La detenzione al femminile. Le ragioni di una dignità di genere

AutoreMusumeci A.
Pagine875-892
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Angela Musumeci
LA DETENZIONE AL FEMMINILE
LE RAGIONI DI UNA DIGNITÀ DI GENERE
SOMMARIO: I. La “parità” tra i sessi in carcere - II. La dignità di genere come fondamento dei diritti delle
donne detenute - III. La specificità della detenzione femminile e le soluzioni avanzate - IV. La tutela
della maternità in carcere - 1. L’istituto della custodia attenuata per le madri: l’esperienza dell’ICAM
di Milano - V. Le più deboli: le donne extracomunitarie - VI. Una postilla conclusiva sul che fare.
I. La “parità” tra i sessi in carcere
Il carcere è maschio” è la secca denuncia che due donne, Lucia Castellano e Do-
natella Stasio, Autrici di un libro intervista che raccoglie le voci di chi vive e lavora nel
carcere1, rivolgono al sistema penitenziario italiano. Non si tratta di una denuncia isola-
ta, né tanto meno di una scoperta recente. Già in passato, studi di diversa natura hanno
fatto luce sulla condizione della detenzione femminile, giudicata -se è possibile- peg-
giore di quella maschile2. Tuttavia, la semplicità dell’affermazione, che ricorda da vi-
cino uno slogan di matrice femminista, nulla toglie alla verità che dichiara, vale a dire
che l’apparato organizzativo del sistema carcerario italiano è modellato sul genere ma-
schile, dimenticando totalmente la realtà femminile che vive al suo interno.
In questo caso, però, la denuncia acquista un rilievo particolare in ragione del fatto
che la Castellano è stata a lungo direttore di uno degli istituti penitenziari più
all’avanguardia del nostro Paese, il carcere di Bollate, al centro di interessanti progetti
riformatori molti dei quali da lei stessa promossi e portati avanti con tenacia. Vale la
pena, allora, scorrere brevemente quanto si dice nel libro sulla realtà della comunità
femminile all’interno del carcere da lei diretto: “A Bollate le donne sono arrivate dopo
sei anni di sperimentazione al maschile. È stato come fare un balzo indietro di sei anni.
Tutto quello che era stato realizzato per gli uomini non poteva replicarsi per loro, se
non nel ristretto orizzonte della sessione. I detenuti si muovono da soli per svolgere le atti-
vità quotidiane; alle donne non può essere permessa la stessa libertà. I detenuti lavorano in-
sieme a soci “liberi” in cooperative sociali che offrono servizi all’esterno; alle donne è pre-
clusa questa esperienza. (…) Il carcere della rivoluzione, con l’arrivo delle donne, si trova
di fronte a un muro; per essere coerente con il mandato costituzionale, può solo proporre al
femminile tutte le opportunità che in questi sei anni ha costruito per gli uomini”3.
Ecco spiegato in modo molto efficace perché il carcere è maschio. La parità tra i
sessi nell’istituzione carceraria, specie nei casi delle sezioni femminili, è parità omolo-
1 L’affermazione in corsivo riportata nel testo è tratta da L. CASTELLANO - D. STASIO, Diritti e casti-
ghi. Storie di umanità cancellata in carcere, Milano, 2009, 127.
2 Agli occhi di un osservatore profano, come chi scrive, colpisce molto la circostanza che a quasi venti
anni di distanza dalla prima nota ricerca sull’argomento, E. CAMPELLI - ACCIOLI - V. GIORDANO - T. PITCH,
Donne in carcer e. Ricerca sulla detenzione femminile in Italia, Milano 1992, ci si trovi ancora a denunciare
la condizione di debolezza delle donne detenute e quindi la negazione di dirit ti che invece sono riconosciuti
agli uomini. Tra gli altri studi sull’argomento si segnalano: M. LANFRANCO, Donne dentro: detenute e a-
genti di polizia, Genova, 1998; AA.VV., Donne e carc ere, una r icerca in Emilia Romagna, Milano, 2004;
AA.VV., Detenute=F emminile plurale. Prima indagine sulla detenzione femminile nella provincia di Tera-
mo, a cura di R.A. CIARROCCHI - W. NANNI, Milano, 2008. Di grande interesse e utilità per approfondire il
tema è anche il dibattito costantemente aggiornato tra studiosi ed operatori consu ltabile nel sito
www.ristretti.it
3 L. CASTELLANO, D. STASIO, Diritti e castighi, cit., 128.
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gante in ragione, o a causa, della stessa struttura organizzativa che annulla qualunque
differenza di genere. Perfino il linguaggio universale dei diritti4, che come abbiamo letto è
stato l’unico in grado di avviare un processo di democratizzazione delle istituzioni carcera-
rie, dentro il carcere, suo malgrado, si declina al maschile, tanto da prefigurare il ricono-
scimento dei medesimi diritti alle donne come la prossima rivoluzione da attuare.
Se n on fo sse paradoss ale, verrebbe da dire che l’i stituzio ne c arcerari a è la più
egualitaria possibile essendo organizzata sull’assunto che la parità tra i sessi è presup-
posta in partenza!
Paradosso a parte, occorre invece chiedersi quali le ragioni che hanno indotto a
non tenere nella giusta considerazione il fenomeno della detenzione femminile? In
primo luogo, va detto che sulla condizione denunciata pesa una grave eredità culturale,
retaggio di una filosofia punitiva maschile, facilmente verificabile attraverso l’analisi
della storia della carcerazione femminile in Italia5, in forza della quale la donna che in-
correva in atti delittuosi doveva essere necessariamente un soggetto deviato, pazza o
malata, in quanto veniva meno al suo “sta tus naturae”. Questo perché non si poteva
ammettere, culturalmente, che la donna potesse coscientemente desiderare, con auto-
nomia di scelta di uscire dal perimetro delle regole. Di conseguenza la donna deviata
era degna di una doppia emarginazione, sia perché colpevole sia perché donna degene-
re E se nel caso vi fossero stati dei figli sarebbe stata considerata una madre altrettanto
degenere, al punto che, per molto tempo, la loro amoralità le ha fatte considerare inde-
gne di continuare il loro rapporto con i figli all’interno degli istituti penitenziari. Biso-
gnerà attendere la riforma dell’ordinamento penitenziario del 1975, la legge n. 354, per
cominciare a vedere concretamente un cambiamento di segno nella gestione della de-
tenzione femminile, che per la prima volta viene affidata a personale qualificato dipen-
dente dallo Stato (vigilatrici, educatori, psicologi, assistenti sociali, ecc) in luogo delle
suore che fino ad allora ne avevano avuto la custodia esclusiva, impostando la vita car-
ceraria sull’idea di “correzione” della donna che aveva commesso l’errore.
4 La forza dei diritti evocata nel testo si basa, a giudizio di chi scrive, sul principio, ampiamente rico-
nosciuto dalla nostra Costituzione, della anter iorità della persona umana rispetto allo Stato e “la destinazio-
ne di questo al servizio di quella” (cfr al riguardo l’o rdine del giorno Dossetti presentato nella seduta del 9
settembre 1946 della Assemble Costituente) che, come è noto, ha rappresentato un valido compromesso tra
gli opposti orientamenti, di matrice laica e cattolica, presenti in Assemblea Costituente. Ciò non toglie però,
come sostiene correttamente A. LOIODICE, Il rispetto dei diritti umani come limite di ogni r egime, in P.
GIOCOLI NACCI A. LOIODICE, Materia li di diritto costituzionale, Bari, 2000, 109 ss., che l’interpretazione
delle disposizioni costituzionali, specie quelle concernenti i diritti, non possa sottrarsi al confronto col dirit-
to naturale, sulla base del presupposto che molte delle affermazioni di valore contenute nelle costituzioni
liberal-democratiche, come “libertà individuale”, “eguaglianza”, “solidarietà”, ecc., hanno un contenuto
etico che si esprime attraverso un ordine normativio, giuridicamente vincolante. A giudizio dell’A. il diritto
naturale contribuisce ad assicurare la garanzia dei diritti nei confronti dei pubblici poteri at traverso il conte-
nimento dell’azione del potere in nome, e per conto, del valore normativo della persona umana di cui i dirit-
ti sono espressione. Vale la pena ossservare che quest’ultima obiezione è direttamente confermata dalla te-
matica esaminata nel t esto. Siamo tutti testimoni, infatti, dell’impegno profuso dalla Chiesa cattolica, in
particolare nel corso dell’Alto Magistero di Giovanni Paolo II, nella battaglia contro il s ovraffollamento
delle carceri italiane, che ha indotto il Pontefice, nel dicembre del 2002, a sensibilizzare le autorità italiane
affinchè intervenissero con un provvedimento di amnistia per i reati meno gravi, allo scopo di migliorare le
degradanti condizioni di vita dei detenuti.Con specifico riferimento al rapporto tra diritto naturale e norme
costituzionali si v. dello stesso A., Valori costituzionali e dir itto naturale: spazio per gli argomenti
dell’interprete, in Studi in onore di F. Modugno, III, Napoli, 2011, 1949 ss.
5 R. CANOSA - I. COLONNELLO, Storia del carcere in Ita lia dalla fine del ‘500 all’Unità, Roma, 1984.
Molto utile al riguardo il breve ma puntuale excursus storico della detenzione femminile in Italia elaborato
da A. SALVATI, La detenzione femminile, in www.amministrazioneincammino.luiss.it, che ci ricorda quanto
sosteneva Cesare Lombroso a proposito della donna che delinque: “Se la criminalità femminile è molto me-
no diffusa di quella maschile, dipende dal fatto che le donne sono più deboli e stupide degli uomini” (C.
LOMBROSO (1893), La donna delinquente, la pr ostituta e la donna normale, Varese, 2009).

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