Gli atti processuali
Autore | Massimiliano di Pirro |
Pagine | 133-154 |
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@1 La strumentalità delle forme e il principio di oralità
Gli atti che svolgono un ruolo nella dinamica del processo sono detti "atti processuali" (Mandrioli). Il criterio regolatore della disciplina di tali atti è il cd. principio di strumentalità delle forme, secondo cui gli atti del processo sono disciplinati dal legislatore con le forme più idonee al conseguimento del loro scopo obiettivo.
In generale, la forma degli atti processuali indica la modalità con la quale l’atto è compiuto, e si contrappone al contenuto dell’atto.
Al di fuori della disciplina formale rimane tutto ciò che precede la formazione dell’atto e ciò che segue l’atto, ossia la produzione degli effetti giuridici: in questo senso si parla di sostanza dell’atto (Mandrioli).
Un ulteriore principiocardine che governa gli atti processuali è quello dell’oralità, in base al quale numerosi atti processuali devono essere compiuti oralmente (sono orali gli atti che si compiono con la contemporanea presenza fisica delle parti, per lo più rappresentate dai loro difensori, innanzi al giudice).
Il principio dell’oralità è sancito dall’art. 180 c.p.c., in base al quale "la trattazione della causa è orale".
Ciò non esclude, peraltro, che taluni atti del processo debbano essere compiuti per iscritto. Inoltre, anche gli atti che si compiono in forma orale, devono essere documentati per iscritto mediante apposito processo verbale (art. 126 c.p.c.). Ne consegue che lo scritto è sempre necessario: per gli atti orali assolve alla funzione di documentazione, per gli atti scritti condiziona addirittura la stessa esistenza dell’atto.
Particolare importanza riveste l’introduzione, ad opera del d.P.R. 13-2-2001, n. 123 (Regolamento recante disciplina sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti), della possibilità che gli atti processuali siano redatti come documenti informatici.
Le disposizioni relative all’uso di strumenti informatici e telematici nel processo si propongono l’obiettivo di creare un sistema valevole per tutti i tipi, le fasi e i gradi
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del processo, senza incidere in alcun modo sulle disposizioni sostanziali processuali (adempimenti, termini, contenuto di atti, produzioni etc.). In altri termini, l’attività informatica o telematica si affianca, come modalità alternativa per le parti, a quella ordinaria su supporto cartaceo - oltre che in forza del principio generale di libertà- strumentalità delle forme di cui all’art. 121 c.p.c.
- in forza della già avvenuta equiparazione normativa dei documenti informatici e telematici a quelli tradizionali. Tutti gli atti del processo, compresi i provvedimenti del giudice (sentenze, ordinanze e decreti), possono essere redatti mediante la forma elettronica, e cioè come documenti informatici sottoscritti con firma digitale (art. 4, d.P.R. n. 123/2001).
@2 Gli atti di parte
Si definiscono "di parte" gli atti compiuti dalle parti, personalmente o a mezzo dei loro difensori. Alcuni di essi sono qualificabili come atti iniziali del procedimento, in quanto sono introduttivi dello stesso (citazione, ricorso e precetto), altri intervengono nel corso del giudizio (comparsa di costituzione, comparsa conclusionale, controricorso etc.).
L’art. 125 c.p.c., con una disposizione di carattere generale, stabilisce che, salvo che la legge disponga altrimenti, gli atti di parte devono indicare l’ufficio giudiziario, le parti, l’oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o l’istanza, e, tanto nell’originale quanto nelle copie da notificare, devono essere sottoscritti dalla parte, se essa sta in giudizio personalmente, oppure dal difensore.
La norma, pertanto, indica il contenuto minimo degli atti di parte, e precisamente:
- l’indicazione dell’autorità giudiziaria (tribunale, giudice di pace etc.) davanti alla quale l’atto è proposto;
- le parti (attore, convenuto e rispettivi difensori);
- l’oggetto (cd. petitum mediato, ossia il bene materiale che si chiede al giudice);
- le ragioni della domanda (i fatti posti a fondamento della stessa);
- le conclusioni (le richieste rivolte all’autorità giudiziaria).
Si tratta di un’elencazione che deve essere integrata con le singole disposizioni del codice relative alle varie tipologie di atti (l’art. 163 per l’atto di citazione, l’art. 167 per la comparsa di costituzione e risposta etc.).
L’art. 125 c.p.c. (come modificato dal D.L. 193/2009, convertito dalla L. 24/2010), stabilisce, inoltre, che l’originale e le copie degli atti processuali indicati devono essere sottoscritti dal procuratore o dalla parte che sta in giudizio personalmente, che indica il proprio codice fiscale. La sottoscrizione dell’originale dell’atto ad opera
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del procuratore (o della parte che sta in giudizio personalmente) è elemento indispensabile per la formazione dell’atto stesso, sicché il suo difetto determina l’inesistenza dell’atto e non soltanto la sua nullità (Cass. n. 4116/2001; contra, nel senso della mera irregolarità, Satta-Punzi). Invece, la mancanza della sottoscrizione nella copia dell’atto notificato ne determina la nullità solo qualora non sia possibile desumere la sua provenienza dal procuratore costituito sulla base di elementi contenuti nell’atto stesso (Cass. n. 8593/2001).
@3 L’udienza e il verbale
L’udienza rappresenta il luogo principale di svolgimento delle attività processuali (adozione dei provvedimenti del giudice, raccolta delle prove etc.) ed è, pertanto, il momento in cui avviene il contatto tra il giudice, le parti e i loro difensori.
L’udienza si svolge all’interno di apposite aule degli uffici giudiziari, a meno che non si tratti di attività istruttorie che devono compiersi in altro luogo, come nel caso delle ispezioni, dei pignoramenti, delle notificazioni etc.
Nel processo ordinario, di competenza del tribunale, vi sono generalmente più udienze davanti al giudice istruttore, nelle quali avviene la trattazione (attività processuale finalizzata a individuare le parti, a precisare o modificare le domande delle parti e a discutere le questioni più rilevanti) e l’istruzione della causa (in senso stretto, si parla di istruzione probatoria, costituita dall’insieme delle attività finalizzate alla raccolta delle prove proposte dalle parti negli atti introduttivi, o indicate nel corso del processo entro i termini previsti dal codice di rito; in senso ampio, invece, l’istruzione ricomprende la trattazione, la raccolta delle prove - cd. istruzione probatoria - e la rimessione della causa in decisione, a seguito della quale il giudice si riserva di decidere la controversia).
L’udienza nella quale il giudice ha il primo contatto con le parti e verifica la loro regolare costituzione in giudizio è l’udienza di prima comparizione delle parti e di trattazione della causa (art. 183 c.p.c.), introdotta (a decorrere dal 12-9-2005) dal D.l. n. 35/2005 (Disposizioni urgenti nell’ambito del piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale), convertito nella l. 14-5-2005, n. 80, al fine di concentrare le attività processuali e di rendere più spedito lo svolgimento del processo. In precedenza, invece, era prevista una udienza di prima comparizione (art. 180 c.p.c., nel testo previgente), alla quale seguiva la prima udienza di trattazione (art. 183 c.p.c., nel testo previgente).
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L’udienza è governata da una serie di regole generali (concentrazione e speditezza) e particolari (fissate dai capi degli uffici giudiziari e volte a stabilire i giorni in cui si tengono le udienze).
Il potere di direzione dell’udienza rientra nel potere di direzione del processo previsto dall’art. 175 c.p.c., e si atteggia diversamente a seconda che vengano in rilievo poteri direttivi meramente formali (ad esempio, il rinvio dell’udienza) o sostanziali, volti a circoscrivere l’oggetto del giudizio, ad assumere d’ufficio iniziative di tipo istruttorio etc.
In ogni caso, il potere di direzione dell’udienza e l’assunzione dei mezzi di prova costituiscono attività del giudice caratterizzate da un’ampia discrezionalità. Ad esempio, alla luce di tale discrezionalità, il giudice non ha l’obbligo di accogliere una richiesta di rinvio anche se formulata congiuntamente da entrambe le parti.
L’udienza in cui si discute la causa è pubblica, ma il giudice che la dirige può disporre che si svolga a porte chiuse, se ricorrono ragioni di sicurezza dello Stato, di ordine pubblico o di buon costume.
Il giudice, inoltre, esercita i poteri di polizia per il mantenimento dell’ordine e del decoro e può dunque allontanare chi contravviene alle sue prescrizioni.
Il requisito della pubblicità dell’udienza di discussione (sia davanti al giudice monocratico, sia davanti al collegio) è fissato a pena di nullità della sentenza (nullità che può essere fatta valere soltanto dalle parti e non rilevata d’ufficio dal giudice), ed è soddisfatto quando risulta concretamente assicurata la possibilità, per chiunque, di assistere all’udienza medesima.
A questa prima forma di pubblicità nei confronti dei terzi si accompagna una pubblicità tra le parti, ovvero la possibilità per queste ultime di essere presenti al compimento degli atti processuali.
Le attività processuali che si svolgono nel corso dell’udienza sono trascritte nel cd. processo verbale (o "verbale di udienza"), l’atto nel quale il cancelliere attesta, appunto, il compimento delle attività processuali. Tale regola è sancita dall’art. 180 c.p.c., in base al quale "della trattazione della causa si redige processo verbale".
In particolare, il cancelliere, sotto la direzione del giudice, deve compilare il verbale d’udienza facendo risultare le attività compiute e le dichiarazioni ricevute dalle parti.
Il processo verbale deve essere poi sottoscritto dal giudice che presiede l’udienza e dal cancelliere.
Il verbale d’udienza, in quanto atto pubblico, fa piena prova delle dichiarazioni che il pubblico ufficiale...
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