Le parti e i difensori

AutoreMassimiliano di Pirro
Pagine117-132

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@1 La nozione di parte

Il codice di procedura civile non fornisce la definizione di "parte", nonostante utilizzi tale espressione in numerose norme.

In generale, il termine "parte" indica un soggetto che stipula un negozio giuridico con un altro soggetto (cd. parte contraente) e, con specifico riferimento al diritto processuale, il soggetto che promuove un’azione giuridica (parte attrice o parte ricorrente) o contro il quale l’azione è promossa (parte convenuta o parte resistente).

Con maggiore impegno esplicativo, possiamo affermare che le parti del processo (cd. parti processuali) sono quei soggetti che compiono gli atti del processo, ne subiscono gli effetti e sono, perciò, i destinatari dei provvedimenti del giudice (Mandrioli).

Tra gli atti del processo un ruolo preminente spetta, come abbiamo visto (vedi Cap. 2), alla domanda, atto a seguito del quale il processo prende avvio. Ne consegue che sono parti, anzitutto, colui che propone la domanda e colui contro il quale la domanda stessa è proposta, che potrà contestare la domanda ed eventualmente proporre, a sua volta, una controdomanda (cd. domanda riconvenzionale).

Se c’è un processo, quindi, ci sono anche, come minimo, due parti.

normalmente colui che propone la domanda è anche titolare del rapporto giuridico sottostante (cd. parte in senso sostanziale), ossia ha anche la legittimazione ad agire e la capacità di proporre la domanda, così come colui contro il quale la domanda è proposta è, normalmente, anche soggetto passivo del rapporto sostanziale dedotto (ossia, è parte sostanziale) ed è, quindi, legittimato a "resistere" alle pretese della controparte. Tuttavia, come accennato, per parlare di "parte processuale" è sufficiente che ci sia un processo, ossia una domanda proposta, davanti ad un giudice, da un soggetto nei confronti di un altro, a prescindere da qualunque altra considerazione.

Ad esempio, se Tizio chiede la condanna di Caio al pagamento di una somma di denaro affermando di essere suo creditore ma poi, all’esito del processo, emerge che egli non è titolare di alcun diritto di credito nei confronti di Caio, il giudice respingerà la domanda, ma al termine di un processo nel quale sia Tizio sia Caio hanno rivestito la qualità di "parte processuale". Del resto, è alla nozione di parte processuale che la legge fa riferimento quando attribuisce i poteri o le facoltà o gli oneri processuali ai soggetti che operano nel processo o configura a loro carico doveri o responsabilità (Mandrioli).

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@2 Capacità di essere parte, capacità processuale e legittimazione processuale

Capacità di essere parte Abbiamo visto, nel paragrafo precedente, che "parte" del processo è il soggetto che pone in essere gli atti processuali e ne subisce gli effetti. Con riferimento a tale concetto, la dottrina ha elaborato le nozioni di:

- capacità di essere parte, che equivale alla capacità giuridica (idoneità di un soggetto a essere titolare di situazioni giuridiche soggettive) e che appartiene a tutte le persone fisiche, anche se incapaci di agire, agli enti collettivi (associazioni, società etc.) e ad alcune collettività organizzate (ad esempio, il condominio);

- capacità processuale (o "capacità di stare in giudizio"), che consiste nell’idoneità di un soggetto (persona fisica, società etc.) a compiere e a ricevere gli atti processuali (Chiovenda), ed è prevista dall’art. 75 c.p.c. Tale disposizione attribuisce la capacità di stare in giudizio alle persone "che hanno il libero esercizio dei diritti che vi si fanno valere".

Coloro che non hanno il libero esercizio dei diritti fatti valere non possono stare in giudizio da soli, ma devono essere rappresentati (ad esempio, i genitori rappresentano i figli minori, il tutore rappresenta in giudizio l’interdetto, il curatore rappresenta lo scomparso), assistiti (ad esempio, il curatore assiste il maggiorenne inabilitato e il minore emancipato ex artt. 424 e 394 c.c.) o autorizzati (ad esempio, il genitore che esercita la potestà sul figlio minore deve essere autorizzato dall’autorità giudiziaria qualora intenda compiere gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione di cui all’art. 320 c.c.).

Le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta ex lege o secondo le disposizioni statutarie, mentre le associazioni non riconosciute e i comitati stanno in giudizio per mezzo delle persone indicate negli artt. 36 ss. c.c.;

- legittimazione processuale (o legitimatio ad processum), situazione coincidente con la posizione di colui che, essendo titolare del potere di proporre una domanda, diviene, una volta che abbia esercitato tale potere, titolare di tutti gli altri poteri processuali (Chiovenda). Secondo la dottrina, capacità processuale e legitimatio ad processum sono concetti distinti che possono anche presentarsi l’uno senza l’altro. Invece, la giurisprudenza tende a utilizzare i due concetti alternativamente.

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@3 Il litisconsorzio

Si ha il litisconsorzio (o "comunanza della lite") quando nel processo vi è una pluralità di parti, e cioè quando vi sono più attori (litisconsorzio attivo) o più convenuti (litisconsorzio passivo), oppure più attori e più convenuti (litisconsorzio misto).

Con la parola litisconsorzio, quindi, si indica il fenomeno per il quale le parti sono più di quelle (l’attore e il convenuto) necessarie affinché sorga un processo (Mandrioli). Rispetto al rapporto che lega le parti fra loro il litisconsorzio può essere necessario o facoltativo.

Si ha litisconsorzio necessario "quando la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti" (art. 102 c.p.c.). Ciò può accadere:

- nei casi espressamente previsti dalla legge (ad esempio, nell’azione di disconoscimento della paternità occorre la presenza, nel processo, del presunto padre, della madre e del figlio, ex art. 247 c.c.; difatti, l’eventuale accoglimento dell’azione di disconoscimento di paternità non potrebbe non influire sulla situazione giuridica della madre, per cui se fosse possibile un valido svolgimento del giudizio senza la sua partecipazione essa verrebbe a trovarsi nella situazione di dover subire le conseguenze di un giudizio svoltosi su situazioni giuridiche anche sue ed al quale non ha partecipato: Mandrioli);

- quando, pur in assenza di un’esplicita previsione di legge, la decisione deve essere necessariamente pronunciata nei confronti di più soggetti (ad esempio, quando l’attore chiede l’adempimento di una prestazione inscindibile).

In questi casi, se l’azione giudiziaria è proposta soltanto nei confronti di alcune parti, il giudice deve ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti in un termine perentorio da lui stabilito (art. 102, 2° comma, c.p.c.); se l’integrazione del contraddittorio non viene realizzata, il processo si estingue (art. 307 c.p.c.).

La mancata integrazione del contraddittorio è questione diversa dall’integrazione tardiva rispetto al termine fissato dal giudice; in quest’ultima ipotesi, infatti, il giudizio può legittimamente proseguire.

Il provvedimento d’integrazione presuppone che il processo sia stato validamente instaurato almeno contro uno dei legittimati passivi, altrimenti il giudice non deve disporre l’integrazione del contraddittorio ma deve rigettare la domanda per difetto di una delle condizioni dell’azione.

La sentenza eventualmente pronunciata nei confronti di alcuni soltanto dei litisconsorti necessari è efficace tra le parti presenti (Satta). Secondo altri

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(Mandrioli), invece, è inutiliter data, cioè non produce effetti sia nei confronti dei litisconsorti pretermessi (ossia, esclusi dal processo) sia nei confronti delle parti tra le quali è stata pronunciata.

Ad es., nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi promosso contro le ordinanze di vendita ed aggiudicazione, la presenza dell’aggiudicatario, in quanto litisconsorte necessario ex art. 102, 1º comma, c.p.c., è indispensabile ai fini della integrità del contraddittorio (Cass. n. 2461/2009).

Una recente pronuncia della Corte costituzionale, peraltro, ha chiarito che, in caso di litisconsorzio necessario passivo, ossia di necessaria partecipazione al processo di più convenuti, è sufficiente che uno solo di essi sollevi l’eccezione di incompetenza territoriale perché il giudice debba dichiarare la propria incompetenza per territorio. Invece, in caso di litisconsorzio facoltativo passivo, l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata da uno solo dei convenuti comporta la separazione delle cause connesse, se l’eccezione è fondata (Corte cost. n. 41/2006).

Si ha, invece, litisconsorzio facoltativo (art. 103 c.p.c.) quando la presenza di più parti nel processo può essere consentita - senza che vi sia, quindi, alcun obbligo in tal senso, come nel litisconsorzio necessario - per ragioni di convenienza, al fine di concentrare la decisione di più questioni in un unico giudizio (principio di economia dei mezzi processuali).

Il litisconsorzio facoltativo può essere di due tipi:

- proprio, quando fra più cause esiste connessione per l’oggetto (cd. petitum) o per il titolo (cd. causa petendi). Ricorre la prima ipotesi, ad esempio, quando la vittima di un sinistro stradale...

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