La competenza
Autore | Massimiliano di Pirro |
Pagine | 53-72 |
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@1 Nozione
Dopo aver stabilito che una determinata causa appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, occorre stabilire a quale, tra i diversi giudici, spetti la competenza a decidere quella specifica controversia.
La competenza può definirsi come la misura della giurisdizione spettante a ciascun giudice (Mandrioli, Liebman). In particolare, se la giurisdizione civile appartiene ai giudici ordinari nel loro complesso, la competenza consente di individuare, tra i suddetti giudici, quello che ha il potere di decidere una determinata controversia.
A questo proposito, occorre precisare che, nel nostro ordinamento, da un lato esistono diversi tipi di giudici, sia per quanto riguarda la loro composizione (giudici unipersonali, come il giudice di pace, e giudici collegiali come il tribunale), sia per quanto riguarda il loro funzionamento, e dall’altro esistono tanti giudici dello stesso tipo, distribuiti su tutto il territorio nazionale.
Questi due diversi criteri di composizione dell’organizzazione giudiziaria danno luogo a due diversi problemi di distribuzione della competenza (Mandrioli):
- quello della distribuzione verticale tra i giudici di tipo diverso (giudice di pace, tribunale, Corte d’appello e Corte di cassazione);
- quello della distribuzione orizzontale tra i diversi giudici dello stesso tipo, a seconda della loro dislocazione nel territorio: un ufficio del giudice di pace in ciascuno dei mandamenti preesistenti al mutamento delle circoscrizioni territoriali delle preesistenti preture, un tribunale in ciascun circondario, una Corte d’appello in ciascun distretto (il cui ambito non coincide sempre con quello regionale), una sola Corte di cassazione in Roma.
La ripartizione della competenza tra giudici di tipo diverso è disciplinata dalle regole sulla competenza per materia e valore; la ripartizione della competenza tra giudici dello stesso tipo è disciplinata, invece, dalle regole sulla competenza per territorio (v. infra).
Il difetto di competenza comporta l’invalidità della sentenza emessa, poiché la competenza è un presupposto necessario per la validità della decisione di merito (Arieta).
Non rientrano nel concetto di competenza:
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- la ripartizione delle funzioni tra i componenti di un ufficio giudiziario collegiale (presidente, giudice istruttore, collegio);
- la distribuzione del lavoro tra le diverse sezioni di uno stesso ufficio giudiziario;
In particolare, la L. n. 276/1997 ha attribuito poteri decisori alle cd. sezioni stralcio per la definizione delle cause civili pendenti nei tribunali alla data del 30-4-1995 e già rimesse al collegio, ma non ancora decise. Le relative funzioni sono attribuite ai cd. g.o.a. (giudici onorari aggregati), che svolgono funzioni limitate nel tempo fino all’esaurimento dell’arretrato. Questi giudici sono stati istituiti dopo l’instaurazione dei processi che sono chiamati a decidere, per cui si pone un problema di compatibilità con il principio del giudice naturale precostituito per legge ex art. 25 Cost., problema risolto in virtù della provvisorietà delle funzioni esercitate da tali organi giurisdizionali (Capponi). A livello procedimentale, il presidente della sezione stralcio assegna le cause ai singoli giudici onorari fissando la data dell’udienza che dovrà svolgersi davanti al g.o.a. Il giudice fissa l’udienza per il tentativo di conciliazione, alla quale le parti debbono comparire personalmente o a mezzo di procuratore speciale. Se il tentativo di conciliazione non riesce, il giudice trattiene la causa in decisione quale giudice unico ai sensi dell’art. 190bis c.p.c.
- la ripartizione della potestà giurisdizionale tra giudici ordinari e giudici amministrativi (che investe un problema di giurisdizione e non di competenza).
I criteri che consentono di individuare il giudice competente a decidere una determinata causa sono elencati dagli artt. 7 e ss. c.p.c., e fanno capo ad altrettante tipologie di competenza, ovvero: a) competenza per materia, individuata in relazione alla natura della controversia; b) competenza per valore, individuata in base al valore della lite; e) competenza per territorio, fondata sul collegamento tra la controversia e una determinata area territoriale.
Come accennato, i primi due criteri risolvono il problema della distribuzione verticale della giurisdizione tra giudici di tipo diverso (giudice di pace, tribunale, Corte d’appello e Corte di cassazione); il terzo criterio risolve il problema della distribuzione orizzontale tra diversi giudici dello stesso tipo presenti nel territorio della Repubblica (Carpi-Taruffo, Mandrioli). L’indagine volta a individuare il giudice competente deve essere condotta valutando, in prima battuta, se la controversia rientra nella competenza per materia di un determinato organo giudicante; la risposta affermativa rende (normalmente) superfluo l’esame del valore della causa, mentre, in caso di risposta negativa, occorre identificare il giudice competente per valore. A questo punto, va determinato il giudice competente per territorio (Verde).
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@2 La competenza per valore e per materia del giudice di pace
@@a) Generalità
Il giudice di pace (g.d.p.) è un magistrato onorario appartenente all’ordine giudiziario istituito con la L. 21-11-1991, n. 374, il quale esercita la giurisdizione in materia civile e penale e la funzione conciliativa in materia civile. La sua competenza concorre con quella del tribunale, e riguarda sia il processo ordinario di cognizione sia il processo esecutivo (nei soli giudizi di opposizione previsti dagli artt. 615 e 619 c.p.c.).
I commi 1 e 2 dell’art. 7 c.p.c. prevedono, ai fini dell’individuazione della competenza del g.d.p., il ricorso ai criteri congiunti della materia e del valore, mentre l’ultimo comma fa riferimento al solo criterio della materia.
Ciò precisato, dalla norma citata si ricava che la competenza civile del g.d.p. investe tre settori: a) controversie mobiliari di minore importanza (1° comma); b) cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti (2° comma); c) controversie di vicinato (ultimo comma).
@@b) Le singole ipotesi
Ai sensi del 1° comma dell’art. 7 c.p.c., modificato dalla recente L. n. 69/09 il g.d.p. è competente per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a euro 5.000,00, qualora non rientrino, per espressa disposizione normativa, nella competenza per materia di altro giudice.
Secondo la dottrina, per "cause relative a beni mobili" devono intendersi tutte le controversie diverse da quelle che trovano la loro fonte in un rapporto riguardante beni immobili, qualunque sia la natura del diritto fatto valere (di credito o diversa) e qualunque sia la decisione che si chiede.
La giurisprudenza ha precisato che vanno qualificate come controversie immobiliari, come tali sottratte alla competenza del g.d.p., tutte le controversie in cui vengano dedotte in giudizio pretese afferenti tanto a diritti reali quanto a diritti di credito che abbiano la loro fonte in un rapporto giuridico riguardante un bene immobile (Cass. n. 4304/2004).
L’art. 7, 2° comma, c.p.c., anch’esso modificato dalla L. n. 69/09, attribuisce al g.d.p. la competenza per materia in ordine alle cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli e natanti, purché il valore
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della controversia non superi euro 20.000,00. La disposizione riguarda sia il danno alle cose, sia il danno alle persone.
La nozione di circolazione (contenuta nell’art. 2054 c.c.) va riferita a qualunque utilizzo di una strada pubblica o privata soggetta ad uso pubblico o, comunque, adibita al traffico di pedoni o di veicoli, anche se il veicolo venga spinto a mano o sia in sosta (poiché anche in quest’ultimo caso partecipa alla circolazione stradale creando pericolo d’urto con altri veicoli). Sul piano processuale, come vedremo meglio nel Cap. 23, par. 16, la L. n. 102/2006 ha assoggettato al rito del lavoro (artt. 414 ss. c.p.c.) le cause relative al risarcimento dei danni per morte o lesioni conseguenti a incidenti stradali. Infine, l’ultimo comma dell’art. 7 c.p.c. attribuisce al g.d.p. la competenza, senza limiti di valore:
- per le cause tra proprietari confinanti relative all’apposizione di termini ed all’osservanza delle distanze nel piantamento degli alberi e delle siepi (n. 1);
- per le cause relative alla misura e alle modalità di uso dei servizi condominiali (n. 2). Le cause relative alle modalità di uso dei servizi condominiali sono quelle nelle quali si discute sul modo più conveniente ed opportuno in cui tale diritto di uso deve essere esercitato, nel rispetto della parità di godimento in proporzione delle rispettive quote ex artt. 1102 e 1118 c.c., nonché in conformità del volere della maggioranza e delle eventuali disposizioni del regolamento condominiale (Cass. n. 5467/1996). Invece, le cause relative alla misura dei servizi stessi riguardano le riduzioni o le limitazioni quantitative del diritto dei singoli condomini e si identificano con quelle aventi ad oggetto provvedimenti dell’assemblea o dell’amministratore che incidono sulla misura del godimento riconosciuto ai singoli condomini;
- per le cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni che superino la normale tollerabilità (n. 3).
Le immissioni sono disciplinate dall’art. 844 c.c. e consistono in propagazioni di fumo, calore e altre cose percepibili dai sensi dell’uomo (ad esempio, odori) o con l’ausilio di apparecchi rilevatori, provenienti dai fondi vicini; le stesse sono consentite solo fino a quando non superano il limite della "normale tollerabilità".
L’azione tendente a far valere il divieto di immissioni eccedenti la normale tollerabilità (che spetta al proprietario o al titolare di un diritto reale di godimento che abbia il possesso del fondo oggetto di immissioni moleste, nonché al conduttore) consente di far accertare l’illegittimità di turbative e...
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