Fine del diritto?

AutorePietro Rescigno
Pagine1969-1975
Pietro Rescigno
Fine del diritto?*1
Fine del diritto? La domanda muove indubbiamente dalla constatazione o dall’idea
di una crisi in atto; e la crisi fu motivo di denuncia e di meditazione soprattutto nell’ul-
timo dopoguerra, per i giuristi che avevano assistito, con rassegnazione o con sdegno
(numerosi i primi, assai rari quelli della seconda schiera), alla ‘perversione’ degli ordina-
menti, per usare la formula breve e terribile di Fritz von Hippel. La reazione avvenne
sull’onda della riscoperta di un ‘diritto naturale’ o ‘di ragione’, e su quello sfondo si svol-
sero le lezioni padovane intitolate alla crisi, mentre al ‘problema fondamentale’ della
responsabilità del giurista a fronte delle ingiustizie consumate vennero dedicati molte-
plici interventi e già l’articolo di apertura del periodico dei giuristi cattolici Iustitia, a
quel tempo e nelle intenzioni dei promotori destinato a favorire il dialogo senza preclu-
sioni ideologiche.
Verosimilmente l’interrogarsi sulla sua ne (eventuale se non probabile) non vuole
riproporre il tema della ‘inidoneità’ del diritto positivo a realizzare una sostanziale giu-
stizia; intende piuttosto riettere sulla compatibilità di una regolamentazione dell’agire
umano con l’attuale quadro dell’economia ‘globale’ e con l’atteggiarsi dei rapporti socia-
li e la dislocazione dei poteri nell’esperienza che viviamo.
Nel contesto evocato degli anni ’50 si parlò da Carnelutti, con una suggestiva im-
magine, che converrà riprendere più avanti, di morte del diritto come evento inevitabile
e non lontano a vericarsi. Nella motivazione del ‘paradosso’ del diritto che, secondo il
brano evangelico, ai buoni non è necessario e ai cattivi non incute timore, ricorrono due
termini a cui occorre riferirsi per spiegare origine, ragione e nalità del diritto sul piano
storico e concettuale: la paura ci riconduce ai meccanismi sanzionatori della condotta
diorme dalla norma, il bisogno alla distribuzione tra i consociati delle elementari risor-
se che consentano almeno una dignitosa esistenza.
Il sistema ‘sanzionatorio’ porta a leggere le norme secondo una costruzione che lega
ciascun precetto alla previsione di una ‘misura’ a carico di chi non vi presti adesione e
obbedienza. La tendenza estrema del ‘normativismo’, quale si avverte nello schema for-
nito dal freddo rigore kelseniano, è nel senso di ravvisare una relazione tra il comando (e
dunque l’ordinamento nella sua interezza) e il soggetto destinatario, riducendo a mero
rapporto di fatto (ed è tipica al riguardo la congurazione del credito) quella che corre
tra il beneciario futuro della condotta e il soggetto a cui si indirizza il comando, di
guisa che l’esigenza di conoscersi per l’uno e per l’altro è legata solamente alla ragione
‘tecnica’ di rendere conformi al ‘comando’ il comportamento dovuto e l’aspettativa di
ottenerlo. L’altra visuale muove dal dato obiettivo della diseguale distribuzione dei beni
e dal bisogno di cooperazione tra gli uomini per farli circolare e ricollocarli nel ‘gioco’
assiduo del mercato: che è una maniera di sovrapporre una retorica venatura di solidari-
smo alle spinte egoistiche che condizionano gli ‘itinerari’ percorsi dalla ricchezza.
* Viene qui riprodotto l’intervento ad un seminario presso l’Accademia delle Scienze di Torino nel giugno
2008 per iniziativa di Pietro Rossi.

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