La funzione nomofilattica della giurisprudenza della corte di cassazione: Tre casi in tema di appalto

AutoreGiovanni Iudica
Occupazione dell'autoreProfessore ordinario di Diritto Civile e Dean della School of Law dell’Università Boccini di Milano, è membro della direzione di alcune riviste giuridiche ed autore e curatore di numerose pubblicazioni.
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@1. La nomofi lachia

Lo ius dicere della corte di cassazione – per quanto non si possa parlare, nel nostro sistema, di effi cacia normativa del precedente – spiega i suoi effetti e trova la sua più autentica giustifi cazione su un piano che trascende l’orizzonte della singola vicenda giudiziale.

Quella uniforme interpretazione della legge, che spetta alla Cassazione garantire in forza dell’art. 65 delle disposizioni in tema di ordinamento giudiziario (ma da più parti si richiama lo stesso art. 111, Cost.), è espressione della funzione che si è soliti defi nire nomofi lattica.

Diversi sono i valori che giustifi cano questa funzione: uguaglianza di trattamento ed affi damento dei cittadini, certezza del diritto ed ordinato svolgersi delle relazioni economiche, credibilità della istituzione giudiziaria, effi cienza dell’attività decisoria (se una questione viene decisa in modo uniforme, lo sforzo motivazionale fi nisce inevitabilmente – e in certa misura anche comprensibilmente – con l’essere alleggerito e i tempi del decidere accelerati) 70.

Per contro, altri valori, secondo i casi, possono richiedere il mutamento di un orientamento giurisprudenziale consolidato e portare quindi ad un contrasto tra le Corti, tanto di merito quanto di legittimità.

Tanto basta a rendersi conto che un saggio esercizio della nomofi lachia esige che non si confondano uniformità ed immutabilità della giurisprudenza 71.

Certo, l’interpretazione consolidata non potrà essere scalzata da una inter- pretazione eccentrica, frutto di una visione del tutto personale e monadica del giudice di merito. Il diritto vivente – cioè il diritto effettivamente risultante dall’interpretazione consolidata, e non di rado frutto di una vera e propria nomopoiesi compiuta dalla giurisprudenza – trova nella nomofi lachia la sua protezione.

La Suprema Corte custodisce la legge – nella prospettiva istituzionale ed ordinamentale propria dell’art. 65 della disciplina dell’ordinamento giudiziario – nel senso che custodisce la legge come interpretata (o, secondo i casi, tout courtPage 60creata) dalla giurisprudenza, censurando le deviazioni dalla regula iuris compiute da singoli giudici, e persegue l’interpretazione uniforme risolvendo i contrasti che emergono tra le Corti di merito e, nella composizione a Sezioni Unite, tra le proprie singole sezioni.

@2. La natura della responsabilità ex art. 1669, cod. civ.

In questa sede, intendo fare tre esempi, limitatamente alla materia degli appalti, allo scopo di offrire uno spaccato, in questo vasto e complesso settore, di come operi, in concreto e sul campo, il magistero nomofi lattico della giurisprudenza di legittimità.

A tutti è ben noto il disposto dell’art. 1669, cod. civ., in tema di responsabilità decennale dell’appaltatore.

Questa norma, dettata in seno alla disciplina del tipo contrattuale dell’appalto, regola i rapporti tra committente ed appaltatore in dipendenza del sopraggiungere, nel decennio dal compimento dell’opera, della rovina totale o parziale, dell’evidente pericolo di rovina o di gravi difetti dell’immobile. La responsabilità dell’appaltatore è sancita nei confronti della sua controparte contrattuale, cioè il committente e, in via di eccezione, pure nei confronti dei suoi aventi causa.

La natura della responsabilità dell’appaltatore trova chiaramente nel contratto il suo titolo ed ha nel contratto ogni suo elemento costitutivo. La dottrina perciò non ha avuto dubbi nell’affermare che si tratta di responsabilità contrattuale:

Anche ad una superficiale lettura della norma, appare chiaro che quella ivi prevista è una responsabilità che deriva dal contratto di appalto. La legge stessa dice esplicitamente che essa vale di fronte al committente; e per estenderla nei riguardi degli aventi causa del committente ha dovuto dirlo esplicitamente, mostrando così con tutta chiarezza che questa estensione è un’eccezione e che, come regola, tale responsabilità sussiste solo di fronte al committente. Se veramente se ne fosse voluto fare una responsabilità extracontrattuale, la norma sarebbe stata collocata in altra sede, cioè nel Titolo Dei fatti illeciti, e più precisamente, anzi, nell’art. 2053, opportunamente ampliato dal proprietario al costruttore dell’edificio 72.

Ebbene, ciononostante, la giurisprudenza, tanto di merito quanto – ciò che qui specifi camente interessa – di legittimità, contro l’opinione della dottrina dominante, è sostanzialmente unanime nel ritenere che la responsabilità prevista dalla norma in esame sia di natura extracontrattuale. La giurisprudenza della Cassazione ha così consacrato una regola di diritto che non ha un fondamento testuale, ed anzi appare contraria al tenore dell’art. 1669.

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A chiunque si occupi di appalti ed abbia quindi familiarità con le massime della Suprema Corte, suoneranno senz’altro non nuove affermazioni del seguente tenore: la...

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