La flessibilità del lavoro subordinato nelle amministrazioni pubbliche e il lavoro autonomo

AutoreUmberto Carabelli - Maria Teresa Carinci
Pagine247-258

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@17.1.Variabilità delle funzioni amministrative, processi organizzativi di adattamento e lavoro flessibile

La c.d. flessibilità del lavoro è l’ambito in cui si manifestano con più evidenza i limiti e le contraddizioni della modernizzazione organizzativa delle pp.aa.

Il ricorso alle forme contrattuali c.d. flessibili, infatti, fu ammesso solo nel 1998, in occasione della seconda fase della riforma del lavoro pubblico, allorché l’obiettivo della maggiore efficienza fece emergere la convinzione che gli assetti organizzativi delle amministrazioni pubbliche dovessero essere strutturati in ragione delle funzioni loro assegnate dalla legge (nonché dalla variazione quantitativa e qualitativa di queste ultime).

Nel disegno del legislatore, più precisamente, la significativa delegificazione realizzata in materia avrebbe dovuto rendere più semplici e celeri le modificazioni organizzative e, conseguentemente, innescare un processo continuo di adattamento degli apparati amministrativi ai movimenti di emersione, espansione, recessione ed estinzione delle funzioni pubbliche nonché alle caratteristiche di permanenza o di temporaneità delle attività connesse. In quest’ambito concettuale, il ricorso al lavoro flessibile avrebbe dovuto assecondare l’auspicato processo di adattamento organizzativo con riferimento alle esigenze amministrative di carattere temporaneo.

Sennonché, questo disegno non si è concretizzato e proprio l’inerzia delle pp.aa. sul piano dei riassetti organizzativi ha determinato il verificarsi di fenomeni abusivi nell’impiego di lavoro flessibile. specie allorché il legislatore ha limitato o vietato le assunzioni a tempo indeterminato, infatti, le pp.aa. hanno trovato più facile e conveniente fronteggiare il proprio fabbisogno ordinario e stabile di personale mediante la stipulazione e la reiterazione di assunzioni (soltanto formalmente) temporanee ovvero il ricorso a prestazioni lavorative di natura (ancora una volta solo formalmente) auto- noma, piuttosto che procedere a riorganizzarsi e a redistribuire in modo razionale il personale già dipendente.

Tale ricorso illecito ed abusivo al lavoro flessibile – e, soprattutto, al contratto a termine ed alle collaborazioni coordinate e continuative (v. § 17.4) – ha, alla fine, determinato, sul piano sociale, una forte domanda di stabilizzazione dei rapporti di lavoro di quei soggetti reiteratamente utilizzati con tali forme contrattuali da parte delle amministrazioni; e, sul piano normativo, la previsione di apposite procedure idonee a intercettare e soddisfare questa richiesta, nonché, per contrasto, varie revisioni delle regole dettate dal D.Lgs. n. 165/2001 in tema di conferimento degli incarichi di lavoro autonomo e di impiego di lavoro subordinato flessibile.

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@17.2.Il principio dell’assimilazione normativa del lavoro pubblico al lavoro privato ed il contenuto precettivo dell’attuale articolo 36, d.lgs. n. 165/2001

L’art. 36 del D.Lgs. n. 165/20011 dispone che «per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche [possano] avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa» (co. 2). Così statuendo, la disposizione ribadisce la regola generale sancita dall’art. 2, co. 2, secondo la quale «i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa» (v. § 2.5.2)2.

È così confermato il principio della tendenziale assimilazione del regime giuridico del lavoro pubblico a quello del lavoro privato e, nel contempo, rafforzata la scelta legislativa di creare un diritto comune ai rapporti di lavoro privato e pubblico3. Tale principio, del resto, non è affatto contraddetto dalle altre previsioni contenute nel medesimo art. 36 le quali, come si avrà modo di mostrare, per lo più si limitano a riprendere e ribadire – con una chiara funzione simbolica – alcune regole legislative relative alla legittimazione a stipulare già perfettamente valide ed efficaci anche con riferimento ai rapporti di lavoro pubblico.

Orbene, l’articolo 36 stabilisce innanzi tutto che condizione essenziale affinché il ricorso alle forme contrattuali flessibili sia legittimo è che esso risponda «ad esigenze temporanee ed eccezionali» dell’amministrazione (co. 2), mentre «per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario [di personale] le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato» (nonché, come ovvio, «seguendo le procedure di reclutamento previste dall’articolo 35» del medesimo D.Lgs. n. 165: così il co. 1).

In merito, è opportuno preliminarmente individuare il significato dell’attributo “eccezionale” che qualifica, insieme alla temporaneità, le esigenze dell’amministrazione e ciò perché la pratica amministrativa pare essere decisamente orientata per una svalutazione del requisito. Infatti, nonostante da un punto di vista linguisticamente rigoroso tale termine si presti ad essere inteso come sinonimo di “impreviste”, “occasionali” ed “irripetibili”, è ben presto emerso – anche ad opera dell’Ufficio per il personale delle pp.aa. del Dipartimento della Funzione pubblica presso la presidenza del Consiglio dei Ministri – un orientamento secondo il quale l’eccezionalità «non va intesa in termini di imprevedibilità quanto piuttosto di straordinarietà», ossia come un «rafforzamento del concetto stesso di temporaneità [servendo ad escludere] che l’esi- 4. peraltro, questo orientamento, fino a tempi recenti privo di un valido fondamento normativo, potrebbe oggi ritenersi giustificato – per quanto indirettamente – dalla previsione che attribuisce un diritto di precedenza nelle assunzioni a termine per lo svolgimento di attività stagionali ai lavoratori che siano già stati assunti a termine per lo svolgimento delle medesime attività stagionali5. È il caso di evidenziare, infatti, come il presupposto per l’insorgenza del diritto (ossia, l’esser già stato assunto dalla p.a. per lo svolgimento di attività stagionali) e la condizione per l’esercizio del medesimo diritto (ossia, che la p.a. proceda a nuove assunzioni a termine per lo svolgimento delle medesime attività) possono legittimamente verificarsi solo presupponendo una legittimazione della p.a. a stipulare contratti a termine in presenza di esigenze temporanee, anche se prevedibili (perché stagionali e, quindi, ricorrenti).

Ciò precisato, è da ritenere che le regole contenute nell’art. 36, co. 1 e 2, primo periodo, siano applicabili al contratto di lavoro a termine, alla somministrazione di manodopera, al lavoro accessorio e non anche agli altri rapporti giuridici elencati nel secondo periodo dell’attuale co. 2 dell’art. 36 (cioè, segnatamente, ai contratti di formazione e lavoro e ai «rapporti formativi»). Da un lato, infatti, le p.a. non possono legittimamente soddisfare il proprio fabbisogno di personale, fosse anche temporaneo ed eccezionale, mediante l’instaurazione di rapporti giuridici diversi da quelli di lavoro subordinato quali sono, per definizione, i «rapporti formativi». Dall’altro lato, non si può neppure ritenere che la regola in discorso condizioni la stipulazione dei contratti di formazione e lavoro, poiché questi, pur avendo un termine finale di efficacia, assolvono ad una funzione pratica che presuppone, quale esito normale, la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato6: permettere al datore di lavoro di impartire al dipendente la formazione che ritiene più opportuna, infatti, ha senso solo se si presuppone un interesse ad assumere a tempo indeterminato il lavoratore che consegua gli obiettivi formativi. Del resto, è proprio per tale specifica ragione che il legislatore, allorché ha dettato la disciplina del contratto a termine, ha precisato che le previsioni del D.Lgs. n. 368/2001 – ivi comprese quelle relative alle causali che legittimano l’apposizione del termine – non sono applicabili al contratto di formazione e lavoro7.

Nella misura in cui, poi, le ‘regole’ contenute nell’art. 36, co. 1 e 2, primo periodo, D.Lgs. n. 165/2001 siano riferite al lavoro a termine e al lavoro somministrato, esse appaiono nella sostanza ripetitive di quelle già vigenti per il lavoro privato ed applicabili al lavoro pubblico. per quanto riguarda la disciplina del rapporto di lavoro a tempo determinato, infatti, è già l’art. 1, D.Lgs. n. 368/2001 a configurare l’apposizione di un termine finale di efficacia come deroga rispetto al principio generale per cui «il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato» (co. 01) e, Page 250 comunque, ammissibile soltanto «a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro» (co. 1). Disposizione identica a quest’ultima, poi, è contenuta nell’art. 20, co. 4, D.Lgs. n. 276/2003, in tema di somministrazione di manodopera a tempo determinato. In entrambi i casi, ad ogni modo, la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie hanno ritenuto che debba trattarsi di esigenze di natura temporanea, al pari di quanto esplicitamente previsto, come si è detto, dall’art. 36, D.Lgs. n. 165/2001.

Ad una conclusione differente, invece, si deve arrivare con riferimento al lavoro accessorio, posto che in tal caso l’occasionalità e l’accessorietà sono riferite dalla legge non alle esigenze delle pp.aa., bensì alla stessa prestazione lavorativa (e legislativamente definite in base al compenso che il lavoratore percepisce da parte di ogni singolo committente nel corso dell’anno solare, che non può essere superiore a € 5.000)8. In questa ipotesi, quindi, il principio di legittimazione a stipulare dettato dall’art. 36, co. 1 e 2, primo periodo, avrebbe un reale valore precettivo perché impedirebbe...

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