Delle opere degli avvocati quanto alle cose

AutoreVincenzio Moreno
Pagine41-74

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@Titolo I. Partizione

Quell’infaticabile scrittore, Melchiorre Gioja, nel farsi a partire il suo nuovo galateo l’ordinò in tre libri, discorrendo la pulitezza generale, la particolare, e la speciale, e nei diversi capi, ne’quali ripartì i suoi libri andò [68] notando con critica severa, piuttosto quel che deesi dall’uomo urbano schivare, che quel che deesi fare. Giudizioso ed acconcio fu quel modo, guardando alla materia ch’ egli aveva per mano; ma la mia domanda ordine e metodo alquanto diversi, perciocchè è meno sociale, e se pur si può dire anzi privata che pubblica.

Pertanto mi è paruto dover ordinare gli uffizi dell’avvocato quanto alle cose ch’ei deve trattare: alle persone, colle quali dee usare; ai luoghi ed ai tempi nei quali s’incontra. La quale materiale partizione presta l’acconcio ad un’altra partizione ideale, cioè dire degli atti convenevoli assolutamente, e di quelli convenevoli relativamente. E così faccio, e comincio dalle cose.

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@Titolo II. Delle convenzioni

Tre essendo gli ufizi principali dell’avvocato, siccome è detto sopra nel titolo 6 del capo II, consigliare, aringare, scrivere; quattro sono poi le cose ch’ei tratta, cioè i contratti, i litigi, le transazioni, le quali sono una certa generazione di contratti che ha indole sua propria e speciale; e gli arbitramenti, giudizi straordinari [69].

  1. Nel farsi a trattare gli accordi e le convenzioni vuolsi por mente a tutte le condizioni dell’affare e delle persone, e temperare i modi di usare, e le cose da fare secondo quelle condizioni. Di qualità che la principal cosa a cui si dee porre la mira è che si schivi l’occasione di far venir meno i patti stabiliti per un checchessia che potevasi antivedere dapprima. Un contratto è una legge privata che impera a coloro che lo stipularono; laonde quel che compie e perfeziona le leggi fa ancora compiuto il contratto: l’ordine, la chiarezza, e la prudenza.

  2. Non devesi inferire da ciò che il contratto debba specificare tutti i casi possibili ed antivederli, e provvedervi dapprima: questo anzi ne apparecchierebbe la disfatta. Imperciocchè non potendosi antivedere tutti i casi futuri, e trasandandosi quelli che s’involano a qualunque guardo prudente, basta un solo impreveduto a far cadere la stipulazione.

    Queste idee s’accordano così. Si eviti la enumerazione dei casi non esemplificando nè tassando mai alcun fatto avvenuto, o che sia per avvenire. Sia brevissima, compendiosa, grave, e chiarissima la dettatura dei patti. Come più poche sono le parole, tanto è più malagevole il sofisticare sulla loro accezione e sul loro intendimento. E pur questa è la vicenda di ogni [70] contratto che presto o tardi siavi chi va ricercando il germe di un litigio in essi.

  3. Sogliono andare innanzi alle stipulazioni i trattati. E questi si fanno in quelli abboccamenti o tornate, che l’uso addimanda sessioni. Le sessioni si tengono o dagli avvocati fra loro, o dagli avvocati e clienti; o da’ paciscenti in presenza di un solo avvocato. Diversi sonoPage 43 i doveri dell’avvocato secondo queste congiunture diverse. Nel primo caso, stabiliti i dati di fatto, la disputazione può volgere intorno al dritto: nel secondo può disputarsi sul diritto e sul fatto: e nell’ultimo l’avvocato dee fare che l’avversario del suo cliente sappia tutti i luoghi del dritto che governano la materia sulla quale si contrae: perciocchè quelli viene confidente nella lealtà dell’avvocato, siccome inimico che inerme venga a capitolare: vuolsi armarlo dunque prima di stringerlo a rendersi, e cedere il campo.

  4. Allorchè si viene ai trattati fa uopo recare scritta la pianta del contratto. Facendo altrimenti sarà sprecato molto tempo in vani parlari senza venir mai a bomba, e senza cavar alcun costrutto. Sieno brevi, e concisi i detti, e prudentemente poste nelle piante quelle cose che bastano, allargate che sieno, a stabilire tutti i patti fondamentali, e la sostanza del contratto [71].

  5. E tu non voler esser sempre lo scrittore della pianta: comechè quella prima scrittura combattuta non possa essere mai disfatta in guisa che alcuna cosa non ne rimanga; nondimeno è più agevole e meglio si accomoda al vantaggio dell’uomo accorto la scrittura del contratto compiuto; perciocchè nell’allargare il compendio tu avrai di leggieri l’acconcio di soggiungere qualche frase qua e qua, che in fine farà il pro del tuo cliente.

  6. Nè deve intendersi per questo che nel trattato debbasi violare la fede dei patti, e cercare per artifizi che altra cosa si scriva diversa da quella che i contraenti vollero, e nella quale convennero. Mainò questo: sia sempre lealtà in cuore, e sulle labbra dell’avvocato. Ma oltre alla sostanza de’ patti vi ha qualche vantaggio di uno dei contraenti anche nel modo di dettarli, e sovente nell’ordine e nella disposizione di essi. E tu farai pertanto che quel vantaggio dal tuo cliente non perdasi. Un avverbio di luogo o di tempo sovente accresce o scema una facoltà conceduta da un contraente all’altro, e tu farai di appiccicare allora quell’avverbio: chè tu non hai debito di consigliare al tuo avversario che antiveda il danno, che per avventura gli torni dell’avverbiuccio.

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  7. E perchè non travedasi l’indole di questo precetto sarà bene esemplificarlo. In un [72] contratto di vendita si consente che la cosa venduta sia il podere Semproniano: che il prezzo sia di tanti ducati o tante lire: che questo prezzo si paghi in un tal dì; che diesi l’evizione nel fondo Corneliano. Di tutti questi patti niente muterai. Ma se tu sei l’avvocato del venditore, e non fu disputato nel trattato con quale moneta sarebbesi pagato il prezzo, tu farai bene di soggiungere in moneta di oro, o di argento; e se non fu disegnato il giorno del pagamento del prezzo, farai bene d’aggiungere subito, immediatamente; ed altrettali cose, le quali lasciando intera la sostanza dei patti, provvedano al vantaggio del tuo mandante. Così non mancherai alla speranza di costui, nè alla tua fede.

  8. Nelle convenzioni è gara di prudenza e di accorgimento. E nei trattati sempre si cerca il miglior pro del cliente, sia pro o danno dell’altro contraente. Per il che ogni maniera di onesti artifizi è lecito adoprare, perchè quel pro si ottenga. E seguitando l’esempio della vendita gioverà addurre gli argomenti più acconci a persuadere che il prezzo stabilito non sia largo, e che della evizione si possa far senza, e che i pericoli della cosa venduta cessino onninamente per il venditore. Vuolsi nondimeno intender bene a ciò che siffatte asserzioni non sieno fallaci; chè la menzogna non [73] solamente è delitto, ma è brutta e schifosa di per sè stessa e sconvenevole ad ogni onestuomo. E se son leciti gli artifizi onesti, sono poi turpissimi quelli che la probità non consente. Tu dèi saper che la cosa venduta dal tuo cliente, di lui sia e non d’altri: che veramente il compratore non possa patir danno della frode del venditore: che poi la promessa della garentia sia custodita da un’ipoteca, o no; gravi uno o più fondi, e così via via; in ciò nessuna insidia apparecchi contro l’altrui fidanza, e puoi bene ingegnarti a negarla con dolci e studiate parole.

    Egli è vero che si può dir bugia favellando ed anche tacendo: questo è nella vita sociale e nelle conversazioni. Ma all’avvocato che maneggia un trattato è vietata la prima maniera di bugie, non la seconda; chè veramente non può addimandarsi così; perciocchè se egli volesse non tacere quel che al suo cliente nuoce (e che non è giàPage 45 furberia celare) sarebbe traditore provvedendo all’ interesse di due, intanto che egli deve provvedere a quello d’un solo, comechè accortamente.

  9. Fa di usare con ogni maniera di cortesia con coloro che vengono ai trattati, e mostrati docile e modesto con essi; e fa d’andare tu in casa del tuo collega, piuttosto ch’egli non venga nella tua; perciocchè il fastidio dell’andare ti frutta [74];

    a) la benevolenza di colui ch’è onorato dalla tua urbanità, e ti guiderdona dell’appagata vanità:

    b) l’opinione di esser tu uomo di buona pasta, e facile all’ossequio, e pertanto inchinevole a concedere:

    c) l’opportunità di sedere in luogo più evidente, e di favellare il primo e più lungamente:

    d) di temporeggiare nei dubbi consigli dicendo mancarti un checchessia, che non hai recato teco, e che veramente non abbi recato.

  10. Quando ti si domanda patto a cui non puoi consentire non perchè sia per sè medesimo ingiusto, ma perchè non torna utile al tuo cliente (perciocchè sono molte cose nè buone nè ree di per sè medesime, ma solamente convenevoli o sconvenevoli all’interesse altrui), fa di porre in mezzo un parlare faceto, o il racconto d’una storiella, o altro che somigliante, che così tu ottenga due acconci; l’uno che rivolgendo il discorso si perda di mira quel che fu detto prima; l’altro che mostrando piacevolezza e familiarità verso gli astanti, non sarà per sembrare crudo e salvatico il tuo rifiuto. E che sì: l’uomo gioviale e bel dicitore trae sempre a sè gli animi di chi lo ascolta; e par sempre vero e ragionato quel che dicesi da chi usa parlare sollazzevolmente, e dir cose [75] festive e piacevoli. Le celie hanno procacciato assai spesso ai dicitori quel che i gravi sermoni non poterono affatto.

  11. Magnifica quel che concedi: abbassa quello che nieghi. È stoltezza mostrare gran desiderio di ciò che si desidera veramente; siccome mostrare d’antivedere quel che altri chiederà; per il che le prime parole, cioè dire il preambolo del tuo discorso, intenda sempre a stabilire come l’indole del contratto e le condizioni presenti nonPage 46 consentano se non quei patti che tu sarai per volere e per chiedere. Così, o non ti si chiederà, o tu avrai l’agio di aver molto conceduto, quando nol negherai.

  12. Non tollerare mai che altri dica villania nè a te nè al tuo cliente, o che egli sia presente o che sia lontano: mai non concedere che egli rintuzzi di per sè stesso le offese.

  13. E quando è agevole, fa che il cliente venga ai trattati, e nello cose dubbie dica il parer suo; e quando è per dir...

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