L'istruzione universitaria nelle istituzioni carcerarie
Autore | Panizza S. |
Pagine | 945-955 |
945
Saulle Panizza
L’ISTRUZIONE UNIVERSITARIA
NELLE ISTITUZIONI CARCERARIE
SOMMARIO: I. I pri ncipi costituzionali in ordine al rapporto tra carcere e istruzione universitaria per i det e-
nuti. - II. L’attuazione dei principi costituzionali. Il primo periodo repubblicano, caratterizzato dal
mantenimento in vigore del regolamento carcerario del 1931. - 1. (Segue): La riforma dell’ordina-
mento penitenziario attorno alla metà degli anni s ettanta (l. n. 354/1975). - 2. (Segue): L’attuazione
regolamentare della riforma legislativa (il d.p.r. 431/1976 e il d.p.r. 230/2000). - III. L’applicazione concreta
della disciplina normativa. - IV. Il contributo della giurisprudenza costituzionale all’evoluzione della disci-
plina dell’ordinamento penitenziario. - V. I limiti di “effettività” del sistema di tutela dei diritti dei detenuti.
- 1. (Segue): Alcune recenti prese di coscienza della drammaticità del problema.
I. I principi costituzionali in ordine al r apporto tra carcer e e istruzione universitaria
per i detenuti
Affrontare, dalla prospettiva del giurista, e del costituzionalista in particolare, il
tema del rapporto tra carcere e formazione universitaria impone innanzitutto una breve
ricognizione del quadro ordinamentale in cui esso si colloca1.
La disposizione che viene più immediatamente in evidenza è costituita, com’è no-
to, dall’art. 27, comma 3, Cost., ai sensi della quale “le pene non possono consistere in
trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condan-
nato”, stabilendosi in esso il rilievo della finalità rieducativa, la quale entra in tal modo
in bilanciamento con le altre funzioni riconducibili alla pena, retributiva, di prevenzio-
ne e di difesa sociale2. Viene poi in considerazione ai fini dell’inquadramento del tema,
anche in questo caso per un richiamo di tipo diretto, l’art. 13, comma 4, Cost., il quale
prevede sia “punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a
restrizione della libertà”, all’interno della più generale tutela della libertà personale.
A queste disposizioni vanno poi affiancati i principi di natura generalissima rica-
vabili dal disposto degli artt. 2 e 3 Cost., il primo per il richiamo al riconoscimento e
alla garanzia dei “diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni
sociali ove si svolge la sua personalità”3, il secondo per le affermazioni in ordine alla
pari dignità sociale di tutti i cittadini, all’eguaglianza formale, al divieto di distinzioni,
1 Il presente testo riprende, ampliandoli, i contenuti di un intervento svolto nell ’ambito di un Conve-
gno di studi dal titolo “Il carcere in-formazione: esperienze a confronto” (Pi sa, 27-28 giugno 2011),
all’interno della sessione dedicata a “Carcere e formazione universitaria”, e destinato alla pubblicazione nei
relativi atti. All’Autore è parso non fuori luogo l’inserimento in questi Scritti in onore, in considerazione
dell’attenzione da sempre prestata da parte del destinatario dell’omaggio ai temi dell’autonomia universita-
ria, della libertà di informazione e dei profili educativi, come si ricava dalla Sua nutrita bibliografia e fin dai
primi scritti in ordine di tempo.
2 Per una ricostruzione dei precedenti e dell’origine della disposizione, con particolare riferimento alle
scelte dell’Assemblea costituente e al cammino di attuazione dei principi consacrati nell’art. 27 Cost., v. M.
D’AMICO, Commento all’articolo 27 della Costituzione, in AA.VV., Commentario alla Costituzione, a cura
di R. BIFULCO - A. CELOTTO - M. OLIVETTI, Torino, 2006, 563 ss., la quale analizza in dettaglio l’attua-
zione legislativa e l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale nei decenni successivi.
3 Sull’inclusione del carcere nel concetto di “formazione sociale”, pur se non libera e spontanea ma
coattiva, v. per tutti A. PIZZORUSSO, Manuale di istituzioni di diritto pubblico, Napoli, 1997, 164 s. e 181, il
quale osserva che se “i rapporti che si svolgono nel suo interno non possono certamente essere ispirati agli
stessi principi che regolano le convivenze libere e spontanee (…) non è affatto escluso che anche ad essi
possano applicarsi il principio di eguaglianza, la libertà di opinione e tutti quegli altri aspetti della tutela
della persona che non siano assolutamente incompatibili con la particolare condizione dei reclusi”.
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