La sofferenza da malattia e il «diritto al sollievo» dal dolore: i contenuti delle tutele normative

AutoreFerdinando Parente
Pagine205-218

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In una prospettiva medicolegale, il dolore umano1 può essere definito come un’esperienza individuale spiacevole2, raffigurata in termini di danno e

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associata ad un sistema articolato di fattori e interazioni3, che mina l’integrità psicofisica della persona4. A sua volta, il valore dell’integrità presenta un contenuto normativo complesso, che implica l’indissolubile unitarietà dell’organismo dell’uomo, considerato nelle sue componenti biologiche e neuropsichiche5.

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Nel regime delle tutele ordinamentali della «corporeità», perciò, accanto al benessere fisico, la sanità psichica costituisce uno degli elementi che partecipano alla verifica dell’integrità funzionale dell’organismo umano6: la psiche, quale insostituibile supporto immateriale, dirige e controlla l’organismo dell’uomo nella sua funzionalità, nelle sue decisioni e nelle sue azioni, mentre l’alterazione della mente compromette persino il naturale equilibrio della fisicità dell’individuo7.

La persona umana, nella sua unitarietà psicofisica8, dunque, si prospetta come entità vivente, immersa nel vissuto della dimensione storicosociale, nella pluralità e varietà dei bisogni e degli interessi compenetrati nello stile di vita della comunità9 e nella concretezza dei condizionamenti spaziotemporali dell’esistenza10. In breve, l’ingresso dell’essere umano nel «cuore e nel centro della giuridicità»11 impedisce di separare il bene salute dal valore complessivo della persona12.

L’emersione valoriale della persona, all’interno degli ordinamenti giuridici moderni, e l’accentuarsi dello sviluppo delle scienze e delle biotecnologie applicate all’uomo hanno sollecitato, nel tempo, l’individuazione di nuove situazioni giuridiche soggettive ad alta densità assiologica e di più incisivi strumenti normativi mirati alla salvaguardia della persona, nella sua essenza e nella sua unitarietà, al di là dei vincoli territoriali, culturali e di razza (art. 10 cost.)13. Per effetto di un processo di generalizzazione del regime delle tutele, infatti, i testi normativi di ultima generazione14 hanno consolidato il

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principio costituzionale (art. 2 cost.) che la diacronia della produzione normativa non può porsi in contrasto con i diritti inviolabili dell’uomo, che rivestono carattere universale15.

In virtù dell’affermarsi del «principio personalista»16 e del ruolo dominante assunto dalle situazioni soggettive immanenti all’«essere» della persona17, il riconoscimento del diritto alla salute18 e alle cure medicosanitarie come «diritto esistenziale» ha rafforzato la tendenza a positivizzare nel dettaglio i diritti spettanti al malato nella cura delle sue patologie.

Sul punto, appare emblematico il contenuto della Carta europea dei diritti del malato, presentata a Bruxelles il 15 novembre 200219, che costituisce un documentoguida transnazionale di estremo interesse, laddove compendia

di opinioni politiche, di origine nazionale o sociale, di appartenenza a minoranze nazionali, di ricchezza, di nascita o di altra condizione [cfr. F. Parente, La libertà matrimoniale tra status personae e status familiae, in Rass. dir. civ., 2010, p. 147, nota 34; V. Scalisi, Ermeneutica dei diritti fondamentali e principio «personalista» in Italia e nell’Unione europea, in Riv. dir. civ., 2010, I, p. 157 ss.; G. Demuro, La Carta dei diritti, in A. Lucarelli e A. Patroni Griffi (a cura di), Dal Trattato costituzionale al Trattato di Lisbona. Nuovi studi sulla Costituzione europea, Napoli, 2009, p. 231 ss.], nonché la Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997, sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, ratificata dall’Italia con la l. 28 marzo 2001, n. 145, che garantisce un’elevata protezione dei diritti umani e, nel «Preambolo», formalizza il principio della tutela dell’individuo nella sua integrità e dignità di essere vivente [cfr. P. D’addino Serravalle, Questioni biotecnologiche e soluzioni normative, Napoli, 2003, pp. 29-30; G. Cataldi, La Convenzione del Consiglio d’Europa sui diritti dell’uomo e la biomedicina, in L. Chieffi (a cura di), Bioetica e diritti dell’uomo, Torino, 2000, p. 267 ss.; C. Piciocchi, La Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina: verso una bioetica europea?, in Dir. pubb. comp. europeo, 2001, p. 1301 ss.; A. Gitti, La Corte europea dei diritti dell’uomo e la Convenzione sulla biomedicina, Riv. int. dir. uomo, 1998, p. 720 ss.; A. Bompiani, Aspetti rilevanti per la trasposizione nell’ordinamento italiano della Convenzione sui diritti dell’uomo e della biomedicina, in C.M. Mazzoni, Un quadro europeo per la bioetica?, Perugia, 1998, p. 209 ss.].

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i diritti fondamentali della persona, delineati dall’Organizzazione mondiale della sanità e dall’Unione europea, traccia le coordinate entro le quali deve essere promossa la tutela della salute individuale, anche nell’interesse della collettività, ed esorta a riflettere con rinnovato interesse sul rapporto tra scienza e coscienza. I diritti conclamati nella «Carta» non raffigurano enunciati astratti, ma direttive concrete, destinate alle istituzioni, agli operatori della sanità, alla persona malata, ai cittadini e alle associazioni di settore, che, in un’ottica solidale (art. 2 cost.), tendono a perseguire un elevato livello di protezione della salute umana e un’emancipazione qualitativa nell’erogazione dei servizi sanitari.

Nell’ordinamento giuridico italiano, il legame tra la personalità, la libertà e la salute trova fondamento nell’art. 32, comma 1, cost., che qualifica la salute come «diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività».

La salvaguardia costituzionale della salute, pertanto, si inserisce, sia nel più ampio scenario della tutela della persona e dei suoi diritti (artt. 2, 3 e 13 ss., cost.)20, sia nell’assetto normativo delle manifestazioni sociali dell’individuo, ossia, dei suoi ruoli familiari, della compartecipazione ai processi educativi e culturali, al mondo del lavoro e alla vita sociale21.

La carta costituzionale italiana, laddove tutela la salute, non ne definisce i contenuti normativi. Nondimeno, la nozione di salute, alla stregua della definizione elaborata dall’OMS22, fondata sulla raffigurazione della persona come «entità valoriale» inscindibile, implica uno «stato di completo benessere fisico, mentale, sociale e spirituale», che supera il concetto di «stato di benessere fisico e psichico», più attenuato ma ugualmente aperto all’unità della persona, che emerge dal Codice di deontologia medica (art. 3, comma 2).

La definizione, in conformità all’orientamento della giurisprudenza di legittimità23, presuppone la negazione semantica dell’equivalenza tra lo stato di salute e la condizione di assenza di malattia e apporta alla nozione norma-

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tiva di salute il «valore aggiunto» della «percezione» del benessere che la persona ha di sé.

La conseguenza di questa definizione è rappresentata dall’inserimento dei fattori emozionali «negativi» non soltanto tra le cause di pregiudizio della salute, ma pure tra i parametri che alterano lo stato di benessere psichico della persona24. La salute, infatti, nella molteplicità delle sue manifestazioni, non si sostanzia in un mero interesse statico ed individuale, ma può assumere diverse conformazioni, a seconda dell’àmbito di azione dell’individuo: come diritto al servizio sanitario, alla salubrità dell’ambiente, all’integrità fisica, alla sanità mentale o al benessere spirituale25. Insomma, nella tutela ordinamentale della salute, accanto agli aspetti relazionali, rileva in maniera assiomatica «il valore della persona unitariamente inteso»26, espressione delle norme che hanno come fine ultimo la conservazione e lo sviluppo dell’essere umano27.

Nell’ottica del potenziamento del regime delle tutele, in continuità con i diritti riconosciuti al malato da altre fonti normative28, la l. 15 marzo 2010, n. 38, recante «disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore»29, delinea in termini emblematici il diritto del malato al «sollievo dal dolore»30, che assume una specifica autonomia funzionale nell’àmbito dei diritti fondamentali della persona.

Alle esigenze della quotidianità, segnate talvolta da patologie legate alla società del benessere, all’evoluzione dei costumi e alle situazioni ambientali e di vita, corrisponde sempre più l’aspettativa fidente nelle scoperte scientifiche, migliorative della condizione esistenziale dell’uomo31: la molteplicità

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di estrinsecazione della persona, aperta agli influssi della globalizzazione e ai nuovi modelli etici e culturali32, sollecita la creazione di più efficienti strumenti di tutela, diretti a preservarne l’integrità psicofisica33. Nell’àmbito delle proposizioni normative, si accentua, quindi, il fenomeno della «funzionalizzazione degli istituti giuridici» alla persona34, che implica una produzione legislativa antropocentrica, mirata al benessere dell’individuo, ma soprattutto non lesiva dei suoi diritti.

Poiché le forme di protezione delle situazioni esistenziali sono fondate «sull’interesse all’esistenza» e «sul libero svolgimento della vita di relazione»35, il diritto al sollievo dal dolore non può essere considerato nella sua aseità strutturale36, ma va interpretato in connessione simbiotica con al-

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tri diritti fondamentali della persona, quali la «dignità»37, l’«integrità»38, la «salute»39, la «vita»40 e la «libertà»41, alla stregua dell’unità valoriale dell’essere umano42.

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Dal punto di vista dei contenuti normativi, il diritto al sollievo dal dolore presenta una duplice connotazione: l’accesso alle «cure palliative»; l’adesione alla «terapia del dolore» (art. 1, comma 1, l. n. 38 del 2010).

In proposito, il sintagma «palliativo» deriva dal lemma latino «pallium», che designa il «mantello», la «protezione» della persona43. La legge di settore, infatti, definisce «cure palliative» l’insieme «degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia...

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