L’uso della giurisprudenza nazionale e del case law nella corte di giustizia europea

AutoreNicholas Forwood
Occupazione dell'autoreQueen’s Counsel, è giudice del Tribunale Europeo di prima istanza.

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Sono lieto che il Convegno sia stato introdotto da Guido Alpa, perchè è grazie a lui che sono venuto a conoscenza di una delle prime cause italiane che hanno coinvolto il riferimento alle sentenze delle corti anglosassoni, almeno nel campo della privacy.

Negli anni ’50, un fi lm italiano ben conosciuto dal titolo La leggenda di una voce raccontava la storia della vita di Caruso. La parte attrice riteneva che Caruso non fosse stato ben rappresentato in questo film, quindi chiese ai tribunali italiani protezione nella forma di un generale diritto alla riservatezza e alla privacy.

Secondo Guido Alpa troverete nel ragionamento del Tribunale un riferimento alla giurisprudenza anglosassone per quanto riguarda l’esistenza o meno di un diritto alla privacy e alla confi denzialità. Mentre il generale principio in quel caso fu negato – in quei primi anni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo i diritti individuali soggettivi erano riconosciuti solo dove potevano essere specifi catamente riconosciuti e protetti in modi diversi – la sentenza era una piccola illustrazione di come noi giudici sviluppiamo la legge istintivamente, tramite riferimenti ad altri sistemi giuridici, come se cercassimo conferma di un particolare approccio dalla rassicurante presenza di simili metodologie in altri sistemi giuridici.

Come giudici del Tribunale di Prima Istanza, che fa parte del sistema della Comunità Europea, facciamo parte della Corte di Giustizia Europea e formiamo quindi una corte internazionale nel senso più pieno del termine. Preciso ciò non tanto perché i nostri giudici provengono da formazioni giuridiche diverse, quanto nel senso che il diritto comunitario è, come tutti voi sapete, un sistema sopranazionale, la cui struttura fondamentale è basata non solo sui Trattati, ma anche, sotto molti aspetti, sul riferimento ai principi generali fi ssati o riconosciuti dai sistemi nazionali degli Stati membri.

La Corte Europea di Giustizia è anche un foro che ha prodotto un sistema giuridico dove il ruolo delle precedenti pronunce è un fattore importante nell’evoluzione della propria giurisprudenza. Naturalmente ciò non vuol dire che il tribunale segue rigidamente la regola dello stare decisis. Tuttavia, come molti di voi sanno, la sua generale riluttanza ad allontanarsi dalle sue precedenti decisioni e la regolare citazione delle sue sentenze più risalenti sono stati i principali metodi di strutturare il suo ragionamento giuridico. Penso che ciò giustifi chi l’impressione che la Corte abbia creato una sorta di nuovo sistema di common law europeo.

Per quanto riguarda le fonti di questa common law, esistono diversi fattori che guidano la Corte verso la ricezione d’idee provenienti da altri sistemi giuridici, siano queste derivati dagli attuali Stati membri (con l’inclusione dei nuovi arrivati) o siano idee e principi riconosciuti altrove.

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Naturalmente vi sono clausole espresse che prevedono un rinvio alle leggi degli Stati membri. L’articolo 288, paragrafo 2, con riferimento alla responsabilità non contrattuale della Comunità per i danni causati dalle sue istituzioni, stabilisce l’applicabilità dei principi generali comuni alle leggi degli Stati membri. Analogamente, l’articolo 6 del Trattato dell’Unione Europea prevede un rinvio alle leggi degli Stati membri riguardo ai diritti fondamentali. Ma tali rinvii alla legge nazionale non vengono effettuati solo laddove c’è una previsione espressa nei Trattati.

Fin da quando la Corte ha dichiarato che l’ordinamento giuridico della Comunità doveva diventare un sistema giuridico completo, è divenuto palese che occorreva che, tutte le volte che c’era un divario in questo sistema giuridico e la risposta non emergeva in modo suffi ciente chiaro dagli articoli dei Trattati o dalla legislazione secondaria, allora era responsabilità delle Corti della Comunità col- mare questi divari. Nel fare questo l’approccio comparato è essenzialmente l’unico modo per avere una guida certa che, da un lato, rifl etta le tradizioni comuni degli Stati membri e, dall’altro, produca un risultato pratico.

In questo contesto il problema della scelta del metodo comparativo è fondamentale. Come sapete, i giuristi del diritto comparato discutono a lungo i vari metodi d’approccio allo studio del diritto comparato, se adottare l’approccio del minimo comun denominatore o (ancora in termini aritmetici) del massimo fattore comune. Ma nessuno dei due è l’approccio generalmente adottato dalla Corte di Giustizia.

Il compianto Giudice Kutscher della Corte di Giustizia Europea ha descritto l’approccio della Corte nei termini seguenti:

C’è un accordo totale sul fatto che, quando la Corte interpreta o integra il diritto comunitario con l’applicazione del diritto comparato, non è obbligata a prendere in considerazione come base per la sua decisione il minimo che le soluzioni nazionali hanno in comune, o la loro media aritmetica, o la soluzione prodotta da una maggioranza dei sistemi giuridici. La Corte deve soppesare e valutare il particolare problema e ricercare la soluzione migliore e più appropriata.

Si desume dalla citazione che ho...

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