasi sul tema nell’ultimo quinquennio10.

    L’opzione per uno dei richiamati tipi di vizio del contratto è resa più difficile, in verità, dal congenito carattere “duale” del rapporto negoziale, articolato in una fase genetica (a carattere statico) – consistente nella verifica dell’esistenza dei requisiti essenziali del contratto – ed in una fase funzionale (a carattere dinamico) – consistente nell’attuazione del programma negoziale. La scelta di ricondurre il vizio all’uno o all’altro momento si riverbera, difatti, sulla qualificazione del vizio stesso e sul tipo di azione esperibile da parte dell’investitore leso, oltre che sulla determinazione del quantum del danno risarcibile.

    L’opera di ricostruzione giuridica è resa poi ulteriormente difficile dalla struttura bifasica del contratto di intermediazione finanziaria, che si articola in un contrattoquadro, seguito da una serie di operazioni attuative, che sembrerebbero atteggiarsi come altrettanti atti a contenuto negoziale esecutivi del primo: la configurabilità di vizi del contratto anche riguardo ai contratti attuativi rende più stratificato il problema della qualificazione del vizio, poiché lo stesso potrebbe apparire come appartenente al momento statico di un contratto (quello a valle) e contemporaneamente al momento dinamicoattuativo di un altro contratto (quello a monte).

    La preferenza della giurisprudenza prima, e della dottrina poi, si è manifestata inizialmente verso il rimedio della nullità virtuale ex art. 1418, comma 1, c.c. del contratto stipulato in violazione delle regole di comportamento (qualificate come norme imperative) e, in un secondo momento, verso il rimedio della risoluzione del contratto di intermediazione finanziaria ex art. 1453 c.c. per inadempimento agli obblighi di informazione. Il rimedio della nullità è apparso prima facie quello più utile, in virtù della sua efficacia retroattiva che assicura il ripristino dello status quo ante investimento; il rimedio della risoluzione per inadempimento grave è risultato, ad una riflessione più ponderata, il giusto compromesso tra l’esigenza risarcitoria e la corretta applicazione del diritto dei contratti.

    Di recente, a sgombrare il campo da una serie di “equivoci” interpretativi ed a risolvere, più che un contrasto giurisprudenziale, una questione giuridica di particolare importanza, è intervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni

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    Unite con le note sentenze n. 26724 e n. 26725 del 19 dicembre 200711 che rappresentano virtualmente il culmine del tumulto giurisprudenziale più indietro evocato. La pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione12,

    fortemente attesa dalla comunità finanziaria, indica come punti fermi sul tema il forte ridimensionamento dell’ambito di applicazione della nullità virtuale del contratto e la chiara opzione per la ricostruzione del vizio del contratto di intermediazione finanziaria stipulato in spregio degli obblighi di comportamento quale vizio della fase dinamica ed attuativa, determinante la risoluzione per inadempimento grave, oltre che l’obbligo di risarcimento del danno.

    Tuttavia, proprio il forte richiamo alla migliore ricostruzione dogmatica dei vizi del rapporto contrattuale fatto dai giudici di legittimità offre lo spunto per una significativa rivalutazione dello strumento dell’annullamento del contratto quale rimedio rispetto alla violazione degli obblighi di comportamento13. In altri termini, anticipando sinteticamente le conclusioni, la ricostruzione della violazione degli obblighi di comportamento degli intermediari nel rapporto con il clienteinvestitore quale vizio del consenso (nella forma dell’errore) pare essere quella più convincente sul piano teoricosistematico, poiché permette di recuperare unità logica e coerenza tra gli strumenti giuridici di gestione dei momenti patologici del rapporto contrattuale de quo. Il risultato è una reductio ad unum delle molteplici e differenti ricostruzioni avanzate da dottrina e giurisprudenza per la gestione dei vizi del contratto di intermediazione finanziaria e l’eliminazione delle incertezze interpretative ed applicative emerse di recente.

    La ricostruzione nel senso del vizio del consenso mantiene poi ferma la sua validità anche di fronte all’articolazione “contratto quadro – ordini (o contratti) esecutivi”, permettendo una redistribuzione più coerente dei vizi della dinamica negoziale fra i due momenti contrattuali.

  3. Il principio enunciato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nelle due sentenze n. 26724 e n. 26725 indica il rimedio risarcitorio (per il tramite della risoluzione per inadempimento del contratto di intermediazione

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    finanziaria) quale rimedio proprio per la violazione degli obblighi di condotta dell’intermediario, mentre riserva a situazioni di particolare gravità, attinenti alla genesi ed all’esistenza stessa del contratto, l’applicazione dei rimedi restitutori o demolitori, quali la nullità, seppur relativa. A questo risultato la Corte giunge recuperando e rivitalizzando la apparentemente appannata distinzione tra regole di validità del contratto e regole di comportamento dei contraenti, cui corrisponde specularmente la distinzione tra vizi genetici e vizi funzionali del contratto, gli uni determinanti l’invalidità del vincolo contrattuale (nella forma della nullità o dell’annullabilità), gli altri determinanti la responsabilità contrattuale e l’inadempimento che, se grave, può travolgere il contratto in caso di richiesta di risoluzione14.

    La sentenza delle Sezioni Unite ritiene correttamente applicabile al diritto dei contratti di intermediazione finanziaria la tassonomia classica dei vizi del contratto, respingendo così una tendenza in atto nell’ordinamento, anche e soprattutto a causa di spinte paneuropee15, consistente nell’ampliamento delle...

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