Un grande seduttore della storiografia: Federico II di Svevia

AutoreFrancesco Mastroberti
Pagine171-178

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Accennare alla figura di Federico II di Svevia non è facile per la vastità di riferimenti documentali. Giustamente Mariateresa Brocchieri, licenziando in un suo contributo sul grande svevo, parlava del rischio di finire come i cartografi cinesi di Borges che, per non sbagliare, disegnavano le mappe in scala 1:11. La prospettiva di considerare tutte le voci bibliografiche, risulta dunque impraticabile oltre ad essere di dubbia utilità, considerato il fatto che Federico ha rappresentato, nei secoli, un campo libero per ogni sorta di idealismo dove la storiografia ha sovente superato i confini che la separano dalla politica e dalla letteratura per delineare un’immagine da esaltare o da abbattere. È opportuno perciò discernere il mito, che in otto secoli ha dato luogo ad un’interminabile lista di biografie romanzate, dal personaggio storico, stu-

* Riporto il testo della relazione tenuta in sede di presentazione della lezione magistrale del prof. Cosimo Damiano Fonseca, Il lascito storiografico di Federico II, tenuta presso la II Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro – Sede di Taranto il giorno 10 febbraio 2010.

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diato a fondo e con obiettività. Se teniamo conto solo di questa seconda categoria, l’unica ad avere una dignità scientifica, i titoli si riducono di molto ma, a differenza di altre figure, Federico II resta molto problematico a causa della sua estrema politicità, ossia del fatto che, in pieno medioevo, volle fare importanti e coraggiose scelte politiche, in quanto tali giudicabili – in ogni epoca – giuste o sbagliate a seconda dell’osservatore e del suo apparato ideologico. Se poi consideriamo che le scelte lo posero in contrasto diretto con la Chiesa, ovvero con la superpotenza medievale – e aggiungiamoci anche il carattere libero di Federico, molto votato ai piaceri della vita e dominato da una grande passione per la conoscenza – allora si comprende facilmente il suo travaglio nel trovare un comodo posto nell’epoca medievale, sia da vivo che da morto.

Oggi è più semplice orientarsi grazie ai lavori che sono stati fatti in occasione dell’ottocentesimo anniversario della nascita dell’Imperatore. In particolare il saggio di Cosimo Damiano Fonseca, Federico II nella storiografia italiana2, ha fornito chiavi di lettura obiettive ed illuminanti. Un intervento quanto mai opportuno e chiarificatore che ha passato in rassegna i diversi orientamenti della storiografia italiana, dalla contrapposizione tra esaltatori e detrattori dell’Imperatore – esemplificata attraverso le considerazioni di Pandolfo Collenuccio e Tommaso Costo, il primo fautore della “ragion politica” di Federico contro l’ingerenza della Chiesa, il secondo volto ad evidenziare i “mancamenti” del Sovrano – alla “demitizzazione” più o meno convincente in corso a partire dalla fine del secolo scorso3.

Nonostante gli sforzi di molti illustri storici, il quadro non sembra molto cambiato. Federico II è un uomo che continua a dividere: da quando le questioni politiche a lui connesse si sono consumate sotto l’azione degli uomini e del tempo, la divisione tra gli storici è stata costante, pur esprimendosi con toni e contenuti diversi. E’ difficile occuparsi di Federico II senza essere o dalla sua parte (anche solo restando affascinati dalla sua poliedrica e multiforme personalità) oppure in qualche modo contro di lui. E’ un grande seduttore, nel senso più vero del seducere latino che significa allontanare, dividere, separare. E la seduzione spesso fa perdere la lucidità necessaria nei lavori storiografici. Egli, che (almeno secondo quello che si è detto su di lui) fu circondato in vita dalle tante donne del suo harem, dopo la morte ha trovato un harem di storiografi, di diversa estrazione e cultura, che a differenza delle brave donne medievali, sembrano incapaci di ritagliare le sete per i suoi vestiti, facendoli sempre o più grandi o più piccoli del necessario. Ovviamente non sono mancati quelli che hanno preteso di tagliare il vestito senza stoffa.

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Ancora oggi, dunque, la figura di Federico sembra chiedere allo storico di schierarsi, così tante sono le opere che lo esaltano o lo ridimensionano oltre misura. Ma ciò non è colpa solo della storiografia: senza soffermarci sulla complessa personalità dell’uomo, il Federico politico ha facce diverse. In Germania fu conciliante con il forte partito feudale, in Italia meridionale fu un autocrate volto a limitare ogni potere dei baroni e a costruire uno stato fortemente accentrato. Forse anche per questo la storiografia tedesca e nordica in generale sembra più benevola nei suoi confronti, fino a considerarlo un «genio»4. In Italia invece Federico è stato letteralmente fagocitato dalle correnti di pensiero che a partire dal tardoumanesimo si sono scontrate sul bollente terreno dello stato moderno e sul giurisdizionalismo. Nella nostra tormentata penisola, da sempre divisa tra Guelfi e Ghibellini, la figura di Federico II ha necessariamente assunto una dimensione mitologica, in positivo e in negativo, anche per la nettezza delle scelte e dei toni usati dalle parti in causa (Papato e Impero). Basti pensare che la famosa lettera “dei tre impostori” del 1239 (con la quale papa Gregorio IX informava sovrani e dignitari che quel flagello di Federico II aveva osato affermare chiaramente che il mondo intero era stato ingannato da tre impostori, Gesù, Mosé e Maometto) innescò il mito secolare dell’esistenza di un libro scritto dallo stesso Federico e da Pier delle Vigne intitolato De tribus impostoribus5. Quindi il mito dell’Anticristo, alimentato dai Papi e dalla pubblicistica ecclesiastica, cui si è contrapposto il mito del sovrano laico, pragmatico, geniale precursore dei tempi riconosciuto come tale nelle opere di scrittori non italiani – come Burckhardt6 e Kantorowicz7 – oppure di qualche incauto giurisdizionalista italiano, come Pietro Giannone, che pagò carissimo la sua Istoria civile. Lo scontro frontale di Federico con il papato rappresenta l’epicentro di questo sisma storiografico i cui effetti, nonostante gli sforzi compiuti in questi ultimi decenni, sono ancora percepibili. In merito l’analisi storiografica del Giannone, seppure di parte, appare convincente, alla luce di contributi importanti, come quello del De Stefano, che hanno sfatato parte della “leggenda nera” sull’Imperatore:

Per aver avuto nemici tre Romani Pontefici, Onorio, Gregorio ed Innocenzio e...

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