Diritto e Lógica

AutoreAntonio Incampo
Pagine77-89
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4. DIRITTO E LOGICA
4.0. Non esiste scienza dei “principia mathematica”, senza una
logica della verità; allo stesso modo, non c’è sapere dei doveri giu-
ridici, se mancano regole di validità. Può la verità sostituire la va-
lidità? Si può dire che le norme siano vere o false? Sembrerebbe di
no. Di esse non parliamo di verità o falsità, semmai diciamo che
sono valide o invalide, ossia che stanno in un ordinamento, oppure
no. Il nostro cómpito, tuttavia, non è metafisico come in System
des heutigen römischen Rechts [Sistema del diritto romano attua-
le] (1841, 1847) di von Savigny, e non investe la domanda sul va-
lore della “verità pura e spregiudicata” che continua a vivere nel
diritto per distinguersi da ciò che invece è morto ed è solo storica-
mente vero. L’interrogativo è un altro. Cerchiamo, più semplice-
mente, la sintassi del linguaggio giuridico.
Dal punto in cui ci muoviamo occorre una risposta che guardi
alla performatività del linguaggio. Sotto l’aspetto linguistico, infat-
ti, le norme sono o enunciati di enunciazioni performative, o enun-
ciati innestati in enunciazioni performative.
Prendiamo lo schema “Si dispone che è obbligatorio p”. Da un
lato riproduce una norma costitutiva (“Si dispone che Op”, dove
“Op” sta per “È obbligatorio p”), dall’altro contiene una norma pre-
scrittiva (“È obbligatorio p”). Le domande sono due: È “Si dispone
che Op”, enunciato che traduce un’enunciazione performativa, un
enunciato di cui ha senso predicare la verità? Così pure: Ha senso
parlare di verità dell’enunciato “È obbligatorio p”, enunciato inne-
stato in un’enunciazione performativa? Un’identica questione si ripe-
te per il discorso ordinario, il discorso non necessariamente giuridico.

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