Orario di lavoro, pause, riposi e Ferie

AutoreUmberto Carabelli - Maria Teresa Carinci
Pagine187- 194

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@10.1. La disciplina generale in materia di orario di lavoro e la sua applicazione alle pubbliche amministrazioni

A distanza di quasi sette anni dalla scadenza dei termini imposti dal legislatore comunitario, il D.Lgs. n. 66/20031 ha dato attuazione alla Direttiva n. 93/104/CE (come modificata dalla Dir. n. 2000/34/CE), concernente «taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro»2. Il decreto, peraltro, ha in realtà operato la ‘riscrittura’ organica dell’intera disciplina relativa all’orario di lavoro, abrogando «tutte le [previgenti] disposizioni legislative e regolamentari nella materia disciplinata dal decreto legislativo medesimo, salve le disposizioni [in esso] espressamente richiamate»3.

La nuova disciplina – che, secondo numerosi interpreti, avrebbe determinato un arretramento rispetto a previgenti e rilevanti tutele e presenterebbe, altresì, non pochi problemi di contrasto sia con alcune previsioni costituzionali (in particolare, art. 36, co. 2 e 3, Cost.), sia con la Direttiva comunitaria – si applica «a tutti i settori di attività pubblici e privati» e, quindi, salvo talune eccezioni espressamente indicate (v. § 10.2), anche a quei dipendenti delle pp.aa. che – ai sensi del D.Lgs. n. 165/2001 – soggiacciono tuttora al regime pubblicistico (v. cap. 2).

@10.2. L’esclusione di alcuni lavoratori pubblici o impegnati in servizi di protezione civile dal campo di applicazione della disciplina generale e i problemi di compatibilità con la disciplina comunitaria

Il decreto n. 66/2003 fa ampio uso delle facoltà di deroga concesse dalla disciplina comunitaria, prevedendo specifiche esclusioni da talune tutele, nonché adattamenti delle disposizioni generali a numerose attività lavorative4.

Una particolare rilevanza, ai nostri fini, riveste l’art. 2, il quale, oltre ad escludere (co. 1) dal campo di applicazione delle nuove disposizioni il lavoro del personale indi- Page 188 cato nelle Direttive comunitarie nn. 1999/63/CE e 2000/79/CE e quello prestato dai «lavoratori mobili per quanto attiene ai profili di cui alla Direttiva 2002/15/CE»5, prevede una parziale limitazione del medesimo campo d’applicazione «nei riguardi dei servizi di protezione civile, ivi compresi quelli del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché nell’ambito delle strutture giudiziarie, penitenziarie e di quelle destinate per finalità istituzionali alla attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, delle biblioteche, dei musei e delle aree archeologiche dello stato» (co. 2). Rispetto a questi ultimi servizi ed attività, infatti, le disposizioni contenute nel decreto non trovano applicazione, «unicamente in presenza di particolari esigenze inerenti al servizio espletato o di ragioni connesse ai servizi di protezione civile, nonché degli altri servizi espletati dal Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, così come individuate con decreto del Ministro competente, di concerto con i Ministri del lavoro e delle politiche sociali, della salute, dell’economia e delle finanze e per la funzione pubblica, da emanarsi entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto».

L’ampiezza del catalogo di servizi ed attività contenuto nella previsione (ove, tra l’altro, compaiono anche biblioteche, musei ed aree archeologiche) desta qualche perplessità in merito alla sua conformità alla disciplina comunitaria. L’art. 1, par. 3, Dir. n. 93/104/CE, infatti, prevede che la Direttiva medesima «si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, ai sensi dell’articolo 2 della Direttiva 89/391/CE» (cioè la cosiddetta Direttiva quadro in materia di sicurezza e salute dei lavoratori): di modo che, tenuto conto di quest’ultima disposizione e delle esclusioni previste dal par. 2 di essa, anche le disposizioni comunitarie in materia d’orario non si applicano soltanto «quando particolarità inerenti ad alcune attività specifiche nel pubblico impiego, per esempio nelle Forze armate o nella polizia, o ad alcune attività specifiche nei servizi di protezione civile vi si oppongano in modo imperativo». Ebbene, come ha avuto modo di precisare la Corte di Giustizia, queste eccezioni al campo d’applicazione devono essere interpretate in senso restrittivo e tenendo conto del fatto che le attività escluse devono risultare «indispensabili al buon funzionamento della vita sociale»6. In particolare, la Corte ha affermato che l’esclusione disposta dall’art. 2, par. 2, della Direttiva n. 89/391 «è stata adottata al solo fine di garantire il buon funzionamento dei servizi indispensabili alla tutela della sicurezza, della salute e dell’ordine pubblico in circostanze di gravità e ampiezza eccezionali – per esempio una catastrofe – che si caratterizzano per il fatto di non prestarsi, per loro natura, a una pianificazione dell’orario di lavoro delle squadre di intervento e di soccorso». sulla scorta di tale premessa, la Corte ha concluso che, ove appunto non sussistano le predette caratteristiche di ecceziona- Page 189 lità, persino le attività di soccorso alle persone ferite o ammalate, pur relative ad «eventi che, per definizione, non sono prevedibili», possono comunque essere organizzate preventivamente, anche per quanto riguarda gli orari di lavoro del personale che vi è addetto; a tali attività, pertanto, in condizioni normali, devono essere applicate le previsioni della Direttiva n. 1047. si tratta, evidentemente, di indicazioni destinate a valere anche rispetto ad attività diverse rispetto a quelle considerate, nei casi ad essa sottoposti, dalla Corte e che dovranno quindi guidare l’opera di redazione dei decreti ministeriali chiamati ad individuare le particolari esigenze o ragioni in presenza delle quali le nuove disposizioni non trovano applicazione (della cui emanazione, peraltro, si è tuttora in attesa, nonostante sia da lungo tempo decorso il termine di 120 giorni che, come si è detto, è previsto dall’art. 2, co. 2, D.Lgs. n. 66/2003).

Una simile lettura adeguatrice del dato normativo interno rispetto a quello comunitario, come interpretato dalla Corte di Giustizia, risulta, invece, meno agevole con riferimento alle previsioni di cui all’art. 2, co. 3, D.Lgs. n. 66/2003. Quest’ultimo infatti, prevede, questa volta senza alcuna possibilità di temperamento, che le disposizioni del decreto stesso non si applichino neppure «al personale delle Forze di polizia, delle Forze armate, nonché agli addetti al servizio di polizia municipale e provinciale, in relazione alle attività operative specificamente istituzionali». Va poi considerato che, nel 2008, con una modifica del predetto co. 38, è stata disposta una nuova esclusione, da tutti i profili di tutela, degli «addetti ai servizi di vigilanza privata»; esclusione che, per la sua radicalità e nettezza, presenta rilevanti profili di contrasto con la disciplina comunitaria.

@10.3. I principali contenuti della disciplina italiana

Venendo ai contenuti della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 66/2003, va rilevato che

– salvo quanto si dirà a proposito della distinzione tra orario normale e straordinario

– in esso risulta integralmente riversato lo schema regolativo contenuto nella Direttiva n. 93/104. pertanto, la tutela oggi assicurata in via generale e diretta dalla legge si realizza attraverso la fissazione di:

– un orario massimo settimanale, comprensivo anche delle prestazioni straordinarie, pari a 48 ore, che deve però essere rispettato non nella singola settimana di calendario, ma come media su un arco temporale di quattro mesi, elevabile – a certe condizioni – sino...

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