Il fenomeno del Mobbing
Autore | Antonio Belsito |
Pagine | 37-75 |
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1. Origini del fenomeno. 2. Mobbing e legislazione. 3. I soggetti del mobbing
ed il bystanding effect. 4. Tipologie di mobbing. 5. Il terrorismo psicologico
nell’ambiente di lavoro. 6. Elementi identificativi del mobbing: dottrina e
giurisprudenza a confronto. 7. Volontarietà del le vessazioni. 8. II disegno
preordinato e l’intento persecutorio. 9. La “patologia” mobbizzante. 10.
Il nesso eziologico. 11. Disagio esistenziale: difficoltà caratteriale del
dipendente.
IL FENOMENO
DEL MOBBING
CAPITOLO 2
SOMMARIO
1. Origini del fenomeno
Il mobbing è una fattispecie complessa costituita da una
pluralità di comportamenti vessatori, attuati del tutto arbitraria-
mente con modalità polimorfe e perpetrati in un arco temporale
determinato, stabilito dalla giurisprudenza di legittimità in al-
meno sei mesi.
L’etimologia del termine mobbing è controversa, come del
resto non certa la sua definizione.
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Volendo ricercare il suo significato occorre rifarsi, per taluni,
alla lingua inglese e, quindi, al verbo inglese “to mob”47 il cui si-
gnificato (accerchiare, assalire, attaccare) richiama alla mente il
comportamento degli animali che attaccano il loro simile.
Altri invece, concentrando la loro attenzione sulla radice
“mob”, gli attribuiscono il valore spregiativo di “plebaglia, gen-
taglia” che rievocherebbe il valore sociale di chi si aggrega per
vessare il singolo oppure ricollegano il termine all’espressione
latina ad essa connessa: “mobile vulgus” ovvero folla tumultuante,
dedita al vandalismo o banda di delinquenti, ad indicare il clamore
del gruppo che diventa mobber, ovvero, a sottolineare la violenza
delle molestie.
Altri ancora vorrebbero far derivare il sostantivo mobbing
da “mobster” (chi appartiene alla malavita) che indica colui che
è dedito a compiere azioni contra legem, per sottolineare, ancora
una volta, la illiceità delle azioni vessatorie.
I biologi inglesi, nel 1800, con la parola mobbing indicavano i
comportamenti degli uccelli che difendevano il loro nido volando
in modo minaccioso contro gli aggressori, ovvero la lotta degli
animali per “il posto più alto”.
Negli anni ’50 dello scorso secolo il britannico Cyruk Northco-
te Parkinson, storico navale, criticava i metodi utilizzati da alcune
aziende per costringere alle dimissioni lavoratori dipendenti e
dirigenti ai quali, dapprima, venivano concesse promozioni o
premi, come viaggi intercontinentali e poi si riducevano loro le
capacità decisionali fino a spingerli a sentirsi inutili ed a rasse-
gnare le dimissioni.48
Nel 1961 Konrad Lorenz49, premio Nobel per la Medicina e
la Fisiologia (1973), osservando i comportamenti aggressivi di
un gruppo di animali nei confronti di un singolo, rilevava la rea-
zione collettiva delle prede che, nel tentativo di eludere l’attacco
del predatore, si organizzavano in gruppo, per poi disconoscerlo,
assalendolo a loro volta.
In questo modo, con il termine mobbing, si iniziava a delineare
quel particolare comportamento caratterizzato, fondamentalmen-
te, da un’aggressione impetuosa diretta ad isolare un animale
anche della stessa specie, al fine di preservare l’omogeneità del
branco, allontanando con comportamenti lesivi il non simile.
47 L’etologo Konrad Lorenz avrebbe formulato il termine mobbing riferito ad un com-
portamento aggressivo tra individui della medesima specie per escluderne uno.
48 C.N. PA R K I N S O N , The Parkinson Law, London, 1957.
49 K. Lorenz, nato a Vienna il 7/11/1903, zoologo ed etologo austriaco,è stato il fondatore
della moderna etologia scientifica, definita: “ricerca comparata sul comportamento”.
to mob
Aggressione
impetuosa
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Tale atteggiamento rievoca, in effetti, quello del “gruppo” dei
dipendenti che si organizzano per espellere il collega “più capace
e produttivo” e, quindi, ritenuto una minaccia per il loro rendi-
mento e per la conservazione del posto di lavoro.
Negli anni ’70 il medico svedese Peter Paul Heinemann -
considerato il fondatore del “bullismo ricerca” - fu il primo ad
utilizzare il termine mobbing, fino ad allora usato solo in etologia,
per indicare i comportamenti assunti da un gruppo di scolari nei
confronti di uno o più compagni.
La parola “mobbing” negli anni ’80 venne introdotta nella
psicologia del lavoro da Heinz Leymann50 che, nello studiare le
dinamiche dei comportamenti nell’ambiente di lavoro, soffermava
la propria attenzione sulla “comunicazione ostile e non etica diretta
in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente
contro un singolo che è progressivamente spinto in una posizione in
cui è privo di appoggio e di difesa e lì relegato per mezzo di ripetute
e protratte attività mobbizzanti”.51
Sempre negli anni ’80, in Svezia, il Ministero Nazionale della
Salute e Sicurezza sul Lavoro si preoccupò di studiare l’eccessivo
assenteismo riveniente dal lamentato disagio lavorativo, pubbli-
cando poi i risultati di tale ricerca.
Heinz Leymann, che aveva iniziato l’analisi del fenomeno
del mobbing semplicemente osservando le dinamiche compor-
tamentali di alcuni operai svedesi vittime di persecuzioni psi-
cologiche sul lavoro, pubblicò nel 1986 un importante volume
illustrando le conseguenze subite dal lavoratore nella sua sfera
neuro-psichica.
50 Ricercatore e psicologo del lavoro tedesco, fondatore della ricerca sul mobbing, esperto
riconosciuto a livello internazionale nel campo del mobbing sul posto di lavoro.
51 H. LE Y M A N N , Mobbing and psychological terror at workplaces, violence and victims,
Vol. 5, n. 2, 1990. Secondo Leymann il mobbing si attua attraverso fasi ambientali e
comportamentali ben codificate riconoscibili nei segnali premonitori (fase breve e sfumata
nella quale si appalesano le “anomalie” dinamico-relazionali tra la vittima ed i colleghi
o il superiore. Tali screzi si scatenerebbero in seguito a cambiamenti nel normale ritmo
lavorativo quali, ad esempio, per una nuova assunzione oppure in seguito ad una promo-
zione. Iniziano le prime critiche ed i primi rimproveri); nella stigmatizzazione (si rende
manifesto il comportamento mobbizzante attraverso incalzanti e reiterati attacchi nei
confronti della vittima al fine di screditarne la reputazione, isolarla dal contesto lavorativo,
dequalificarla professionalmente e, attraverso continue critiche e richiami, demotivarla
psicologicamente); nella ufficializzazione del caso (la vittima denuncia le vessazioni ma
viene colpevolizzata dai suoi “persecutori” che la considerano responsabile, a causa del suo
modo di essere, della situazione che si è venuta a creare) ed, infine, nell’allontanamento
(fase conclusiva dell’azione mobbizzante che culmina con il completo isolamento della
vittima la quale inizia a manifestare depressione del tono dell’umore e somatizzazioni.
Il lavoratore è stremato e, non riuscendo a trovare una soluzione al problema, sceglie la
strada delle dimissioni volontarie quale estremo tentativo di salvezza).
Heinz
Leymann
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