Elementi civili e religiosi nell'ordine delle precedenze e nella normativa in materia di cerimoniale nelle pubbliche ricorrenze

AutoreMaria Rosaria Piccinni
Pagine231-248

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Il Cerimoniale di Stato è il complesso delle regole di forma che comprende l’insieme delle consuetudini, degli usi e delle norme che disciplinano la vita di relazione pubblica (sul piano nazionale ed internazionale). Esso “può essere considerato, in termini pratici, come l’insieme di norme e consuetudini attenendosi alle quali qualsiasi manifestazione ha svolgimento armonioso ed ordinato”.1 Lo studio delle prescrizioni protocollari, ossia delle norme che disciplinano l’attività di relazione formale e ufficiale dello Stato, regolando l’ordine da osservare tra le cariche pubbliche in occasione di cerimonie e ricorrenze ufficiali appare di grande interesse, poiché rappresenta una chiara espressione dei rapporti tra le istituzioni in relazione all’organizzazione dell’ordinamento, inevitabilmente condizionati da fattori giuridici, ma anche di carattere storico, culturale e politico.

Per meglio comprendere la rilevanza di questa tematica, basta considerare il diverso significato formale e sostanziale di una visita a seconda che essa, resa ad un’alta carica dello Stato, sia classificata come visita di Stato, visita

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ufficiale o incontro di lavoro2. Oppure, si pensi a tutte le volte in cui il soggetto pubblico esprime la propria partecipazione a taluni eventi, quali manifestazioni, cerimonie, convegni, congressi, inaugurazioni, incontri, visite ufficiali e festività, nonché l’adesione ad iniziative di altro soggetto, pubblico o privato, come vedremo meglio in seguito esaminando nel dettaglio le norme che disciplinano la partecipazione di autorità civili a cerimonie e feste di carattere puramente religioso3.

Il cerimoniale, dunque, è il complesso delle regole volte a disciplinare atti e comportamenti posti in essere con funzione celebrativa, e include le “norme relative alla precedenza, con particolare riguardo alla distinzione dei posti agli incontri ufficiali.”4 Il cerimoniale, rispecchiando il “rango” dei singoli partecipanti, mira a garantire l’ordinato svolgimento delle cerimonie pubbliche secondo criteri di uniforme cortesia e deferenza nei riguardi delle autorità presenti.

Nella teoria generale del diritto pubblico, il cerimoniale viene sovente ricondotto alle regole della correttezza costituzionale, intesa come «quell’atteggiamento che pospone la convenienza particolare alle esigenze del buon funzionamento del sistema costituzionale»

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Se il cerimoniale è il complesso insieme di linguaggio, condotta e simboli che le istituzioni adottano in occasione di relazioni pubbliche6, il protocollo può essere definito come l’insieme delle norme che regolano il cerimoniale in genere riferito ai suoi aspetti pubblici: esso costituisce in pratica la parte codificata e il complesso di disposizioni che disciplinano l’attività di rappresentanza ufficiale dello Stato, l’impiego della bandiera nazionale, dell’emblema dello Stato e degli stendardi nazionali in funzione solenne con gli onori ad essi spettanti, il cerimoniale diplomatico, le festività e la gerarchia delle cariche pubbliche e di rilevanza pubblica, nonché l’ordine e l’assegnazione dei posti spettanti a ciascuna di esse nelle funzioni e cerimonie pubbliche.

Lo studio delle norme protocollari è importante perché lungi dal rappresentare solo retaggio di antichi formalismi, attraverso l’ordine delle cariche e delle autorità secondo il rilievo pubblico e nella loro oggettiva considerazione istituzionale, rende palese l’organizzazione complessa dello Statoordinamento, rappresentando la cartina al tornasole dell’importanza che le leggi dello Stato attribuiscono alle Istituzioni pubbliche ed ai loro organi rappresentativi7.

La sensibilità dei riflessi prodotti dall’attività protocollare conduce a ritenere indispensabile che la materia sia garantita da uniformità e univocità di disciplina nell’ interpretazione e valutazione di segni, di linguaggio e, quindi, di significazioni.

Il protocollo di Stato, infatti, subisce il diretto condizionamento della vitalità dell’ordinamento giuridicocostituzionale, dovendo costantemente conformarsi ad esso e al suo divenire. Perciò la disciplina protocollare mostra di essere in grado di incidere sull’ordinamento stesso, ponendo in essere condotte o fissando regole in adesione a fattori extragiuridici che, ripetuti nel tempo, sono idonei a costituire prassi o convenzioni e, considerata la materia, non è escluso si tratti di convenzioni o, addirittura, di consuetudini costituzionali.

Osservando certi formalismi applicati in alcune occasioni ufficiali si è portati a pensare che essi assolvano a una funzione esclusivamente estetica e

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di ordine, ma in realtà molte di quelle regole esprimono aspetti sostanziali, come nel caso dell’ordine delle precedenze delle cariche istituzionali, che presuppone una valutazione generale del rilievo di ogni singola carica nel quadro giuridicoordinamentale dello Stato.

Il cerimoniale, quindi, è un’espressione formale di aspetti di sostanza e come tale deve adeguarsi ai mutamenti che avvengono nell’ordinamento: si pensi ad esempio ai notevoli cambiamenti che ci sono stati a seguito del passaggio dalla monarchia alla Repubblica, o alle modifiche del titolo V della Costituzione, che danno una rilevanza maggiore alle autorità esponenziali di collettività locali (Sindaci, Presidenti di Province, Presidenti di Regione). Analizzato da questo punto di vista, il cerimoniale è anche uno strumento di democrazia che consente di ordinare le cariche e le autorità, valutandone la valenza secondo il loro rilievo pubblico quindi nella rispettiva oggettività istituzionale8.

La presenza delle autorità religiose nelle cerimonie e nelle ricorrenze pubbliche civili è regolata da norme specifiche che disciplinano, in materia di cerimoniale, l’ordine delle precedenze tra le cariche pubbliche, determinando il rango protocollare spettante a ciascuna di esse.

L’attribuzione di una posizione di peculiare importanza alle cariche religiose affonda le sue radici nell’ art. 21 del Trattato lateranense del 1929, il quale al primo comma equipara lo status dei Cardinali a quello dei Principi del Sangue9. Questa disposizione ha parificato i Cardinali ai principi di case reali, ai quali, secondo l’ordine delle precedenze vigente nel regime monarchico, spettava il posto immediatamente successivo a quello del re. Nonostante l’avvento della Repubblica, questo riconoscimento è rimasto immutato10 in tutte le cerimonie pubbliche dello Stato italiano, in cui i Cardinali vengono subito dopo il Presidente della Repubblica.

Nel 1947, con uno scambio di note tra la Santa Sede e l’Ambasciata italiana presso la S. Sede,11 era stato acclarato che “gli E.mi Sigg. Cardinali continueranno a godere degli onori (art. 21 del Trattato) loro spettanti secondo le forme tradizionali attualmente in uso” e che “poiché l’articolo 21 stabi-

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lisce genericamente che gli Eminentissimi Signori Cardinali godono degli onori dovuti ai Principi del sangue, senza distinzione tra Principi italiani e stranieri, la disposizione resta in vigore – dopo l’avvenuto mutamento nella forma istituzionale dello Stato – nel senso della equiparazione tra gli onori spettanti agli Eminentissimi Signori Cardinali e gli onori dovuti ai Principi di case regnanti straniere in visita ufficiale”.

Trattandosi di una norma pattizia, una sua possibile modifica dovrebbe avvenire attraverso una revisione concordata o attraverso l’applicazione della procedura di cui all’art. 138 della Costituzione oppure ancora, seguendo la via del giudizio di legittimità costituzionale, attraverso una pronuncia della Consulta che ne dichiari la contrarietà ad uno dei principi supremi dell’ordinamento13. Scartata la via del procedimento aggravato previsto per le norme

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costituzionali fino ad ora mai applicato a nessuna disposizione dei Patti Lateranensi, e ricordato che l’Accordo di Villa Madama del 1984 ha interessato il solo Concordato, è possibile notare che il Protocollo addizionale ha comunque toccato alcuni articoli del Trattato, abrogandone l’art. 1, quello relativo al principio della religione di Stato, e fornendo un’interpretazione peculiare dell’applicazione da dare al disposto dell’art. 23, II° comma, in tema di effetti civili delle sentenze e dei provvedimenti emanati da autorità ecclesiastiche circa persone ecclesiastiche o religiose e concernenti materie spirituali o disciplinari. Ove lo si fosse ritenuto opportuno, ben si sarebbe potuto intervenire anche per mera via interpretativa per ridimensionare, modificare o addirittura abrogare l’equiparazione dei cardinali ai principi del sangue. Così non è stato e ciò rafforza, ove ce ne fosse stato bisogno, la convinzione dell’attuale vigenza dell’intero I° comma dell’art. 21 del Trattato lateranense.

Ancora oggi, nel riscontrare la presenza di alte autorità religiose in posizioni d’onore in occasione di cerimonie pubbliche, si potrebbe essere portati a pensare che ciò possa essere il retaggio di antichi disciplinari protocollari, sopravvissuti (così come le circolari fasciste sui crocifissi nelle aule scolastiche) all’avvento della Repubblica e della Costituzione14, alla revisione del Concordato, ed alla perdita dello status di “religione di Stato” offerto dal regime fascista alla chiesa cattolica15.

Invece, la vigente normativa sui cerimoniali pubblici è molto recente: attualmente la materia è regolata dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 aprile 2006 (Disposizioni generali in materia di cerimoniale e di precedenza tra le cariche pubbliche),16 come modificato dal Decreto del 16

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aprile 2008, (Aggiornamento delle disposizioni generali in materia di cerimoniale e di precedenze tra le cariche pubbliche).

Il Decreto del 14 aprile 2006, (modificato come detto nel 2008) si apre, all’art.1, con la definizione delle cerimonie nazionali, ossia quelle che hanno luogo in occasione di feste nazionali, in qualunque parte del territorio della Repubblica si svolgano, nonché le...

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