Lo status sociale dei cittadini europei economicamente non attivi: una 'cittadinanza sociale di mercato europeo'?

AutoreLara Appicciafuoco
Pagine279-308
LARA APPICCIAFUOCO
LO STATUS SOCIALE DEI CITTADINI EUROPEI
ECONOMICAMENTE NON ATTIVI:
UNA “CITTADINANZA SOCIALE DI MERCATO
EUROPEO”?
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. La libertà di circolazione, il principio di non discrimina-
zione e il preludio allo status sociale “condizionato” dei migranti comunitari economica-
mente non-attivi. – 3. L’istituzione della cittadinanza dell’Unione e il contributo della
Corte di giustizia in materia di protezione sociale dei cittadini europei non-attivi. – 4. La
direttiva 2004/38 e lo status sociale dei non-attivi: novità nel segno della continuità. – 5.
Considerazioni conclusive.
1. La possibilità che all’interno dello spazio giuridico comunitario i cittadini degli
Stati membri godessero di una protezione sociale a livello transnazionale è stata rav-
visata, nelle fasi iniziali del processo di integrazione europea, con riferimento esclu-
sivo ai migranti comunitari economicamente attivi. Questi ultimi beneficiano, sin
dall’origine, di uno status sociale collegato in via di principio allo svolgimento di
un’attività economica ed essenzialmente imperniato sull’esercizio della libertà di cir-
colazione e l’applicazione sistematica del principio di non discriminazione.
È, peraltro, ben noto che il diritto alla mobilità e il connesso diritto di sog-
giorno, da un lato, e il diritto a non subire discriminazioni sulla base della nazio-
nalità, dall’altro, sono stati oggetto di una evoluzione che ne ha significativamente
ampliato la portata rispetto alle previsioni del Trattato di Roma. In particolare, il
graduale affermarsi di un diritto alla mobilità esteso anche alle persone che non
esercitano un’attività economica – coloro che nel lessico comunitario sono defi-
niti “non-attivi” – e l’istituzionalizzazione, a seguito delle modifiche introdotte
dal Trattato di Maastricht, di un diritto alla mobilità riconosciuto in modo genera-
lizzato a tutti i cittadini dell’Unione, hanno comportato indubbiamente il venir
meno del collegamento originario tra la libertà di circolazione delle persone e
l’esercizio di un’attività economica.
Sebbene a ciò non sia automaticamente corrisposta l’estensione dello status
sociale dei lavoratori a tutte le persone cui si riconosce il diritto di circolare libe-
ramente, la Corte di giustizia, soprattutto a partire dagli anni immediatamente
successivi all’istituzione della cittadinanza dell’Unione, ha contribuito ad am-
pliare progressivamente le ipotesi di accesso dei migranti comunitari ai sistemi
di assistenza sociale degli Stati membri ospitanti.
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Ciò suggerisce che l’istituto della cittadinanza europea è suscettibile di assu-
mere declinazioni potenzialmente più ampie rispetto ai contenuti essenziali for-
malmente enunciati dal Trattato di Maastricht e sostanzialmente lasciati invariati
dalle successive revisioni dei Trattati. Proprio in considerazione di questo, la di-
mensione sociale della cittadinanza europea è da tempo al centro di un ampio
dibattito dottrinario, sullo sfondo del quale vi è la prospettiva – o, per meglio
dire, l’aspettativa – di una evoluzione dalla nozione di “cittadinanza di mercato”
a quella di “cittadinanza sociale europea”.
Pare opportuno rammentare in premessa che la nozione di “cittadinanza di
mercato”1 descrive quella forma di cittadinanza europea ante litteram che, se-
condo parte della dottrina2, sarebbe emersa ancor prima della sua formale istitu-
zione ad opera del Trattato di Maastricht, attraverso l’attuazione delle norme
comunitarie in materia di libera circolazione dei lavoratori e l’applicazione a
questi ultimi del principio di non discriminazione. In tale modello di cittadi-
nanza, il riconoscimento e la tutela a livello transnazionale di taluni diritti sociali
sono strettamente connessi all’esercizio delle libertà economiche. Infatti, la pos-
sibilità, garantita ai lavoratori comunitari migranti e alle loro famiglie, di avere
accesso a taluni diritti sociali nello Stato membro ospitante, in condizioni di pa-
rità di trattamento con i cittadini di tale Stato, è strumentale alla promozione
della libertà di circolazione delle persone, la quale – essendo concepita dal Trat-
tato di Roma a fini essenzialmente economici, ovvero inquadrata nel contesto più
generale della libera circolazione dei fattori di produzione – è, a sua volta, stru-
mentale all’obiettivo della realizzazione del mercato unico. La dimensione so-
ciale della “cittadinanza di mercato” è quindi ispirata a una logica fondamental-
mente coerente con l’intento economico primigenio della Comunità e con la
visione funzionalista del processo di integrazione.
Il modello di cittadinanza concepito dal Trattato di Maastricht, benché incon-
testabilmente arricchito di una connotazione politica, è fortemente permeato dai
tratti distintivi della “cittadinanza di mercato”3 che ne costituisce, in definitiva,
l’imprinting primario. Nondimeno, alla luce degli sviluppi – principalmente di
carattere giurisprudenziale – in materia di protezione sociale transnazionale dei
cittadini europei migranti, parte della dottrina ritiene che il paradigma della “cit-
tadinanza di mercato” sarebbe stato superato dall’emergere – almeno tendenziale
– di una “cittadinanza sociale europea”4.
1 Tale espressione traduce la nozione di marktbürgerschaft coniata dalla dottrina tedesca già
negli anni ’60-’70 del Novecento; v. in particolare H. P. IPSEN, Europäisches Gemeinschaftsrecht, in
Neue Juristische Wochenschrift, 1964, p. 340 ss.; ID., Europäisches Gemeinschaftsrecht, Tübingen,
1972.
2 V. in particolare R. PLENDER, An Incipient Form of European Citizenship, in F. G. JACOBS
(ed.), European Law and the Individual, North Holland, 1976.
3 V. M. EVERSON, The Legacy of the Market Citizen, in G. MORE, J. SHAW (eds.), New Legal
Dynamics of European Union, Oxford, 1995.
4 Tra gli altri, v. C. MARZO, Vers une citoyenneté sociale européenne?, in Droit Social, 2007, n. 2,
p. 218 ss.; S. MAILLARD, L’émergence de la citoyenneté sociale européenne, Aix-en-Provence, 2008.

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