I diritti di sciopero e di contrattazione collettiva nell'ordinamento europeo: il 'cittadino lavoratore' tra logiche di mercato e tutela dei diritti sociali fondamentali

AutoreRossana Palladino
Pagine257-278
ROSSANA PALLADINO
I DIRITTI DI SCIOPERO E DI CONTRATTAZIONE
COLLETTIVA NELL’ORDINAMENTO EUROPEO:
IL “CITTADINO LAVORATORE”
TRA LOGICHE DI MERCATO E TUTELA
DEI DIRITTI SOCIALI FONDAMENTALI
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. I diritti di sciopero e di contrattazione collettiva nelle disposi-
zioni dei Trattati relative alla politica sociale. – 3. Il richiamo alla Carta sociale europea
del 1961 e alla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989.
– 4. L’art. 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. – 5. La prova del
bilanciamento con le libertà economiche fondamentali. – 6. I perduranti nodi critici a
seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. – 7. Segue: e alcune prospettive
all’interno di una nuova dimensione sociale “multilivello”. – 8. Profili conclusivi.
1. L’opera di consolidamento, da parte del Trattato di Lisbona, della tutela dei
diritti fondamentali nell’ordinamento europeo secondo il meccanismo della non
subordinazione ed equiordinazione tra diritti politici, civili, economici e sociali
permette di intravedere i contorni di una reale cittadinanza europea1, da inten-
dersi come minimo comune denominatore dell’appartenenza ad ordinamenti sta-
tuali che si integrano nell’ordinamento “sovranazionale”2.
1 Che sia in grado di dispiegarsi secondo lo schema “marshalliano” relativo alla cittadinanza
a tre dimensioni, su cui si veda T. MARSHALL, Cittadinanza e classe sociale (1950), Torino, 1976.
In generale, sui connotati della cittadinanza europea si veda, per tutti, U. VILLANI, La cittadinanza
dell’Unione europea, in Studi in ricordo di Antonio Filippo Panzera, II, Bari, 1995, p. 1001 ss., e
ID., Istituzioni di diritto dell’Unione europea, II ed., Bari, 2010, cap. IV; M. CONDINANZI, A.
LANG, B. NASCIMBENE, Citizenship of the Union and free movement of persons, Bruxelles, 2008;
L. S. ROSSI, La cittadinanza dell’Unione europea, in A. TIZZANO (a cura di), Il processo di inte-
grazione europea: un bilancio 50 anni dopo i Trattati di Roma, Torino, 2008; C. MORVIDUCCI, I
diritti dei cittadini europei, Torino, 2010. Per alcuni contributi specifici a seguito del Trattato di
Lisbona, si veda M. CARTABIA, I diritti fondamentali e la cittadinanza dell’Unione, in F. BASSANI,
G. TIBERI (a cura di), Le nuove istituzioni europee. Commento al Trattato di Lisbona, Bologna,
2010, pp. 99-118, e E. TRIGGIANI, Cittadinanza dell’Unione e integrazione attraverso i diritti, in
L. MOCCIA (a cura di), Diritti fondamentali e cittadinanza dell’Unione europea, Milano, 2010, pp.
137-164. Inoltre, per alcune riflessioni circa l’incidenza del riconoscimento dei diritti sociali quali
fondamentali e del nuovo assetto della politica sociale nel Trattato di Lisbona sulla costruzione di
una “cittadinanza sociale europea”, si veda P. GARGIULO, Il futuro della cittadinanza sociale euro-
pea dopo la riforma di Lisbona, in Sud in Europa, 2010, n. 3, pp. 5-7.
2 Come è noto, il termine è utilizzato per indicare il particolare carattere dell’ordinamento
europeo e vale a definirne il rapporto con il diritto statuale ed il diritto internazionale. Per alcune
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Il Trattato di riforma spinge verso la creazione di una cittadinanza “a più di-
mensioni” anche laddove stabilisce che l’Unione pone a suo fondamento i valori
della dignità, dell’eguaglianza, della solidarietà e della parità tra uomini e donne
(art. 2 TUE)3 mentre, tra gli obiettivi che essa è chiamata a perseguire, è posta la
realizzazione di una “economia sociale di mercato fortemente competitiva, che
mira alla piena occupazione e al progresso sociale” (art. 3 TUE)4.
In tali innovazioni normative è racchiuso lo sforzo di procedere alla costru-
zione di un “modello sociale europeo”5, nel cui ambito un corredo di diritti di
osservazioni critiche circa la possibilità di ricondurre il rapporto tra ordinamento interno e ordina-
mento europeo all’idea – ritenuta “vuota e mistificante” – di sovranazionalità, si veda A. SINAGRA,
Rapporti interordinamentali, «sovranazionalità» o delega di competenze nel sistema dei rapporti
tra Stati membri e Comunità europea: la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana, in L.
DANIELE (a cura di), La dimensione internazionale ed europea del diritto nell’esperienza della
Corte costituzionale, Napoli, 2006, pp. 415-434 e, prima, A. SINAGRA, Diritto e giustizia – Ra-
gione e sentimento, Roma, 2005, p. 264 ss.
3 Sui valori comuni espressi dall’art. 2 TUE si veda U. VILLANI, Valori comuni e rilevanza
delle identità nazionali e locali nel processo d’integrazione europea, Napoli, 2011.
4 È eliminato il riferimento all’obiettivo di una concorrenza non falsata, sebbene esso ricom-
paia nel Protocollo n. 27 “Sul mercato interno e sulla concorrenza”, allegato al Trattato di Li-
sbona. Nel nucleo di riforme che hanno interessato la politica sociale, va ricordato anche l’art. 9
TFUE, che contiene una clausola trasversale di protezione sociale che obbliga le istituzioni a
prendere in considerazione le “esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occu-
pazione, la garanzia di un’adeguata protezione sociale, la lotta contro l’esclusione sociale e un
elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana”. Per un’analisi complessiva
delle riforme introdotte dal Trattato di Lisbona si rinvia, per tutti, a E. TRIGGIANI (a cura di), L’U-
nione europea dopo la riforma di Lisbona, Bari, 2011.
5 Sul modello sociale europeo si veda, per tutti, a R. BLANPAIN, The European Union and its
Social Policy in a Global Setting: Looking for the “European Social Model”, in A. C. NEAL (ed.),
The Changing Face of European Labour Law and Social Policy, The Hague, 2004, pp. 1-12. Uno
dei primi documenti istituzionali che definiscono il modello sociale europeo è il libro bianco della
Commissione sulla politica sociale europea, COM(94)333 def., luglio 1994, che lo qualifica come:
“a set of common values, namely the commitment to democracy, personal freedom, social dialogue,
equal opportunities for all, adequate social security and solidarity towards the weaker individuals in
society”. In dottrina si sono affermate varie definizioni che qualche autore ha raggruppato in tre ca-
tegorie: “In the first cluster of definitions the ESM is considered as the model that incorporates cer-
tain common features (institutions, values, etc.) that are inherent in the status quo of the European
Union member states and are perceived as enabling a distinctive competition regime. The second
cluster of definitions establishes the ESM as being enshrined in a variety of different national mo-
dels, some of which are put forward as good examples; the ESM thus becomes an ideal model in the
Weberian sense. The third way of identifying the ESM is as a European project and a tool for moder-
nization/adaptation to changing economic conditions as well as an instrument for cohesiveness.
Under this cluster of definitions, the ESM is an emerging transnational phenomenon”, cfr. M. JEPSEN,
A. SERRANO PASCUAL, The European Social Model: An Exercise in Deconstruction, in Journal of
European Social Policy, 2005, pp. 231–245. Secondo F. PIZZOLATO, Il sistema di protezione sociale
nel processo di integrazione europea, Milano, 2002, p. 21, gli elementi della definizione di modello
sociale europeo sono “il fine dell’inclusione sociale e la lotta alle diseguaglianze quando queste le-
dano la dignità delle persone, perseguiti attraverso la possibilità dell’intervento pubblico a corre-
zione degli squilibri di mercato, senza però che questo intervento elimini la libertà di iniziativa e la
partecipazione sociale”. Egli ricava questa definizione a sua volta da M. HANSENNE, The European
Social Model and Globalization of the Economy, in C. ENGELS, M. WEISS (eds.), Labour Law and

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