Delle varie maniere di avvocati

AutoreVincenzio Moreno
Pagine23-39

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@Titolo I. Partizione

Io vorrei chiamare avvocati coloro soli, i quali consigliano e rispondono in legge, e che colla voce,e colle scritture difendono i privati diritti; ma poichè il volgo addimanda avvocati tutti coloro, che maneggiano gli affari dei privati, i quali lor ne confidano il governo, così mi è forza notare le differenze che intercedono tra uno ed un altro di siffatti ordini, e distinguere così quel degli avvocati da ogni [40] altra maniera di persone che fanno gli ufici del foro. Due maniere ne pongono le nostre leggi, gli avvocati propriamente detti, i patrocinatori; più maniere ne pongono le usanze.

Sporrò le condizioni delle une e delle altre.

@Titolo II. Degli avvocati secondo le leggi

Convien partire le civili dalle penali. Nell’un procedimento l’uficio dell’avvocato non è dalle leggi dimandato altrove che nellaPage 24 Corte suprema di giustizia: egli è là quel che è il patrocinatore nelle corti, e nei tribunali inferiori. In questi è solamente permesso, se guardi o il silenzio della legge, o la lettera del decreto del 26 luglio 1810.

  1. La legge non pone nel novero degli atti legali le aringhe nè le scritture, nè altra opera di avvocati, e la consuetudine in queste cose può più che la legge. Vero è che l’onorario dell’ avvocato si computa fra le spese giudiziali: vero è che il real decreto del 1827 stabilisce una ricompensa per le opere cennate, ma in questo la legge obbedisce la consuetudine; l’usanza ha tratto la legge. Così avviene che i bisogni sociali levino alto il grido all’orecchio [41] del legislatore, ed il muovano alle sanzioni legislative!

  2. È vero altresì che agli avvocati concedesi la laurea dottorale nell’ università degli studi: ma questa solennità (forma è, non altro) compiesi ancora da chi aspira al grado di patrocinatore; e molti avvocati ne fanno senza.

  3. Ancora è vero che dovrebbe aversi un albo degli avvocati, ordinato per legge del 29 maggio 1817: ma questo importa che sieno riconosciute le persone degli avvocati, non già dimandata la loro opera: le quali due cose, chi ben guardi, sono diverse. Al che vuolsi aggiungere che siffatto albo promesso dalla mentovata legge mai più non è stato per altra legge ordinato concretamente. Il decreto che dovrà determinare la formazione degli albi, ed i doveri degli avvocati, tuttavia si attende. E sebbene un rescritto reale dell’anno 1836 abbia ordinato anche una volta la composizione dell’ albo, parendo esser mente del legislatore sanzionarlo, nondimeno l’ opera non è stata compiuta. Se ciò fosse intervenuto per prudenza, o per altra cagione, io privato non so: so che l’albo non è stato fatto.

  4. Pone la legge una camera di disciplina degli avvocati. Ma siffatto istituto mal risponde al suo nome, perciocchè non altro uficio [42] ha, se non quello di valutare il lavoro degli avvocati, ed è in ciò considerata come collegio di periti; mal somiglia quei consigli di disciplina che sono in Francia: ai quali è confidato il potere di mante-Page 25nere, di custodire, di governare il costume, la dignità, e l’onoranza dell’ordine; di condannare e punire, e cancellare i loro nomi dall’albo, che francesemente dicesi tavola o quadro; d’interdirli temporaneamente. Comechè il real decreto dei 15 luglio 1809 detti che ella abbia siffatti poteri, nondimeno quel decreto sta meglio come documento storico di legislazione, che come sanzione operativa; perocchè è inosservato.

  5. Da queste cose io voglio inferire che dalle vigenti nostre leggi non è stabilito un ordine proprio di avvocati, un corpo in somma che a guisa dei corpi vivi muovasi ed operi di per sè stesso: una persona morale che abbia in una o più persone materiali i suoi mandatari, i suoi rappresentanti, i suoi tutori. Nè voglio dire che questo difetto sia nostro danno e vergogna; e piuttosto è vanto di un ceto che non ad altri obbedisce, e non da altri è punito che dalla coscienza degli animi suoi: ed è vanto di un liberale legislatore, che non confida in sanzioni penali quel che può essere governato dalla virtù civile. [43] Ancora voglio trarre dalle cose dette che nel procedimento civile l’opera dell’avvocato non è dimandata nelle corti, e nei tribunali.

    È dimandata sì bene l’opera dei patrocinatori; i quali sono ufiziali ministeriali, mandatari dei litiganti: e dei quali la terza parte del codice disegna gli svariati ufici.

    Possono i patrocinatori al pari di ogni altra, persona adoperare alla difesa dei contendenti innanzi ai tribunali di commercio, a’ giudici di circondario, ed a’ conciliatori, e vengono allora denominati procuratori, ed hanno un mandato particolare.

    Nel procedimento penale poi l’opera degli avvocati è comandata apertamente dalla legge al pari di quella dei patrocinatori; e gli uni e gli altri sono appellati col nome generico di difensori. Le loro aringhe sono atti legali e necessari al valore del procedimento: le loro scritture sono apertamente sanzionate.

    E ciò basta quanto al fermare gli ufici dell’avvocato, secondo il gius, perocchè quel potrei dire tuttavia, leggesi nei codici.

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    @Titolo III. Degli avvocati, e de’ patrocinatori secondo le usanze

    Ora sporrò[44] le varie maniere di avvocati, che l’usanza del foro ha stabilito. E questo sarà luogo storico del mio lavoro: chè si vedrà come la intenzione della legge, e la opinione del volgo del pari discordino dalla consuetudine forense: di qualità che fallirebbe colui che consigliato, o da ciò che legge per avventura nei codici, o da ciò che ascolta dai profani credesse bene saper la materia.

    La prima differenza generale che si vuol porre fra coloro, che nel linguaggio volgare son detti avvocati, e nel dialetto popolare paglietti per cagione dell’antico loro vestimento, è quella di avvocati, e patrocinatori.

    Noterò i vari caratteri dei patrocinatori, perché bene distinguansi dagli avvocati. Ce ne ha di più sorte. Altri congiungono al loro ufizio quello di avvocato, e sono versati sì nelle teoriche del diritto, e sì nelle pratiche del foro: costoro sono veramente avvocati, e non fanno le parti di patrocinatori, se non per autenticare le loro scritture. Son rari [45] nel foro di Napoli, ed assai frequenti nei provinciali.

    Altri son giovani di età, i quali forniti gli studi della cattedra cominciano a venir nel foro, e prima che salgano all’ordine di avvovati vanno ammaestrandosi nel processo: quindi dopo questo tirocinio lasciano quell’uficio.

    Negli uni, e negli altri truovi assai lealtà e tenerezza dell’adempimento dei loro doveri, ingegno non tardo, ed attitudine a compiere onoratamente i moltiplici atti (gravissimi talvolta) che la legge loro confida. Licenziati in diritto, giudicati capaci dal procuratore del re, vegliati da una pura virtù e non ancora, e forse non mai corrotta danno grande desiderio di sè. Ma danno è che quando son fatti spertissimi delle procedure, cessano per lor volere d’essere patrocinatori. Della qual cosa chi voglia ricercar le cagioni, ne troverà due principali. L’una, che la legge presta a punire i patrocinatori malvagi,Page 27 nessun guiderdone concede ai patrocinatori dabbene (il quale difetto di rimunerazione è vizio di tutte le presenti legislazioni); l’altra che gli uomini leali schifano, e fanno di fuggire la colleganza di pochi tristi dei quali or parlerò.

    Altri son coloro, che sendo persone di poca levatura, e poco versati nelle teoriche del procedimento [46] giudiziale, di cui dovrebbero essere maestri, ben sanno tutte le nascose pratiche, che le moderne leggi han fatto di bandire come si è potuto meglio, e le antiche autenticaticavano. Essi compivano le parti di bassi procuratori negli antichi tribunali: cioè a dire erano i sergenti degli avvocati, e spedivano tutte le faccende del processo: il che domandava non molta fattività, e poco ingegno.

    Tramutate subitamente le condizioni politiche del regno, tramutarono anch’essi di procuratori in patrocinatori: nè questo si potè loro negare. Ma non sapendo essi, o non volendo sapere che i patrocinatori sono altro che i procuratori, han fatto che quella zizzania del...

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