La progettazione dei modelli organizzativi 231: fattori di efficacia

AutoreAnna Lucia Muserra
Pagine1933-1951
Anna Lucia Muserra
La progettazione dei modelli organizzativi 231: fattori di ecacia
S: 1. Premessa. – 2. La progettazione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ex D.Lgs
231. – 3. La mappatura delle attività a rischio-reato. – 4. Il sistema dei protocolli. – 5. L’Organismo
di Vigilanza. – 6. Il Codice Etico. – 7. Il sistema disciplinare. – 8. Conclusioni.
1. Com’è noto, il Dlgs 231/2001, al ne di armonizzare il nostro ordinamento alla
normativa che già da tempo in diversi paesi occidentali ad economia avanzata1 ha eleva-
to i livelli di responsabilità delle società, ha introdotto anche nel nostro Paese la respon-
sabilità amministrativa delle imprese quale conseguenza di violazione di norme penali da
parte di soggetti riconducibili all’organizzazione aziendale2.
L’aspetto originale del decreto, che sin dalla sua emanazione ha reso indispensabile
un confronto dialettico fra giuristi ed aziendalisti, riguarda l’irruzione della disciplina in
esame nell’ambito della gestione d’impresa, considerato che, al ne di prevenire, all’in-
terno del perimetro aziendale, il compimento di comportamenti illeciti, essa ada
all’ente il compito di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza di appositi modelli di
organizzazione, gestione e controllo3.
Modelli che la norma vuole dinamici, rivolti all’intero personale dell’impresa e sottesi
dall’attività di vigilanza di un organo di controllo, ma di cui, tuttavia, non impone l’ado-
zione; solo ove ciò avvenga, e nel rispetto di speciche condizioni, la circostanza funge da
condizione esimente della responsabilità dell’ente per gli illeciti commessi al suo interno.
Ne consegue che sarà l’organo giudicante a dover valutare l’applicabilità di tale
condizione esimente, in base al ruolo della persona che ha commesso il reato4, alla spe-
cica realtà organizzativa sottostante al modello adottato ed alla eettività dello stesso.
Considerato, quindi, che l’implementazione di un modello 231 non costituisce una
causa di esonero generica e indierenziata, il mondo delle aziende, nonostante i molti
anni trascorsi dall’emanazione del decreto, ne guarda l’adozione ancora con didenza,
considerandola non sempre prottevole, ed, al contrario, esprimendo rilevanti perples-
1 Si tratta di una normativa che il nostro ordinamento giuridico ha emanato in attuazione di specici im-
pegni assunti dall’Italia in veste di membro dell’OCSE, relativi all’attuazione della Convenzione OCSE del
1997, sulla corruzione di pubblici uciali stranieri nelle operazioni commerciali. Cfr. G. S, La
Convenzione Ocse del 1977 e la sua laboriosa attuazione in Italia, in A.V., Responsabilità d’impresa e stru-
menti internazionali anticorruzione, EGEA 2003.
2 La Relazione Ministeriale al D. Lgs. 231/2001, illustra, infatti, come la responsabilità dell’ente sia legata
alla circostanza di non aver posto in essere standard di comportamento doverosi, atti a prevenire, da parte
delle persone siche operanti nell’ambito della relativa organizzazione, la commissione di reati. Per un am-
pia disamina dell’evoluzione del pensiero giuridico su tale tema, si veda C. P, Societas delinquere
potest; la ne tardiva di un dogma, in Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell’Economia, 2002.
3 Si tratta di schemi richiamati agli artt.6 e 7 del D.Lgs.231.
4 Si tratta della distinzione fra soggetto apicale o subordinato richiamata agli articoli 5, 6 e 7 del decreto, a
cui conseguono rilevanti dierenze nell’applicazione della condizione esimente.
1934 Studi in onore di Umberto Belviso
sità in merito alla relativa utilità ed alla concreta possibilità di individuare soluzioni
corrette per la realizzazione della condizione esimente.
Ciò è sicuramente riconducibile al fatto che, se da un lato l’implementazione degli
schemi richiamati dalla legge introduce, in virtù degli elevati costi e delle conseguenti
rigidità organizzative, signicative complessità gestionali, dall’altro, non appare confor-
tata dalle pronunce giurisprudenziali sino ad oggi emanate, considerato che le stesse non
appaiono idonee a rendere del tutto oggettiva l’individuazione di quelle condizioni ope-
rative che, se presenti, garantiscono l’eettività delle condizione esimente.
Non è, infatti, priva di rilevanza la circostanza che solo nel novembre 2009 sia stata
emessa la prima sentenza in cui viene esclusa la responsabilità oggettiva dell’ente5, in
forza del riconoscimento dell’adozione e dell’ecace attuazione di un modello organiz-
zativo, poi eluso fraudolentemente dall’autore del reato. Ed è, altresì, signicativo che
nella pronuncia sia stato dato atto della necessità di adottare una prospettiva ex ante
nella valutazione dei modelli organizzativi, considerato che, diversamente, in una visio-
ne ex post, la commissione stessa dei reati potrebbe portare a decretarne l’inecacia.
Nonostante siano trascorsi diversi anni dall’introduzione della norma e sia ormai
ragguardevole6 la letteratura sul tema, lo scenario attuale continua a presentare zone
d’ombra e richiede riessioni sulle problematiche richiamate, con particolare riferimen-
to alla possibilità per gli studiosi e gli operatori aziendali di individuare parametri di
progettazione, in presenza dei quali la scelta organizzativa possa essere ritenuta rispon-
dente sia a vincoli di economicità che ad esigenze di compliance normativa7.
Circostanza, questa, che non può che essere univocamente ricondotta alla possibilità
di apprezzare, nella scelta organizzativa adottata, ed in una rigorosa prospettiva ex ante, una
concreta e tangibile manifestazione della volontà della società di compiere quanto possibi-
le, anché il sistema organizzativo interno, di cui è parte il modello 231 predisposto, sia
strutturato in modo idoneo a scongiurare la commissione di reati, compresi, naturalmente,
quelli che potrebbero essere commessi nell’interesse o a vantaggio della società stessa.
2. Come si è detto, la legge fa riferimento ad un apparato esimente che risulta tale
solo se adottato preventivamente alla contestazione del reato ed in maniera rispondente
a determinati requisiti. Si tratta, in concreto di un sistema organico ed unitario di asset-
ti organizzativi e di meccanismi informativi e di controllo, volti a prevenire, indirizzare
e segnalare comportamenti nell’ottica della prevenzione degli illeciti8.
5 GUP di Milano, sentenza 17 novembre 2009. La società aveva adottato il modello sin dall’epoca dell’intro-
duzione del D.Lgs.n.231, ed in più ha prodotto evidenze della sua pregressa adesione a tutte le best practice in
materia di controllo, quali ad esempio, il Codice di Autodisciplina per le Società quotate in Borsa.
6 Per un’ampia disamina della letteratura sul d.lgs. 231/01 si veda il contributo collettaneo, G. Ltt (a
cura di), Reati e responsabilità degli enti. Guida al d.lgs. 8 giugno 2001, n.231, Giurè, Milano, 2005.
7 F. P – M.L, Criticità applicative e indicazioni prospettiche: compliance ed economicità, inter-
vento al Convegno, Il D.Lgs.231/01 tra obiettivi di economicità e di conformità normativa, tenutosi nell’Uni-
versità Luigi Bocconi di Milano, il 29.05.2007.
8 La normativa non descrive analiticamente un modello imprenditoriale di riferimento, ma si limita a det-
tare generici criteri di rispondenza dei modelli organizzativi: si legge, infatti, all’art. 6, che i modelli devono:
a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati;

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