I modelli istituzionali di integrazione musulmana in Europa e il caso dell''Islám italiano

AutorePrisco S.
Pagine1045-1054
1045
Salvatore Prisco
I MODELLI ISTITUZIONALI
DI INTEGRAZIONE MUSULMANA IN EUROPA
E IL CASO DELL’ “ISLÁM ITALIANO”
I. Nell’ambito di un intervento di carattere volutamente descrittivo e “di quadro”,
che intende porsi trovando in questa circoscritta ambizione il proprio limite, confes-
sato in anticipo soltanto quale base per le successive e particolari riflessioni degli al-
tri partecipanti al convegno (il che giustifica anche il rinvio implicito degli approfon-
dimenti ai contributi dei colleghi di “settore”, per così dire, giacché si cerca in tal modo
di ridurre al minimo le pur inevitabili sovrapposizioni con le relazioni altrui, mentre la
destinazione del lavoro ad un pubblico che non era soltanto di “addetti ai lavori” spiega la
scelta di conferire ad esso un “taglio” non unicamente tecnico-giuridico in senso stretto), il
punto di partenza obbligato sta com’è appena il caso di sottolineare nella constatazione
dell’ormai ineliminabile fenomeno delle macro-migrazioni su scala planetaria.
Da esso nasce una dinamica che può essere in parte governata, ma certo realisti-
camente non respinta in blocco, in nome della tutela della presunta “purezza” di identi-
tà etnico-culturali originarie, che taluni vorrebbero proteggere da “imbastardimenti” e
contaminazioni.
Con i movimenti delle persone e assieme alla loro fisicità, per così dire, si muovo-
no infatti i mondi ideali dei quali ciascuna di esse è costituita. Queste identità collettive
reclamano perdipiù, in misura più ampia che nel passato, di essere presenti nelle sedi in
cui si forma l’opinione pubblica e in quelle istituzionali con una visibilità esplicita, una
volta che a seguito del flusso migratorio si sia generata una stabilizzazione degli
interessati nelle società in cui essi sono approdati, in dipendenza di variabili che si
connettono essenzialmente a motivazioni economiche o politiche, che in diverso modo
impediscono o comunque disincentivano fortemente il ritorno nel Paese natio.
Si pongono così alle società occidentali e ai relativi ordinamenti giuridici (in via,
rispettivamente, di loro istituzionalizzazione “informale” o “formale” e in questo se-
condo caso investendo storicamente prima i livelli delle amministrazioni locali e poi i
poteri centrali) questioni di riequilibrio inclusivo delle diversità etnico-religiose, ovve-
ro si registrano all’opposto, in non rari casi, concrete reazioni di rifiuto, a meno che le
collettività immigrate non preferiscano esse stesse come è finora accaduto nel nostro
Paese con le comunità cinesi darsi circuiti loro interni e più “sommersi” rispetto
all’attenzione generale.
Gli Stati Uniti conoscono da tempo problemi del genere e così accade per il Cana-
da. Non è un caso che proprio a quest’ultimo Paese appartengano alcuni dei teorici più
accreditati del multiculturalismo, come Taylor e Kymlicka. In Europa l’impatto
dell’immigrazione di massa (ad essa interna, oppure dall’esterno) è stato invece, com’è
noto, più recente.
Proprio l’orizzonte evolutivo appena richiamato ha ulteriormente sottolineato la
crisi già da tempo in atto del paradigma individualistico del pensiero liberale, quanto a
tecniche inclusive di particolari segmenti di popolazione e nella specie di minoranze
etnico-religiose e perciò dei relativi valori e diritti.
Non si tratta più cioè di riconoscere i secondi a singoli o a gruppi ristretti, ma
di integrare semmai intere comunità, portatrici di patrimoni di pensiero e di costumi
talora anche molto diversi, se non opposti, rispetto a quelli ordinariamente praticati dai
popoli di originario o più antico insediamento territoriale.

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