Francesco Mastroberti. Insegna Storia del Diritto Medievale e Moderno presso la sede di Taranto della Facoltà di Scienze Giuridiche dell’ateneo barese. Tra le sue pubblicazioni: Pierre-Joseph Briot. Un giacobino tra amministrazione e politica (Napoli Jovene 1998); Codificazione e giustizia penale nelle Sicilie dal 1808 al 1820 (Napoli Jovene 2001); Tra scienza earbitrio. Il problema giudiziario e penale nelle Sicilie dal 1821 al 1848 (Bari Cacucci 2005).
@1. La rinascita culturale degli anni trenta
Vincenzio Moreno (1809-1852), oggi pressoché sconosciuto, nell’arco della sua breve vita fu un protagonista non secondario della vita culturale – giuridica, economica, letteraria – del Regno delle Due Sicilie, incarnando, come forse pochi altri, lo spirito eclettico e scientifico che tra il 1830 e il 1848 alitò con forza sul Mezzogiorno italiano. L’oblio della sua figura rientra nel generale disinteresse della storiografia – solo da qualche tempo un po’ attenuato - per la fase compresa tra la fine dell’esperienza repubblicana del 1799 e l’Unificazione, salvo la sempre suggestiva parentesi napoleonica. Infatti dopo la famosa strage di teste pensanti compiuta dai Borbone, l’Ottocento napoletano, secondo la visione crociana, poté esprimere poco dal punto di vista culturale poiché poca e misera cosa erano gli intellettuali, fatta eccezione per quei pochi che abbracciarono gli ideali liberali e risorgimentali e testimoniarono con la galera, l’esilio o qualche difficoltà l’eroismo della propria fede nei confronti dei tiranni borbonici. Eppure, a partire dal 1830 – anno nel quale saliva al trono delle Due Sicilie il giovane Ferdinando II - Napoli rispondeva al fermento politico e culturale europeo con il prorompere sulla scena di una brillante generazione di giovani intellettuali, animati da una fiducia incrollabile nella scienza e nel progresso e sinceramente convinti che una nuova epoca di benessere per l’umanità stesse per nascere. Il manifesto di questa nuova leva può leggersi nel Proemio del primo numero della rivista Il Progresso delle scienze delle lettere e della arti del 1832, diretta da Giuseppe Ricciardi, l’irrequieto figlio di Francesco Ricciardi, grande ministro della giustizia ai tempi di Gioacchino Murat: «A quei reggitori, che non contenti di queste parole (comeché chiaramente palesino il nostro disegno) volessero più ragguagli, diremo, che non tanto alle lettere ed alle arti avremo riguardo, quanto alle scienze, in queste principalmente il grand’utile consistendo, queste giovando potentemente quel caro progresso di che favellammo». E il progresso fu infatti il mito inseguito da altre prestigiose riviste nate in quegli anni come gli Annali civili del Regno delle Due Sicilie, Le ore solitarie, poi Giornale di Scienze Morali Legislative ed Economiche, diretta dal giovane Pasquale Stanislao Mancini la Nemesi e la Rivista Napolitana. Intorno a queste pubblicazioni periodiche si raccolsero – finché il dispotismo borbonico lo permise - intellettuali di notevole spessore come Luigi Blanch, Giuseppe Pisanelli, Giusep-pe Pisone Ferrigni, Raffaele Liberatore, Paolo Emilio Imbriani, Matteo de Augustinis, Pietro Calà Ulloa, Emmaneule Rocco, Pasquale Borrelli, Pasquale Stanislao Mancini, Ludovico Bianchini, Samuele de Luca Cagnazzi ed anche il nostro Vincenzio Moreno. Nello spirito di queste riviste, che rifuggiva ogni competenza esclusivamente settoriale, ciascuno dei redattori offriva contributi su diverse branche del sapere e della conoscenza: Matteo de Augustinis, oltre ad occuparsi del diritto si produceva in articoli di grande interesse nell’ambito dell’economia politica; Luigi Blanch, nei suoi ampi interventi sulla storia, la filosofia e la legislazione del Regno si avvaleva dell’imprescindibile contributo delle altre scienze; Emmanuele Rocco, raffinato filologo, denotava negli articoli di poesia, di letteratura, di colore, lo stesso ingegno e la stessa forza argomentativa di quelli dedicati al diritto e alla giurisprudenza del Regno. Ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi, perché quasi nessuno si riservò soltanto una disciplina per i suoi interventi. Si trattava, com’è noto, di un vasto movimento culturale di portata europea che ebbe nell’eclettismo di Victor Cousin uno dei suoi massimi teorizzatori. Tuttavia a Napoli, soprattutto negli anni Trenta, esso manifestò alcuni elementi “unificanti” riscontrabili nella fiducia nella scienza e nella sua metodologia quali elementi in grado di guadagnare la conoscenza universale, il progresso e, dunque, il benessere collettivo. In questo senso più che Cousin – cui pure fu dedicata una costante attenzione – il punto di riferimento fu Giambattista Vico. Infatti l’immenso progresso che si «era avverato nella vita e negli studi a cominciare dal 1830» determinò – come rileva il Pessina - una nuova lettura del grande filosofo che privilegiava l’idea dell’unità del sapere verso il fine del progresso della civiltà umana: dalla Scienza Nova l’attenzione passò alla meno conosciuta De uno et universo juris principio et fine uno (Napoli 1720). Va appena osservato che questa “operazione” culturale si realizzò, a Napoli, soprattutto nell’ambito degli studi giuridici poiché nel Regno - per risalenti ragioni storiche e socio-istituzionali messe in rilievo da recenti studi – la cultura giuridica rappresentava non solo la cultura di governo ma anche la cultura tout court. Ed infatti le tre forme tradizionali di giurisprudenza – pratica, storica e filosofica – dal Cinquecento alla fine del Settecento espressero il meglio della cultura meridionale, come testimoniano le opere di Galanti, Briganti, Filangieri, Pagano, Cuoco e Nicolini.
Poeta, letterato, avvocato, giurista, economista, magistrato, Vincenzio Moreno con la sua vita e con la sua variegata bibliografia rappresenta appieno lo spirito di quel tempo che, secondo gli insegnamenti di Vico, individuava nel sapere unitario e interdisciplinare la via maestra verso il progresso. Il suo merito consiste nell’aver percorso con discreti risultati tutte le nuove strade che l’entusiasta generazione degli anni trenta pose davanti al giurista: strade beninteso comunicanti fra loro e conducenti tutte in un’unica direzione, ossia verso il progresso e dunque verso il benessere della società.
@2. Vincenzio Moreno tra poesia, diritto ed economia
Il Moreno nacque a Napoli da Nicola ed Emilia Cacace – una famiglia della media borghesia - il 29 ottobre 1809, dunque in un anno fondamentale come pochi nella storia giuridica del Regno di Napoli poiché nel suo primo giorno entrarono in vigore il code Napoléon e la complessa riforma giudiziaria del 20-22 maggio 1808, ovvero le riforme più importanti di Giuseppe Bonaparte. Il necrologio di Cesare della Valle ci informa che la sua famiglia aveva una nobile origine spagnola derivando dal colonnello Francesco Moreno, venuto da Astorga in Napoli nel 1703 e morto nella difesa del castello di Barletta il cui comando aveva ottenuto da Filippo V dopo brillanti operazioni militari condotte in Catalogna ed in Ungheria. Il «precoce ingegno» del ragazzo non sfuggì agli zii materni, in particolare ai giureconsulti Vincenzo e Giuseppe de Stefano che intravidero per lui una brillante carriera forense. Ebbe dunque ottimi maestri: il Giardino per la fisica, il Sementini per la chimica, il Pinto per l’anatomia, il Lancellotti per la chimica applicata alle arti, il Rossi per il diritto canonico, il Torelli per il diritto civile ed il Campitti per le Antichità Romane. A soli 16 anni debuttava nel foro sotto la gui-da di Giuseppe de Stefano e Camillo Cacace. Tuttavia tra i 20 e i 25 anni fu molto distratto dalle occupazioni forensi a causa di una forte passione per la poesia e la letteratura: frutto di questo impegno furono alcune liriche e prose, qualche tragedia, l’Elogio storico di Salvator Rosa e «il più notevole de’ suoi pregevoli lavori», il Don Chicotte della Mancia. Lo scarso successo di tali opere – il Della Valle dice che il Don Chicotte «giacque letto da pochi, ignorato da molti» - e problemi economici divenuti impellenti dopo il matrimonio con Rosa de Vitale e la nascita della figlia Emilia, lo spinsero a dedicare tutte le sue energie alla professione di avvocato civile che esercitò con assiduità per circa un decennio. In quell’arco di tempo preparò la Storia compendiata del Diritto Civile del Regno delle due Sicilie con brevi notizie delle leggi italiane e straniere e pubblicò la biografia di Filippo Volpicella, il Galateo degli avvocati, scritto nel 1835 ma pub-blicato nel 1843, e una serie di interessanti allegazioni forensi. La sua vivacità intellettuale lo portò, anche grazie alla frequentazione di Matteo de Augustinis, ad avvicinarsi alle discipline economiche, tanto che nel 1836 iniziava la traduzione dell’Economia politica del Say pubblicando in un primo fascicolo la biografia dell’Autore. Proprio il de Augustinis lo spinse a pubblicare le Lezioni di pubblica economia che – secondo il della Valle – rappresentava «l’opera più completa che fin oggi siasi pubblicata in Napoli sulla materia»: scritta in maniera ricercata ed elegante si segnalava per il rigore scientifico e l’attenzione per la didattica testimoniata dalla presenza alla fine di ogni capitolo di utili sinopsi a beneficio degli studenti. Così nel 1844 partecipò al concorso per la cattedra vacante di Economia Politica alla Regia Università di Napoli ma, pur risultando vincitore, non poté ottenere il posto perché sulla cattedra napoletana si trasferì il professore di economia dell’Università di Catania. Tuttavia l’anno dopo il Re lo nominò Sostituto con la futura successione alla suddetta cattedra. L’anno successivo fu dunque nominato giudice del Tri-bunale Civile di Napoli ed in quella carica esercitò le funzioni di Pubblico Ministero e di supplente presso la Gran Corte Criminale. Diventato membro dell’Accademia Pontaniana ebbe l’onore nel 1846 di leggere ai soci l’elogio funebre del suo...