Diritto costituzionale in materia religiosa, tra laicità e patrimonio culturale comune: un caso emblematico il crocifisso nelle aule scolastiche

AutoreIgnazio Lagrotta
Pagine115-122

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556/2006 e la sua dimensione costituzionale: laicità (condizioni d’uso). – 3. UE e status previsto nelle legislazioni nazionali per le Chiese e le associazioni o comunità religiose: espressione dell’identità degli Stati membri e delle loro culture quale componente del patrimonio culturale comune. – 4. Il problema della laicità dello Stato, intesa come rapporto tra fenomeno religioso ed ordinamento, non può essere risolto in termini unitari: lo Stato laico presuppone scelte di valore. 5. I valori del Cristianesimo in particolare in Italia hanno contribuito ad alimentare i diritti della persona e ad esaltarne la dimensione sociale, al contempo, hanno alimentato la parte più viva del costituzionalismo contemporaneo. 6. – La lettura costituzionalmente adeguata degli artt. 7 e 8 della Costituzione italiana. 7. – Una plausibile conclusione o l’inizio di una discussione più ampia.

L’analisi della questione giuridica sollevata dell’esposizione crocifisso nella aule scolastiche, pur nelle oggettive difficoltà create dall’effetto mediatico che ha accompagnato l’intera vicenda, costituisce l’occasione per sgomberare il campo da equivoci di fondo che molto spesso, in preda ad una “deriva” di common law, “attanagliano” anche la migliore dottrina, tradita nella sua riflessione dal momento di fibrillazione del sistema (caso concreto) che inevitabilmente rischia di lasciare sullo sfondo le molteplici implicazioni di carattere prettamente costituzionale (del Paese “ospitante”). La decisione assunta dalla VI Sezione del Consiglio di Stato n. 556/2006, che appunto si occupò del tema, con notazione degna di nota, ha affermato che la decisione delle autorità scolastiche, in esecuzione di norme regolamentari, di esporre il crocifisso nelle aule scolastiche, non appare pertanto censurabile con riferimento al principio di laicità proprio dello Stato italiano.

A parere di chi scrive quella del crocifisso, appunto, è l’occasione per poter tracciare le linee di demarcazione di due differenti aspetti che “imbrigliano” la questione e sviluppare il discorso nell’analisi delle due direttrici che sembrano correttamente alla base di una riflessione serena ed approfon-

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dita: a) la portata di quello che si può affermare essere il diritto costituzionale in materia religiosa; b) il rapporto tra la laicità ed il patrimonio culturale comune.

Nella summenzionata decisione, infatti, il Consiglio di Stato non si esime dal portare uno guardo all’Europa ed agli altri ordinamenti giuridici proprio in ragione della condivisibile necessità di evidenziare le condizioni d’uso anche di un “principio” quale quello di “laicità”1 che viceversa resterebbe confinato nelle dispute ideologiche e sarebbe difficilmente utilizzabile in sede giuridica.

Condizioni di uso che, ricordano i giudici di Palazzo Spada, vanno certo determinate con riferimento alla tradizione culturale, ai costumi di vita, di ciascun popolo, in quanto però tale tradizione e tali costumi si siano riversati nei loro ordinamenti giuridici. E questi mutano da nazione a nazione.

Mutevolezza di tradizioni culturali e costumi di vita2 che, anche esulando dall’ambito di analisi in esame, dovrebbero essere opportunamente approfondite (per la rilevanza che il tema – nel quale è ricompreso quello della laicità come parte di un insieme più grande – riveste con riferimento alle problematiche ad esso connesse anche in ragione dei fenomeni migratori, di integrazione ed a quelli di sicurezza internazionale).

L’UE, lo si ricorda, rispetta e non pregiudica lo status previsto nelle legislazioni nazionali per le Chiese e le associazioni o comunità religiose in

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quanto espressione dell’identità degli Stati membri e delle loro culture e quale componente del patrimonio culturale comune3.

Ne consegue, pertanto, che inevitabilmente anche il “principio di laicità” assume un significato polisenso e diverso a seconda del dato “positivo” o “negativo” di tale libertà e dell’ordinamento in cui si colloca.

Alle singole nazioni e regioni, quindi, residua una spazio per il “proprio” diritto costituzionale in materia religiosa; spazio nel quale si può correttamente sviluppare un regime di “favore” (dalle norme costituzionali italiane richiamate dalla Corte per delineare la laicità propria dello Stato si evince, inoltre, un atteggiamento di favore nei confronti del fenomeno religioso e delle confessioni che lo propugnano, avendo la Costituzione posto rilevanti limiti alla libera esplicazione della attività legislativa dello Stato in materia di rapporti con le confessioni religiose; attività che potrà praticarsi ordinariamente soltanto in forma concordata sia con la religione di maggioranza sia con le altre confessioni religiose (art. 7, 2° co., e art. 8, 3° co.) e nel quale, come ben rende la citata decisione del Consiglio di Stato, il principio di laicità opera diversamente: non v’è dubbio che in un modo vada inteso ed opera quel principio nell’ordinamento inglese, laico, benché strettamente avvinto alla chiesa anglicana, nel quale è consentito al legislatore secolare dettare norme in materie interne alla chiesa stessa (esempio relativamente recente è dato dalla legge sul sacerdozio femminile); in altro modo nell’ordinamento francese, per il quale la laicità, costituzionalmente sancita (art. 2 Cost. del 1958), rappresenta una finalità che lo Stato potrà perseguire, e di fatto ha perseguito, anche con mortificazione dell’autonomia organizzativa delle confessioni (lois Combes) e della libera espressione individuale della fede religiosa (legge sull’ostensione dei simboli religiosi); in altro modo ancora nell’ordinamento federale degli Stati Uniti d’America, nel quale la pur rigorosa separazione fra lo Stato e le confessioni religiose, imposta dal I emendamento alla Costituzione federale, non impedisce un diffuso pietismo nella società civile, ispirato alla tradizione religiosa dei Padri pellegrini, che si esplica in...

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