Ordinamento professionale e disciplina delle mansioni nel lavoro pubblico

AutoreUmberto Carabelli - Maria Teresa Carinci
Pagine167-176

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@8.1.Mansioni ed ordinamento professionale nel lavoro pubblico: i limiti di coerenza della speciale contrattualizzazione della materia

Il processo di contrattualizzazione del lavoro pubblico ha inciso fortemente sulla regolamentazione dell’ordinamento professionale dei lavoratori pubblici e, alla base di esso, sulla disciplina delle mansioni, anche se, per altro verso, quello dell’utilizzazione professionale del dipendente pubblico si è rivelato sin dalla prima fase della riforma un ambito molto resistente ad una integrale assimilazione tra “pubblico” e “privato”.

Nonostante le novità, rilevanti e introdotte da subito1, è indubbio, difatti, che il quadro regolamentare abbia cominciato ad assestarsi, e ad essere operativo, solo alla fine degli anni ’90, non abbandonando, comunque, sino in fondo, i tratti della sua originaria specialità. Le ragioni sono ben comprensibili, se solo si pensa al radicato intreccio, nel vecchio statuto del pubblico impiego tra: il tema delle mansioni e delle qualifiche professionali; quello delle modalità costitutive del rapporto di lavoro, total- mente estranee allo strumento del contratto individuale su cui si fonda il diritto del lavoro nell’impresa privata; infine, quello della rigidità dell’organigramma delle amministrazioni pubbliche. In pratica, l’assunzione ad un impiego pubblico si snodava attraverso passaggi e fasi di natura pubblicistica il cui esito finale era l’incardinamento formale del lavoratore su un posto in organico (il ruolo); posto definito attraverso una qualifica funzionale corrispondente ad una porzione delle attività amministrative svolte dall’ufficio cui l’impiegato era assegnato (§ 2.1).

Questo spiega la formulazione di una disciplina ad hoc, contenuta nell’art. 52 del D.Lgs. n. 165/2001; norma che oscilla tra ampie aperture alle logiche del contratto individuale e qualche persistente lascito del pregresso regime speciale; con ciò dando vita ad assetti interpretativi e prospettive operative che nemmeno la recente riforma di cui al Decreto delegato n. 150/2009 ha appianato del tutto. In altre parole, sebbene la contrattualizzazione abbia comportato una significativa inversione di prospettiva nella materia in questione – spostando l’accento dalla qualifica, descrittore delle funzioni attribuite al dipendente, alle mansioni, descrittore del contenuto della prestazione oggetto del contratto di lavoro – ancora oggi la compenetrazione tra il peculiare assetto organizzativo ed economico-finanziario delle pp.aa. e lo svolgimento della prestazione lavorativa rende spesso faticoso il ricorso completo all’apparato concettuale proprio degli atti di autonomia negoziale.

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Più specificamente, va sottolineato come la disciplina del lavoro pubblico leghi molto – ancor più di quanto non avvenga nel privato – la definizione del contenuto obbligatorio della prestazione lavorativa alle esigenze generali del contesto organizzativo, in questo caso quello dei pubblici uffici; e come lo sviluppo di quel legame rechi con sé numerosi tratti di problematicità. Oltre a quelli tradizionali, connessi ai limiti del potere datoriale di conformazione delle mansioni alle concrete esigenze dell’organizzazione del lavoro e degli uffici, ci sono aspetti molto più critici: in primis, quello della piena coerenza tra assetti organizzativi, sistemi di inquadramento professionale, adottati dai contratti collettivi, e modelli di valutazione del personale. su tale intreccio l’ultima riforma del lavoro pubblico pare muoversi con decisione, per quanto facendo leva prevalentemente sul terzo dei tre versanti operativi (v. cap. 3).

@8.2. I modelli di inquadramento del personale: tecniche per la valorizzazione dell’effettiva professionalità

La trattazione deve prendere le mosse dalle tecniche normative con cui si inquadrano i lavoratori pubblici. Questi ultimi sono in linea di massima catalogabili, in prima battuta, sulla scorta delle categorie legali di cui all’art. 2095 cod. civ.; ma il riferimento alla norma codicistica assume qui un valore più descrittivo che in senso stretto precettivo; nella misura in cui l’applicabilità dell’art. 2095 cod. civ. al lavoro pubblico, piuttosto discussa, di sicuro non è integrale2. A parte i dubbi di assimilazione tra dirigenti privati e dirigenti pubblici, manca allo stato nel pubblico impiego, infatti, una categoria corrispondente a quella dei quadri. È pur vero che il legislatore ha previsto la vice dirigenza, probabile omologo dei quadri, ma si tratta di una figura troppo controversa, apparentemente sfornita dei tratti di una vera e propria categoria legale. Non tanto per il fatto che la sua stessa istituzione risulta integralmente affidata alla contrattazione collettiva3 – e, dunque, potrebbe anche non trovare mai una compiuta ed effettiva realizzazione, dato che la norma interpretativa di cui all’art. 8 della L. n. 15/2009 non pone certo un obbligo di contrattazione, parlando espressamente di ‘facoltà’ – quanto piuttosto perché essa appare meglio ricostruibile come una mera, appunto eventuale, qualifica convenzionale, attribuita a lavoratori altamente professionalizzati – quelli descritti dalla norma legale – possibili destinatari di una quota di funzioni dirigenziali.

Quanto appena detto, comunque, testimonia – sebbene non vi sia stato ancora un intervento negoziale in materia di vice dirigenza – come, e quanto, la materia della classificazione del personale sia un oggetto privilegiato della contrattazione collettiva. E, a prima vista, continuerà ad esserlo anche dopo la novella del 2009, al cui interno la Page 169 materia in questione, infatti, non si rivela attratta sotto l’egida della legge: ciò può desumersi dai numerosi rinvii alla contrattazione, ancora presenti nell’art. 52 D.Lgs. n. 165/2001, e dal fatto che tale norma, nella sua nuova formulazione, si limita a dettare un principio regolatore – evidentemente destinato alla autonomia collettiva – in base al quale i «dipendenti pubblici, con esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie, conservatori e istituti assimilati, sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali».

La disposizione novellata, in buona sostanza, non fa che confermare l’operato della contrattazione collettiva, già intervenuta in tutto il settore pubblico – a partire dalla seconda tornata quadriennale successiva alla riforma del ’93 (1998-2001) – a ridefinire i sistemi di classificazione professionale. I quali, nei diversi comparti, sono stati articolati proprio su 3 o 4 aree o categorie; esse identificano il primo insieme di inquadramento generale dei lavoratori, attraverso la tecnica delle declaratorie, formule convenzionali che rappresentano conoscenze, competenze e capacità richieste per lo svolgimento delle relative attività lavorative.

Le aree/categorie sono, poi, articolate al loro interno in posizioni economiche o livelli economici o fasce retributive o fasce di merito (come dice la recente riforma). Ed ancora, nell’ambito delle aree/categorie si individuano i diversi profili professionali, che, nel definire i contenuti tecnici della prestazione lavorativa e le attribuzioni proprie dell’area/categoria di appartenenza, consentono di identificare in concreto le mansioni. In pratica si tratta dell’aggregato descrittivo più vicino alla nozione privatistica di qualifica; là dove va notato come l’art. 52, co. 14, sembri invece utilizzare questo termine, con riferimento al caso dell’assegnazione a mansioni superiori, piuttosto per individuare l’area contrattuale. Infine, in alcuni comparti all’interno della categoria sono distinguibili posizioni economiche apicali, che possono rappresentare, al tempo stesso, un incremento stipendiale ma anche un livello professionale differenziato dagli altri, pur all’interno della stessa area5.

Non ineriscono all’inquadramento professionale, invece, pur essendo certamente riconducibili ad una modalità tecnica di rappresentazione e organizzazione delle capacità lavorative del dipendente, le c.d. posizioni organizzative. Non si tratta di qualifiche, bensì di incarichi a tempo determinato di particolare valore e contenuto professionale, specificamente retribuiti, che possono essere assegnati dai dirigenti, con atto motivato, ai dipendenti che rivestono qualifiche apicali. In genere, l’oggetto dell’inca- rico è lo svolgimento di funzioni di direzione di unità organizzative di particolare complessità ovvero di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione o, ancora, di attività di staff, e/o studio, ricerca, ispettive, di vigilanza e controllo caratterizzate da «elevate autonomia ed esperienza». Le posizioni organizzative – create dall’autonomia negoziale – rappresentano uno strumento di flessibilizzazione delle inevitabili rigidità dei sistemi di...

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