Nomofilachia e riforma del giudizio di cassazione

AutoreSergio Chiarloni
Occupazione dell'autoreProfessore ordinario di diritto processuale civile nella facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino, è membro della direzione di alcune riviste giuridiche ed autore e curatore di numerose opere in ambito processuale.
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@1. La crisi della nomofi lachia

Dobbiamo abituarci a parlare di nomofi lachia e di funzione nomofi lattica da quando nome e aggettivo, introdotti nelle stanze degli studiosi grazie al fondamentale lavoro di Piero Calamandrei sulla nostra corte suprema, sono passati agli enunciati del legislatore, con i recenti interventi sulla cassazione 47. Anche se il loro signifi cato, che sfi da la capacità etimologica in chi ha fatto studi classici in gioventù, è sconosciuto alla stragrande maggioranza degli studenti di giurisprudenza e, probabilmente, anche a molti avvocati e magistrati.

Cosa vuol dire che la corte di cassazione è la custode delle norme? Bisogna prendere le mosse dall’art. 65 del vecchio ordinamento giudiziario, lasciato intatto dalla recente riforma Castelli.

Nel disciplinare le attribuzioni della corte di cassazione questa disposizione dice nella sua prima parte, con un po’ di enfasi retorica, che «la corte suprema di cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, (e) l’unità del diritto oggettivo nazionale».

Le formule dell’esatta osservanza della legge e dell’unità del diritto oggettivo vanno lasciate da parte. Rappresentano un’innocua eredità del positivismo giuridico imperante negli anni quaranta del secolo scorso. Oggi ci dice ben poco. Ormai è universalmente diffusa la consapevolezza che l’attività interpretativa della giurisprudenza racchiude in sé ineliminabili momenti di creazione del diritto. Il giudice non è più vissuto come la mitica bouche de la loi, formula storicamente condizionata nata Oltralpe, in un periodo in cui la dottrina della divisione dei poteri costituiva il segno che il potere era concretamente diviso tra la borghesia rivoluzionaria che aveva conquistato il legislativo e i residui feudali dello stato assoluto ancora incombenti sul giudiziario.

Le espressioni “diritto vivente” e “diritto giurisprudenziale”, moneta spicciola del discorso giuridico, ci rammentano ad ogni passo questa semplice e banale verità: che il giudice non solo crea il diritto del caso concreto attraverso l’attività di sussunzione dei fatti accertati nelle singole fattispecie legali (creando insieme così nel tempo un diritto dei casi identici o analoghi che non potrebbe esserePage 42appannaggio del legislatore, a meno di immaginarlo capace di abbandonarsi ad un impossibile furore analitico); il giudice crea anche regole nuove derivandole dai principi, oppure aumentando l’estensione di clausole generali, e ancora dando rilievo all’equità, o infi ne legittimando regole emergenti dalla prassi, secondo una tassonomia che prendo a prestito da Guido Alpa 48.

Assicurare l’uniforme interpretazione delle norme

a questo si riduce oggi la c.d. funzione nomofi lattica di una corte suprema.

Ma non si tratta di un compito irrilevante. Possiamo apprezzarne l’importanza se rifl ettiamo sui valori che vi sono sottesi.

In primo luogo la parità di trattamento dei cittadini che ricorrono alla tutela giurisdizionale. L’uguaglianza di fronte alla legge, proclamata tra i principi fondamentali dall’art. 3 della nostra Costituzione, è ferita in modo grave, se la legge viene interpretata in maniera contrastante a seconda dei cittadini che ne domandano l’applicazione.

In secondo luogo la prevedibilità delle decisioni. È forse inutile sottolineare che la scorrevolezza del traffi co giuridico, fondamentale soprattutto, ma non solo, per il buon funzionamento del mercato, soffre assai quando i soggetti che vi operano non sono in grado di prevedere le conseguenze delle loro azioni sulla piano della relativa valutazione giuridica, perché queste azioni sono oggetto di orientamenti contrastanti da parte degli organi giurisdizionali. Senza contare che in questa situazione aumenta la confl ittualità.

In terzo luogo la stessa autorevolezza di una corte suprema. La credibilità esterna che deriva dal mantenere la coerenza interna comporta un rafforzamento dell’istituzione giudiziaria nel quadro dei poteri dello stato, specularmente opposto all’indebolimento che è rappresentato, invece, dalla diminuzione della credibilità connessa ad un dicere jus segnato da contrasti, sbandamenti e oscillazioni 49.

Molto probabilmente è una rifl essione sull’importanza di questi valori che ha indotto il costituente a perseguirli introducendo nella Carta fondamentale la garanzia del ricorso in cassazione contro tutte le sentenze (oltre che i provvedimenti sulla libertà personale). A tutti i cittadini, avrà ragionato il costituente, deve essere assicurata l’uniformità di trattamento e prevedibilità delle decisioni tramite l’intervento di un organo supremo e centralizzato di giustizia nel caso di contrasti interpretativi tra i giudici di merito decentrati sul territorio.

Ci troviamo qui di fronte ad uno dei casi più eminenti di eterogenesi dei fi ni perseguiti da una norma processuale. Proprio la garanzia del ricorso in cassazione contro tutte le sentenze ha determinato l’impossibilità per la corte di cassazione di garantire l’uniforme interpretazione e applicazione della legge. La ragione è semplice e può venir racchiusa in un detto della saggezza popolare: tot capita tot sententiae. Da molti anni troppo numerosi e in progressiva via di aumen-Page 43to sono i ricorsi, ormai quasi decuplicati rispetto agli anni cinquanta del secolo scorso, così che troppo numerosi e in progressiva via di aumento sono i giudici chiamati a deciderli.

La conseguenza è sotto gli occhi di tutti. Aggiungendo disordine giurisprudenziale al disordine legislativo, la nostra corte suprema presenta un panorama di pronunce contrastanti tra sezione e sezione, tra sezioni semplici e sezioni unite e spesso addirittura anche all’interno della medesima sezione, ivi comprese le stesse sezioni unite, sul fi lo di ambiti di (quasi) contemporaneità, che nulla hanno a che vedere con le esigenze di una maturazione consapevole e di una evoluzione naturale della giurisprudenza, anche perché sovente si tratta di contrasti riguardanti l’interpretazione e l’applicazione di norme non recenti. Basterà qui ricordare la raccolta dei contrasti operata in articoli e anche grossi volumi da un meritevole studioso 50. Per quanto riguarda la procedura civile vi sono i casi recentissimi dei contrasti in materia di ammissibilità del ricorso incidentale condizionato e di clausola abusiva regolante la competenza per territorio nei contratti del consumatore 51. Siamo di fronte ad un circolo vizioso. Quanto più aumentano i ricorsi tanto più aumentano i contrasti sia per la diffi coltà per i giudici chiamati alla decisione di venir a conoscenza dei precedenti più recenti a causa dell’elefantiasi della corte e del suo interno disordine organizzativo, sia per le incomprimibili divergenze sui valori sottesi all’interpretazione giuridica, che si verifi cano nelle valutazioni dei differenti collegi che ruotano entro le sezioni. Ma quanto più la giurisprudenza della corte assomiglia ad un supermercato dove il soccombente nel giudizio di merito trova precedenti anche favorevoli, tanto più aumentano i ricorsi.

Con una conseguenza ulteriore, oltre all’offesa ai valori sopra rammentati. Alludo al deperimento di effi cacia dell’attività decisoria. Ammetto di avanzare un rilievo venato di pragmatico cinismo. Ma è evidente che una prassi ispirata alla conformità nei confronti dei precedenti richiede, in chi vi si adegui, uno sforzoPage 44e una quantità di lavoro intellettuale incomparabilmente minori di quelli richiesti in chi si accinga a risolvere ogni singolo caso senza affi darsi, senza, per così dire, volersi rilassare nell’auctoritas rerum similiter iudicatarum52. Ed è inutile sottolineare che minore quantità di lavoro per ogni singolo caso signifi ca (o dovrebbe signifi care) migliore effi cienza dell’attività sotto il profi lo della superiore velocità del processo decisorio e, conseguentemente, della maggiore quantità di casi decisi nella medesima quantità di tempo 53.

Insomma, se si vuole recuperare la funzione nomofi lattica della corte di cassazione, l’unica strada è nella drastica riduzione del numero dei ricorsi.

@2. La crisi dei valori sottesi alla nomofi lachia

L’esperienza insegna che è sempre dato di cogliere posizioni culturali in dirizzate a razionalizzare e giustifi care l’esistente. Secondo alcuni studiosi della cassazione il modo tradizionale di descrivere la nomofi lachia sarebbe eccessivamente rigido, e i rimedi proposti per recuperarla comporterebbero il pericolo di esiti di autoritarismo istituzionale al vertice del potere giudiziario.

L’attuazione del compito di nomofi lachia, come viene tradizionalmente inteso, da un lato oggi non sarebbe possibile e, dall’altro, non sarebbe neppure desiderabile.

A giustifi cazione di simili conclusioni l’accento viene posto sulla complessità, qualcuno dice sul caos normativo caratteristico di un ordinamento che si va “decodifi cando” 54, vuoi per rispondere, secondo una prospettiva di disincantato pessimismo, agli impulsi di una società neocorporativa sempre più frammentata in gruppi di interessi ansiosi di ottenere dal legislatore la concessione di “statuti” sostanziali, e a volte anche processuali, privilegiati, tali da soddisfare le loro particolari esigenze; vuoi per rispondere, secondo una prospettiva più ottimista, agli impulsi di «una...

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