Privatizzazioni, esternalizzazioni e tutela dei lavoratori

AutoreUmberto Carabelli - Maria Teresa Carinci
Pagine265-275

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@19.1. I processi di privatizzazione ed esternalizzazione di attività e servizi pubblici

Nel secolo scorso la dottrina pubblicistica aveva già delineato e analizzato il fenomeno dell’esercizio privato di funzioni pubbliche con riferimento a figure come gli ausiliari dello stato o a istituti come il c.d. munus. Il fenomeno non costituisce, dunque, una novità per il nostro ordinamento, anche se oggi esso si presenta in termini radicalmente nuovi. Le caratteristiche e le dimensioni assunte dai processi di privatizzazione e di esternalizzazione di attività e di servizi pubblici stanno determinando, infatti, una profonda modificazione dell’azione delle amministrazioni pubbliche. All’occasionale e marginale coinvolgimento di privati nell’esercizio di funzioni pubbliche, si sostituisce a partire dagli anni ’90, e sotto l’influsso del movimento culturale anglosassone del cd. new public management, una strategia che punta al progressivo ritrarsi della p.a. dall’esercizio diretto di talune attività e servizi, che vengono affidati alle cure di aziende specializzate e imprese.

Espressione di questa strategia sono:

– da un lato, le privatizzazioni, caratterizzate dal mutamento della natura giuridica, da pubblica a privata, del titolare di attività o di servizi (già) pubblici; al riguardo, in dottrina è ricorrente la distinzione tra privatizzazioni formali, che si realizzano con la trasformazione dell’ente pubblico, di norma, in una società per azioni, e privatizzazioni sostanziali, dove l’accento cade sul trasferimento del controllo di tali società dal pubblico ai privati (v. § 1.2.3).

– dall’altro lato, le esternalizzazioni, connotate, invece, dal passaggio da un’amministrazione che produce beni e servizi strumentali alla propria attività ad una che li acquisisce dall’esterno; anche in tal caso occorre distinguere tra l’acquisizione di beni e servizi mediante il ricorso al libero mercato – e quindi alla selezione del fornitore attraverso una gara – e l’acquisizione di beni e servizi direttamente da società costituite o partecipate dalle stesse amministrazioni pubbliche) (v. § 1.2.4).

Gli studiosi di diritto amministrativo hanno peraltro evidenziato che molti casi di privatizzazione andrebbero più correttamente qualificati come dismissioni di attività impropriamente internalizzate dalle pp.aa. (si pensi ad es. al patrimonio immobiliare – non destinato a scopi pubblici – e alla relativa attività di gestione, ovvero alle attività culturali di alcuni enti pubblici).

Pur se diversamente denominati, questi meccanismi designano piuttosto un continuum, in quanto privatizzare (o dismettere) un’attività o un servizio pubblico determina di per sé il loro formale trasferimento all’esterno dell’amministrazione con la correlata ‘depubblicizzazione’ delle regole di governance e di azione che passano dal diritto am- Page 266 ministrativo e quello privato1. Ed è ancora questo l’effetto tipico che produce l’esternalizzazione della medesima attività o servizio pubblico ottenuto – senza passare attraverso il mutamento della natura giuridica (da pubblico a privato) del gestore ma – dando in appalto o in concessione a un soggetto privato lo svolgimento, dietro corrispettivo, dell’attività o del servizio in precedenza prodotti dall’amministrazione2 (v. cap. 20).

Ora, la collaborazione tra pubblico e privato nella gestione di funzioni pubbliche è prevista nell’art. 118, co. 4, Cost., che (dopo la riforma costituzionale neo-federalista del 2001) afferma il principio di sussidiarietà c.d. orizzontale «per lo svolgimento di attività di interesse generale». Inoltre, lo svolgimento di funzioni pubbliche da parte di privati, anche a mezzo di esternalizzazioni, ha trovato l’espresso avallo della Corte costituzionale che, in più occasioni, ha affermato l’esistenza in materia di un principio di discrezionalità del legislatore le cui scelte sono sindacabili alla luce dell’ordinario criterio di ragionevolezza3. Ciò comporta, allora, che anche le attività di core business, intese come quelle più strettamente attinenti ai compiti istituzionali delle amministrazioni, possono essere esternalizzate ove – in ossequio al principio di legalità – una espressa disposizione di legge abiliti i privati ad adottare provvedimenti (amministrativi), finanche autoritativi4.

In questo quadro, il passaggio dal pubblico al privato è utilizzato – a volte con dichiarazione espressa del legislatore (v. § 19.2) – come strategia preordinata a una diminuzione dei costi e, quindi, a un miglioramento dei conti pubblici e dell’efficienza gestionale.

Ebbene, non è qui oggetto di discussione quanto il parametro economico sia sufficiente a sancire l’opportunità di scelte che non di rado incidono sui diritti di cittadinanza. Vale la pena solo osservare che negli stati Uniti, dove i processi in esame sono stati estesi e profondi (sino a coinvolgere prigioni e polizia giudiziaria) sono in atto un ripensamento politico ed una tendenza alla re-internalizzazione di funzioni pubbliche previamente esternalizzate, rispetto alle quali eventi drammatici hanno posto in risalto la difficile conciliabilità del perseguimento del profitto con la migliore tutela dell’inte- Page 267 resse pubblico (si pensi, in particolare all’attività di controllo dei passeggeri agli aeroporti dopo gli attentati dell’11 settembre, ovvero all’affidamento in gestione a privati della sicurezza delle carceri di guerra in territorio iracheno dopo i fatti di Abu Graib).

È, tuttavia, necessario sottolineare che, più di recente, il legislatore italiano, senza perdere la propensione verso l’immissione dei privati e delle regole di mercato negli spazi in precedenza occupati dalla p.a. (ed, anzi, rafforzandola), ha via via ristretto i margini di legittima percorribilità dei processi di privatizzazione e di esternalizzazione al cui esito permanga una situazione di governo o di controllo da parte dell’amministrazione che li ha determinati.

@19.2. La normativa sulle privatizzazioni ed esternalizzazioni. Profili generali e recenti sviluppi

Tralasciando alcuni interventi settoriali5, un primo intervento legislativo nel quale ha trovato espressione la spinta data alle esternalizzazioni ad opera della p.a. è stato l’art. 24, co. 8, L. n. 448/2001 (legge finanziaria per il 2002), che assegnava agli enti pubblici locali e alle loro aziende il dovere di «promuovere opportune azioni dirette ad attuare l’esternalizzazione dei servizi al fine di realizzare economie di spesa e miglio- rare l’efficienza gestionale».

Ancora nella direzione di una estesa possibilità di esternalizzazione si era già collocato l’art. 112, co. 1, D.Lgs. n. 267/2000, testo unico degli Enti locali (TUEL), il quale, assunta un’ampissima nozione di servizi pubblici locali – intesi come servizi che hanno ad oggetto la «produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali» (art. 112, co. 1) – ha riconosciuto agli enti stessi la potestà di esternalizzarli ove avessero rilevanza economica (ma v. infra)6.

Tuttavia, l’espressione più alta di questo trend legislativo era stata l’introduzione (ad opera di un intervento legislativo del 20067) del comma 1bis nell’art. 36, D.Lgs. n. 165/2001. Questa norma, nel disciplinare la possibilità per le pp.aa. di avvalersi dei contratti di lavoro flessibile, ne aveva espressamente condizionato l’utilizzabilità alla preventiva valutazione di opportunità della attivazione di contratti «per la somministrazione a tempo determinato di personale, ovvero di esternalizzazione e appalto di servizi». In tal modo, seppure con una formulazione piena di incongruenze che aveva suscitato forti dubbi di legittimità costituzionale8, il legislatore aveva imposto a tutte le pp.aa. le esternalizzazioni quale via prioritaria della flessibilità (dalla quale ci si può Page 268 discostare solo previa adeguata motivazione), nel dichiarato obiettivo di coniugarla con il contenimento della spesa pubblica.

Ebbene, come si diceva, il quadro normativo più recente sta evolvendo in altra e diversa direzione.

In primo luogo, il riferimento al preventivo e necessario ricorso alle esternalizzazioni, è stato soppresso dalla disciplina dei contratti flessibili contenuta nella nuova formulazione dell’art. 36 D.Lgs. 165/20019.

In secondo luogo, è stata progressivamente compressa la possibilità (e la convenienza) delle pp.aa. di procedere a privatizzazioni ed esternalizzazioni ‘formali’, in quanto connotate da una persistente condizione di controllo da parte delle medesime amministrazioni degli enti privatizzati o delle società affidatarie dei servizi esternalizzati.

Il riferimento è, anzitutto, all’art. 13 della L. n. 248/2006 (c.d. ‘Bersani’) che, al fine di evitare alterazioni o distorsioni alla concorrenza, ha preso di mira le società costituite o partecipate dalle pp.aa. regionali o locali per la produzione di beni e servizi strumentali alla loro attività (diversi dai servizi pubblici locali: v. infra) ovvero per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative, imponendo loro di «operare con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti», con divieto di «svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara» e di «partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale»10.

Non meno significativo è il disposto dell’art. 23bis della L. n. 133/2008, di recente ulteriormente novellato dalla L. n. 166/2009 (art. 15), che ha profondamente modificato la disciplina in materia di servizi pubblici locali a rilevanza economica contenuta nelle previgenti disposizioni del TUEL (innanzi richiamate), scoraggiando fortemente le ‘privatizzazioni’ e le ‘esternalizzazioni’ realizzate mediante affidamenti diretti a società in house (di proprietà o comunque controllate...

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