Dignità umana e giudice amministrativo

AutoreScaccia G.
Pagine1089-1104
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Gino Scaccia
DIGNITÀ UMANA E GIUDICE AMMINISTRATIVO*
SOMMARIO: I. La dignità umana nella Costituzione italiana. - II. La dignità come diritto fondamentale e
come valore costituzionale primario: riflessi applicativi. - III. Gli ambiti applicativi e gli usi argomen-
tativi della dignità umana da parte del giudice amministrativo.
I. La dignità umana nella Costituzione italiana
Nella Costituzione italiana lunico riferimento testuale alla nozione di «dignità
umana» ricorre nellarticolo 41, al secondo comma, là dove si prevede che liniziativa
economica privata «non può svolgersi in contrasto con lutilità sociale o in modo da
recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». La dignità è, da un lato,
un vincolo alla discrezionalità dellimprenditore nella scelta degli strumenti organizza-
tivi, un limite allesercizio della libera intrapresa privata, che non può assumere ad og-
getto attività nocive alla sanità e incolumità dei lavoratori, che importino sfruttamento1
o comunque si svolgano in modo da richiedere ladempimento di prestazioni eccessi-
vamente dure, umilianti o degradanti2, anche in considerazione del luogo nel quale si
compiono3; dallaltro, è bene indisponibile per lo stesso esercente lattività economica,
che non può volontariamente rinunciarvi, «in considerazione del valore assoluto della
persona umana sancito dall’art. 2 Cost. (…)»4.
Ulteriore riferimento alla dignità si rinviene nellarticolo 3, primo comma, della
Costituzione, ove si legge che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali
davanti alla legge senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche,
condizioni personali e sociali. La norma, che intende segnare la massima distanza ri-
spetto agli ordinamenti di tipo aristocratico o cetuale nei quali è attribuita una più ele-
vata posizione sociale a coloro che siano in possesso di titoli nobiliari5, fa della dignità
loggetto di un apprezzamento esterno al soggetto, che identifica la condizione di per-
fetta eguaglianza, quanto allo status sociale, che la Costituzione riconosce a tutti i cit-
tadini indipendentemente dalloccupazione o professione espletata, perché «ogni attivi-
tà lecita è manifestazione della persona umana»6.
* Il testo integra la relazione al Convegno dellAssociazione dei giudici amministrativi tedeschi, ita-
liani e francesi (AGATIF), tenutosi a Strasburgo il 27 e 28 novembre 2009.
1 Corte cost., sent. n. 78 del 1958.
2 Una prestazione lavorativa può a ssumere un carattere degradante anche per le condizioni in c ui vie-
ne prestata: si veda Corte di Cassazione, sezione lavoro, 29.11.1985, n. 5977, in Orient. giur. lav., 1985,
1147, con cui si è stabilito che: «Il lavoratore offeso nella sua dignità di uomo ben può chiedere la risol u-
zione del rapporto e il risarcimento dei danni che ne d erivano» e si è osservato che «La prestazione di lavo-
ro è impossibile in una condizione di disprezzo di essa, di disprezzo della persona che la rende, di disprezzo
degli uomini che vi attendono, e, quindi, in una condiz ione di costrizione ad eseguirla senza dignità e senza
libertà, pena la disoccupazione in caso di rifiuto».
3 Corte cost., sent. n. 51 del 1967.
4 Corte cost., sentt. n. 21 del 1964 e n. 479 del 1987, in replica alla prospettazione del giudice rimet-
tente, il qual e riteneva che i limiti costituzionali dellart. 41 fossero liberamente disponibili, nel senso che
dovessero intendersi come sicurezza e «dignità» altrui, non dei soggetti stessi che intraprendono l attività
economica.
5 Titoli che, ai sensi della XIV disposizione transitoria e finale della Costituzione, non sono ricono-
sciuti, se non come parte del nome.
6 Corte cost., sent. n. 109 del 1993, con la quale la dignità sociale è stata qualificata come «valore c o-
stituzionale primario».
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In questa sua dimensione comunitaria la pari dignità, che appare inseparabile dal
principio di eguaglianza formale, si connette in modo stringente alla proclamazione
dellarticolo 3, secondo comma, che impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli
che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e leffettiva partecipazione di
tutti i lavoratori allorganizzazione politica, economica e sociale del Paese. Vero, infat-
ti, che lordinamento annette identico valore alle diverse forme di operosità individua-
le, è altrettanto vero che solo leliminazione delle diseguaglianze di fatto mette ciascu-
no nella reale condizione di concorrere al progresso materiale e spirituale della società
e, quindi, di guadagnare la stima e lapprezzamento dei consociati che danno una di-
mensione non puramente declamatoria alla dignità sociale.
La dignità sociale colora di un diverso significato lo stesso divieto di discrimina-
zioni soggettive contenuto nellart. 3, primo comma, della Costituzione. Laddove
questultimo prescrive che le diversità non possono costituire ragione di irragionevole
discriminazione, lappello alla dignità sociale e il riconoscimento della dignità come
paradigma cui deve essere conformato lo sviluppo della persona umana richiede che le
differenze siano oggetto di affermazione e considerazione, nellottica di una loro valo-
rizzazione7. Perché in una società fortemente pluralizzata luniformismo sarebbe esso
fattore di ingiustificata discriminazione.
Una nozione schiettamente patrimoniale di dignità ricorre, infine, nellarticolo 36
della Costituzione, che riconosce al lavoratore il diritto «a una retribuzione proporzio-
nata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e
alla sua famiglia unesistenza libera e dignitosa». Il diritto a una retribuzione «propor-
zionata» non si esaurisce nella pretesa al mero corrispettivo del rapporto di scambio,
ma implica al contrario il divieto di remunerare il lavoratore in misura così infima da
costringerlo a un tenore di vita degradante, lesivo della sua dignità, in quanto insuffi-
ciente a sopperire al soddisfacimento delle sue esigenze primarie. Questo diritto ad
«assicurarsi un livello minimo di dignità umana attraverso lesercizio di unattività la-
vorativa»8 si traduce come è noto nella previsione di un limite retributivo minimo,
un «salario minimo biologico»9, definito sulla base dei contratti collettivi nazionali di
lavoro di categoria, senza con ciò escluderne uneventuale determinazione con legge.
Lesigenza di rispetto della dignità ha giustificato talora trattamenti differenziati
fra lavoratori quanto alla retribuzione: così nel caso relativo allindennità di caropane,
ossia il diritto a una maggiorazione di paga, a parità di lavoro, riconosciuto soltanto ai
lavoratori «non direttamente approvvigionati di grano in qualità di produttori» e non
provvisti di razione di pane da parte del datore di lavoro10. In quella occasione il giudi-
ce delle leggi affermò la piena compatibilità con il principio di proporzione della retri-
buzione al lavoro prestato di disposizioni legislative le quali «nellintento di assicurare
a tutti i lavoratori un minimo vitale, differenzino, a fine perequativo, la retribuzione
dei lavoratori costretti ad acquistare generi di sussistenza di prima ed elementare ne-
cessità, rispetto a quella dei lavoratori che, provvisti altrimenti di tali generi, non sono
esposti alla relativa spesa».
Accanto alle tre disposizioni appena menzionate, le uniche in cui si rintraccia un
riferimento testuale alla nozione di dignità11, va ricordato larticolo 32 della Costitu-
7 C. AMIRANTE, Diritti di libertà e diritti sociali, 1995.
8 Cass. civ., sez. Lavoro, n. 16600 del 2009.
9 T. TREU, Art. 36, in Commentario della Costituzione, Roma-Bologna, 1979, 82.
10 Corte cost., sent. n. 41 del 1962.
11 Riferimenti indiretti alla dignità potrebbero trovarsi anche nelle disposizioni che sanciscono
linviolabilità della libertà personale (art. 13); del domicilio (inteso in accezione diversa da quella civilistica
come luogo che consenta di isolarsi dallesterno per godere della propria privacy: cfr. art. 14); della corri-
spondenza (art. 15); nelle disposizioni concernenti la libertà di circolazione (a rt. 16), di riunione e associ a-

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