L'esercizio di un diritto

AutoreMassimiliano di Pirro
Pagine167-184

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@1 Fondamento della scriminante.

Il significato del termine "diritto"

L’art. 51, 1° comma, c.p. stabilisce che l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità.

Tale norma disciplina la scriminante dell’esercizio del diritto, codificando il principio qui iure suo utitur neminem laedit (chi fa uso del proprio diritto non danneggia nessuno), ed è espressione del principio di non contraddizione, in quanto l’ordinamento giuridico non può riconoscere ad un soggetto la possibilità di agire in un determinato modo e poi sanzionarlo per aver tenuto tale comportamento.

La differenza rispetto all’adempimento del dovere (anch’esso previsto dall’art. 51 c.p.) risiede nel fatto che, mentre l’esercizio del diritto presuppone un potere di agire ammesso dalla legge, per cui il soggetto è libero di decidere se agire oppure no, nell’adempimento del dovere il comportamento è imposto al soggetto, il quale, pertanto, è obbligato ad agire secondo quanto previsto dalla legge.

Nell’esercizio del diritto un primo problema consiste nello stabilire in quali casi la norma che attribuisce un determinato diritto prevalga rispetto alla norma penale che vieta quella stessa condotta qualificandola come reato (l’art. 51 c.p., infatti, presuppone già risolto questo conflitto tra norme a favore di quella che attribuisce il diritto e ne consente l’esercizio).

Per sciogliere il conflitto la dottrina ha suggerito vari criteri:criterio gerarchico, per il quale la norma scriminante prevale se è prevista da una fonte sovraordinata (ad esempio, una norma costituzionale) a quella penale (ad esempio, una legge ordinaria);criterio cronologico, secondo cui la norma che attribuisce al soggetto un determinato diritto prevale su quella penale incriminatrice se è successiva a quest’ultima;criterio di specialità, per il quale se la norma scriminante è speciale rispetto a quella penale può derogare a quest’ultima.

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Occorre aggiungere, inoltre, che l’art. 51 c.p., laddove utilizza il termine "diritto", si riferisce, in termini generali, a ogni situazione giuridica soggettiva che consente al titolare di esercitare una serie di poteri per soddisfare un determinato interesse tutelato dall’ordinamento. Rientrano in tale nozione, tra l’altro, i diritti soggettivi (posizioni giuridiche soggettive consistenti nel potere di agire per il soddisfacimento di interessi protetti dall’ordinamento giuridico: si pensi al diritto di proprietà), i diritti potestativi (situazioni giuridiche attive che consentono al titolare di ottenere, mediante un proprio comportamento, un risultato favorevole, provocando una modificazione nella sfera giuridica di un diverso soggetto, il quale è costretto a subire l’iniziativa altrui, versando in una posizione di soggezione: si pensi al diritto di recedere dal contratto ex art. 1373 c.c.) e le (situazioni soggettive che consentono al titolare di realizzare interessi che fanno capo ad altri soggetti: si pensi alla potestà dei genitori nei confronti dei figli).

Secondo la dottrina più autorevole (Mantovani), nell’ambito applicativo dell’art. 51 c.p. non rientrano l’interesse legittimo (interesse alla legittimità dell’atto amministrativo, ovvero a un corretto esercizio del potere da parte della pubblica amministrazione, riconosciuto al soggetto che si trovi, nei confronti dell’amministrazione pubblica, in una posizione differenziata e qualificata rispetto agli altri soggetti: si pensi all’interesse al rilascio di un permesso di costruire) e gli interessi semplici (interessi del singolo a che la P.A. osservi i doveri giuridici posti a suo carico ed a vantaggio della collettività).

@2 Presupposti e limiti

Affinché il fatto commesso dal soggetto, astrattamente corrispondente a una fattispecie di reato, non sia punibile, non è sufficiente che l’ordinamento attribuisca al soggetto stesso il diritto di porre in essere quella determinata condotta, ma occorre che:

- il fatto penalmente illecito sia stato determinato dalla necessità di esercitare il diritto - il diritto venga esercitato dal titolare; qualora si tratti di un diritto non personale, è ammesso il suo esercizio per il tramite di un rappresentante, al quale si estenderà la scriminante in esame;

- il diritto riconosciuto dall’ordinamento sia esercitato per realizzare la finalità per la quale il diritto stesso è attribuito al soggetto - la norma che riconosce il diritto consenta, almeno implicitamente, di esercitarlo mediante quella determinata azione che di regola costituisce reato. Inoltre, l’esercizio del diritto incontra due tipologie di limiti:

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limiti interni, che devono essere rispettati da chiunque eserciti un proprio diritto. Si tratta, precisamente, dei limiti previsti dagli artt. 392 e 393 c.p., che puniscono chi vuole far valere le proprie ragioni con l’uso della violenza su cose o persone: nessuno, infatti, può servirsi di mezzi violenti per esercitare un proprio diritto (Lanzi); inoltre, talvolta limiti interni sono ricavabili dalle stesse norme che prevedono i diritti (ad esempio, il potere di distruggere la cosa propria incontra il limite sancito dall’art. 423, 2° comma, c.p., che sanziona chi incendia la cosa propria se dal fatto deriva pericolo per la incolumità pubblica);limiti esterni, ricavabili dall’intero ordinamento giuridico e finalizzati alla tutela di diritti o interessi di valore uguale o maggiore di quello del cui esercizio si tratta. Pertanto, i diritti riconosciuti da una legge ordinaria non possono contrastare con i diritti tutelati da norme costituzionali, così come i diritti riconosciuti e garantiti a livello costituzionale (ad esempio, il diritto di cronaca giornalistica ex art. 21 Cost.) devono fare i conti con la tutela degli altri interessi costituzionali di rango equivalente (ad esempio, la tutela della dignità della persona ex art. 3 Cost.).

@3 Le fonti del diritto

Le fonti che possono prevedere i diritti cui fa riferimento l’art. 51 c.p., e il cui esercizio rende legittima la condotta del soggetto, sono (Antolisei, FiandacaMusco):Costituzioneleggi ordinarie, ossia le leggi deliberate dal Parlamento secondo il procedimento previsto dagli artt. 70 e ss. Cost. Peraltro, poiché le norme penali non creano diritti soggettivi ma prevedono, sanzionandole, le condotte costituenti reato, possono costituire fonte di diritti soltanto le leggi diverse da quelle penali (leggi civili, leggi amministrative etc.) (Mantovani);leggi straniere, purché prevedano diritti che l’ordinamento italiano è obbligato a riconoscere e a rispettare (Romano);leggi regionali (Nuvolone), ossia le leggi emanate dalle Regioni nelle materie previste dall’art. 117 Cost. (per le Regioni a statuto ordinario) o dai rispettivi statuti (per le Regioni a statuto speciale: Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, TrentinoAlto Adige, FriuliVenezia Giulia). Qualche autore (Caraccioli), però, nega che la legge regionale possa costituire fonte di diritti scriminanti, poiché, così come le leggi regionali non possono introdurre norme penali incriminatrici, allo stesso modo si deve negare che l’applicazione delle norme penali incriminatrici introdotte

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da leggi statali possa essere condizionata da un diritto attribuito da una legge regionale;

- i regolamenti amministrativi, atti formalmente amministrativi (in quanto emanati dalla pubblica amministrazione) e sostanzialmente normativi (in quanto, come le norme di legge, contengono disposizioni generali e astratte, applicabili a una generalità indeterminata di soggetti), che nel sistema delle fonti del diritto si collocano al di sotto della legge (sono, perciò, fonti secondarie);

- gli atti amministrativi, ossia gli atti emanati dalla pubblica amministrazione e consistenti in manifestazioni di volontà destinate a incidere unilateralmente sulla sfera giuridica dei destinatari attraverso la costituzione, la modificazione o l’estinzione di situazioni giuridiche. Deve trattarsi, ovviamente, di atti legittimi;

- i provvedimenti del giudice (sentenze, ordinanze, decreti);

- il contratto, ovvero l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale (art. 1321 c.c.);consuetudine (Marinucci), consistente nella ripetizione costante e uniforme di un determinato comportamento da parte di una collettività più o meno estesa di persone, nella convinzione di uniformarsi a un obbligo giuridico. La consuetudine può assumere la veste di fonte di un diritto rilevante ai sensi dell’art. 51 c.p. soltanto se è richiamata espressamente dalla norma che prevede il diritto del cui esercizio si tratta (Caraccioli).

@4 Il diritto di cronaca e di critica giornalistica

@@a) Il diritto di cronaca giornalistica

Un’applicazione particolare della scriminante dell’esercizio del diritto ricorre nell’ambito del diritto di cronaca giornalistica, espressione del diritto di manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost.

Tale diritto rappresenta un fondamentale presidio alle libertà democratiche costituzionalmente garantite, ma non vi è dubbio che il suo esercizio incontri una serie di limiti, espressamente o implicitamente desumibili dalla stessa Costituzione; tra questi ultimi rientrano la tutela dell’onorabilità personale e il principio della pari dignità sociale di tutti i cittadini (artt. 2 e 3 Cost.).

A questo proposito, la giurisprudenza, nell’individuare i criteri che devono ispirare il diritto di cronaca al fine di evitare che l’esercizio dello stesso sfoci nella lesione dell’onore o della reputazione altrui, ha fissato un insieme di

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regole alle quali deve ispirarsi il giornalista nell’espletamento dell’attività informativa.

In particolare, le condizioni che rendono lecito l’esercizio del diritto di cronaca sono (fin da Cass. civ. n. 5259/1984):utilità sociale dell’informazione;verità dei fatti esposti; la verità dei fatti, cui il giornalista ha il preciso dovere di attenersi...

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