Il potere disciplinare

AutoreUmberto Carabelli - Maria Teresa Carinci
Pagine215-224

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@14.1. Il fondamento giuridico del potere disciplinare

L’esercizio del potere di irrogare sanzioni disciplinari a carico di tutti i dipendenti delle pp.aa. è disciplinato dagli articoli 55 ss. del D.Lgs. n. 165/2001. Queste disposizioni – largamente modificate, ovvero introdotte, dalla riforma del 2009 – costituiscono la principale fonte normativa anche se non esclusiva, dato che esse stesse rinviano sia a disposizioni del Codice civile sia alla contrattazione collettiva.

La combinazione di queste differenti fonti delinea i caratteri di una regolazione del potere disciplinare nelle pp.aa. molto diversa da quella valida per i rapporti di lavoro alle dipendenze di datori di lavoro privato, come si avrà modo di vedere nei paragrafi successivi. Anche se va subito precisato che la radice comune del potere disciplinare di tutti i rapporti di lavoro subordinato è ormai l’art. 2106 cod. civ. (come ribadito dall’art. 55, co. 2, D.Lgs. n. 165/2001): in virtù di questa norma, irrogare una sanzione disciplinare ad un dipendente pubblico è esercizio del potere privato della p.a. e non già della sua supremazia speciale, come invece accadeva quando questi rapporti di lavoro erano regolati dal diritto pubblico. Come precisato anche dalla giurisprudenza di legittimità, la sanzione disciplinare non è un provvedimento amministrativo bensì un «negozio giuridico con il quale viene esercitato il diritto potestativo di incidere sulla sfera giuridica del dipendente»1. La natura privatistica del potere disciplinare della p.a., inoltre, trova conferma anche nell’attribuzione di potestà normativa al contratto collettivo, che è atto di autonomia privata (art. 55, comma 2) (ma su questo v. cap. 2).

In realtà, si può parlare di differenza di regolamentazione del potere disciplinare fra lavoro pubblico e lavoro privato solo perché la legge ha adattato la disciplina sostanziale e procedimentale alla peculiarità organizzativa della p.a. (ex art. 97 Cost.) e non per la natura giuridica del potere. pertanto, seppur fortemente limitati rispetto al settore privato2, ai contratti collettivi del settore pubblico è riconosciuta la medesima funzione regolativa del potere disciplinare. La peculiarità organizzativa delle p.a., d’altronde, giustifica altresì la responsabilità civile, amministrativa e contabile dei dipendenti pubblici, la responsabilità per incompatibilità e cumulo di impieghi3 nonché la specifica responsabilità dirigenziale (v. cap. 6).

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@14.2. Le norme disciplinari fra legge, contratto collettivo e codice di comportamento

Il contratto collettivo nazionale di comparto rappresenta la fonte sussidiaria della legge per la individuazione delle infrazioni e delle relative sanzioni disciplinari attraverso la predisposizione del codice disciplinare. L’art. 55, co. 2, D. Lgs. n. 165/2001, stabilisce che la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi, fatte salve le fattispecie legali stabilite dallo stesso decreto.

In dottrina si sostiene che le norme disciplinari dei contratti collettivi costituiscono la fonte principale ma non esclusiva del catalogo delle infrazioni, dal momento che è possibile configurare come condotta illecita sul piano disciplinare anche quei comportamenti non espressamente previsti dal codice disciplinare. si ritiene, perciò, che la tassonomia delle infrazioni del codice disciplinare non esaurisca la gamma di comportamenti lesivi degli artt. 2104 e 2105 cod. civ. soggetti a sanzione, appunto, ai sensi dell’art. 2106 cod. civ. In questo senso il codice disciplinare rappresenterebbe solo un catalogo esemplificativo di comportamenti sanzionabili disciplinarmente.

D’altro canto i contratti collettivi non costituiscono la fonte esclusiva in materia disciplinare, poiché nel D.Lgs. n. 165/2001 vi sono non poche fattispecie sanzionatorie previste dalla legge e che sono indisponibili dal contratto collettivo. Tale indisponibilità trova fondamento esplicito nell’art. 55, co. 1 (ma v. anche art. 40, co. 1, ultimo periodo), secondo il quale le disposizioni legali in materia di responsabilità disciplinare dei dipendenti delle p.a. «costituiscono norme imperative, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1339 e 1419, comma 2, cod. civ.». La nullità delle clausole contrarie a norme imperative e la conseguente sostituzione legale opera nei confronti dei contratti collettivi proprio nel senso che le norme dei codici disciplinari oggi vigenti che risultino in contrasto con le fattispecie sanzionatorie legali sono sostituite di diritto, né i contratti potranno derogare in futuro alle suddette norme di legge.

In conclusione, a differenza del settore privato, il contratto collettivo non è più fonte esclusiva delle sanzioni disciplinari, bensì entro i limiti previsti dalla legge.

Al contratto collettivo spetta, inoltre, la funzione di attribuire rilievo contrattuale ai comportamenti dei lavoratori indicati dal codice di comportamento. L’art. 54, D.Lgs. n. 165/2001, autorizza il Dipartimento della Funzione pubblica a definire unilateralmente, sentite le Confederazioni sindacali rappresentative, tale codice di comportamento, nel quale sono indicati modelli di comportamento che, seppur eticamente doverosi, di per sé non si configurano come obbligo contrattuale4. I predetti comportamenti, peraltro, sono suscettibili di divenire giuridicamente vincolanti per i dipendenti solo grazie all’esplicito rinvio operato dai contratti collettivi nelle norme del codice disciplinare5.

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@14.3. La responsabilità del dirigente (e dei soggetti non aventi qualifica dirigenziale) per l’esercizio del procedimento disciplinare

Quando ha notizia di comportamenti punibili con sanzioni disciplinari superiori al rimprovero verbale e inferiori alla sospensione dal servizio, con privazione della retribuzione per più di 10 giorni, il dirigente deve attivare «senza indugio», il procedimento disciplinare6. proprio questo specifico vincolo posto in capo al dirigente integra una delle differenze più significative nella materia disciplinare fra il settore pubblico e quello privato (almeno a partire dalla riforma del 2009). Mentre, infatti, in quest’ultimo il procedimento disciplinare è nella piena discrezionalità potestativa del dirigente, in quanto alter ego dell’imprenditore, il D.Lgs. n. 165/2001, pur riconoscendo che il dirigente pubblico agisce con «capacità e poteri del datore di lavoro»7, ne limita la discrezionalità in materia disciplinare.

La legge stabilisce, al riguardo, un vero e proprio obbligo legale a carico del dirigente, la cui violazione si configura come responsabilità contrattuale: in base all’art. 55sexies, co. 3, D.Lgs. n. 165/2001, «il mancato esercizio o la decadenza dall’azione disciplinare dovuti all’omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare o a valutazioni sull’insussistenza dell’illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate, in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare», comporta l’applicazione al dirigente responsabile della sanzione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, in proporzione alla gravità dell’infrazione non perseguita8.

Va sottolineato, comunque, che la fonte legale non muta la rilevanza contrattuale della responsabilità del dirigente pubblico nei confronti dell’amministrazione sua datrice di lavoro, dal momento che l’obbligo legale di esercitare il potere disciplinare non è altro che un elemento del regolamento contrattuale del lavoro dirigenziale fissato dalla legge: d’altro canto, come si è detto in precedenza (v. § 4.3.3), nel rapporto di lavoro pubblico è la legge a fissare la delega di poteri dall’amministrazione datrice di lavoro al dirigente.

A sua volta, la responsabilità contrattuale del dirigente non muta la natura del potere disciplinare da lui esercitato sui dipendenti pubblici; infatti, il comportamento omissivo – e quindi inadempiente – del dirigente (consistente, appunto, nella mancata attivazione del procedimento a carico del dipendente) non intacca la posizione giuridica del lavoratore, che, in ogni caso, resterà normalmente non punibile per decorrenza dei termini procedimentali.

Va, infine sottolineato che la responsabilità di cui si è appena trattato è riferita dal legislatore anche ‘ai soggetti non aventi qualifica dirigenziale’, ai quali si applica egualmente la sanzione della sospensione senza retribuzione, «ove non diversamente stabilito dal contratto collettivo». Tale responsabilità, ed il relativo obbligo di esercizio Page 218 dell’azione disciplinare, peraltro, dovranno evidentemente essere rapportati alla specifica (più limitata) competenza che lo stesso legislatore ha attribuito a tali soggetti in materia disciplinare (v. § 14.6).

@14.4. Le fattispecie sanzionatorie contrattuali e legali

In osservanza del principio di proporzionalità sancito nell’art. 2106 cod. civ., i contratti collettivi prevedono una gamma di sanzioni la cui entità è proporzionata alla gravità dell’infrazione. Le sanzioni normalmente previste nei testi contrattuali sono: rimprovero verbale, rimprovero scritto (censura), multa per un importo non superiore a 4 ore di retribuzione; sospensione non superiore a dieci giorni; licenziamento con preavviso; licenziamento senza preavviso. Alcuni contratti collettivi9...

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