Discorso proemiale

AutoreVincenzio Moreno
Pagine3-4

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Diversi affetti desterà negli animi[5], ed a diversi parlari muoverà il titolo di questo mio libricciuolo; il so io, e mel sapeva ancor dianzi che mi facessi a comporlo: ma non per questo me ne ristetti.

Quel trattato di ufici di monsignor Della Casa sa ognuno perchè s’intitolò Galateo: messer Galeazzo, o Galateo Florimonte, il quale mosse l’autore a dettare quel libro, fu uomo già molto scienziato, e molto avea dei suoi dì usato alle corti dei gran signori: volle onorar lui l’autore ponendo il suo nome al volume. E poi che la celebrità dell’uomo usato alle corti andò insieme a quella del trattato buono a leggere dai non usati, per l’andar degli anni il nome di galateo diventò quasi il nome della scienza della urbanità. Però il Gioja addimandò Nuovo Galateo quel suo libro sì [6] pieno di moral filosofia, che insegna i più sani precetti di civiltà e di pulitezza; le quali cose son pur molta parte della economia civile.

Pochi dunque maraviglieranno, se lo stesso titolo ho posto in fronte a questo mio trattatello di speciale economia; cioè dire della economia di un mestiero.

Fra cotesti pochi saranno per avventura i dabben vecchi del Foro. I quali non maraviglieranno solamente, ma si corrucceranno della mia baldanza; chè sa d’orgoglio venire ad insegnare gli ufici di un’arte antica e di un nobile mestiero; e venire ad ammaestrare nel Galateo un ordine alto venerando, maturo di senno e di consiglio. Ma vo’ ch’ei sappiano quel che io abbia detto al libriccino mio, chè non solamente Ovidio ed il Monti, ma ogni altro autore parla al suo libro prima di porlo a stampa, talvolta ancor dopo.

Va, gli ho detto e cammina franco e securo; perciocchè al dì d’oggi il vero anco non condito in molli versi persuade. Tu sarai forsi dal tuo nome danneggiato; se spiaci per questo, fa conto d’esserPage 4 venuto [7] in monastero, o d’esser salito in dignità, o d’aver avuto il fuorbando; mutalo in buon’ora: chiamati come vorranno che ti chiami.

Non ti fare ad insegnar gli ufici a chi nol vuole; se fia che tu venga in mano di queste così fatte persone, fa di vestire un abito di color vago, di pelle splendida e liscia, e rabescato d’oro lucidissimo; riponti in un cantuccio d’uno scaffale; quivi ti rimarrai intatto ma onoratamente sepolto.

Di’ pure a chi ti vorrà leggere esser questi che tu rechi non insegnamenti, ma consigli; i quali non solo si può non seguitare, ma ancora comentare, confutare, correggere; spregiare anco chi il voglia.

A chi poi corrivo...

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