Note minime in tema di strutture alternative dell?organo gestorio e conflitti di interessi degli amministratori di s.r.l.

AutoreDaniela Caterino
Pagine49-56

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*Il presente lavoro riproduce, con la mera aggiunta di una bibliografia minimale, il testo dell’intervento alla tavola rotonda “I conflitti di interessi degli amministratori di s.r.l.”, svoltasi in Bari il 12 dicembre 2009, nell’ambito della IV edizione dei Colloqui baresi di diritto commerciale curati dal chiar.mo prof. Sabino Fortunato, ed è destinato alla pubblicazione, in versione ampliata e corredata di note, negli Atti dei Colloqui stessi.

  1. Le considerazioni che intendo svolgere mirano ad inquadrare la disciplina applicabile ai conflitti di interesse degli amministratori di società a responsabilità limitata (e, più in generale, degli interessi degli stessi) in alcune ipotesi in cui l’organo gestorio sia stato articolato secondo le modalità alternative non collegiali contemplate dall’art. 2475 c.c., e segnatamente: a) più amministratori titolari di poteri disgiuntivi, sulla scorta dell’organizzazione dell’organo gestorio mutuata dall’art. 2257 c.c. in tema di società semplice;

  1. più amministratori che agiscano congiuntamente, all’unanimità o a maggioranza, secondo lo schema contemplato dall’art. 2258 c.c.;

  2. un amministratore unico.

Il tema del trattamento dei conflitti di interesse degli amministratori nelle s.r.l. con organo gestorio a struttura alternativa rinvia a due problematiche di portata generale: da un lato, induce l’interprete ad affrontare il dilemma dell’integrazione ed interpretazione delle regole legali della s.r.l. attraverso i principi e le norme proprie delle s.p.a, ovvero del diritto delle società di per-

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sone; dall’altro, involge direttamente la correlata questione dei limiti che l’autonomia statutaria deve rispettare nel porre norme integrative o derogatorie del sistema legale.

Sotto il primo profilo, la scelta statutaria di articolare la struttura dell’organo gestorio nominato dai soci secondo un modello mutuato dal diritto delle società di persone, disgiuntivo (2257 c.c.) o congiuntivo (2258 c.c.) che sia, pone il problema della rilevanza da attribuire ad una simile opzione in chiave di interpretazione generale della volontà dei soci.

È noto che numerosi Autori hanno inteso riconnettere ad una siffatta scelta un più generale intento di orientare la governance e più in genere la disciplina applicabile alla s.r.l. verso i canoni propri delle società a base personalistica. Si è ritenuto, in altri termini, che alla volontaria ed espressa rinunzia al modello di default del consiglio di amministrazione – sia pure con i limiti posti dalla complicata disposizione dell’ultimo comma dell’art. 2475 c.c. – ed alla conseguente più marcata deformalizzazione delle funzioni decisionali e gestorie debba ricondursi un più generale intento dei soci di conformare la società ad un carattere vicino a quello delle società di persone; il che comporterebbe l’ulteriore conseguenza di una tendenzialmente generalizzata rinunzia al patrimonio di regole positive e principi interpretativi sedimentatisi in materia di funzioni e organi della s.p.a.

Vi è stato chi, in proposito, ha definito l’art. 2475 come una “norma quadro” per l’autonomia statutaria (Allegri), in quanto consente l’adozione di due opposti modelli, personalistico ovvero capitalistico, per giunta con la possibilità di approntare tutta una serie di soluzioni intermedie; e quindi induce a connotare in modo forte, nell’un senso o nell’altro, il carattere della s.r.l..

Sotto questo primo profilo, dunque, e in un’ottica di orientamento sistematico dell’analisi, occorre chiedersi se effettivamente l’adesione ad un modello di organo gestorio tipicamente personalistico renda a priori improponibile per l’interprete ogni tentativo di attingere alle dettagliate e articolate regole che disciplinano gli interessi e i conflitti di interessi degli amministratori, in funzione integrativa e interpretativa delle scarne regole legali dettate all’art. 2475 ter c.c. per l’omologa fattispecie nella s.r.l.; ovvero debba al contrario, o quanto meno in via di primo approccio, valutarsi come opzione non preclusiva in tal senso, da leggersi nel quadro del complessivo equilibrio voluto dai soci nello statuto. Inutile dire che propendo per quest’ultima lettura, per le ragioni che in seguito esporrò.

Significativo, in proposito, appare lo speculare dibattito relativo all’inquadramento tipologico della s.r.l. con amministratore unico, che ha diviso gli interpreti tra quanti (Allegri, Buonocore) hanno ritenuto che vada necessariamente ricondotta all’impostazione “capitalistica” e quanti al contrario (Rivolta) considerano la scelta di per sé neutra ai fini dell’individuazione del diritto cui attingere per colmare le lacune normative.

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La questione si è posta, in particolare, in merito alla possibilità di applicazione analogica all’amministratore unico di s.r.l. dell’obbligo di astensione dall’esecuzione dell’operazione predicato dall’art. 2391 c.c. nei confronti dell’amministratore delegato munito di rappresentanza e in conflitto di interessi; non potendomi soffermare analiticamente sul punto, mi limiterò a rilevare che rispetto a tale ipotesi non paiono sussistere quelle ragioni di divergenza tipologica, connesse alla potenziale provvista sul mercato del capitale di rischio, che invece sembrerebbero a detta di molti costituire ostacolo insormontabile...

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