La "legge biagi" di riforma del mercato del lavoro

AutoreTiziano Checcoli
Pagine237-248

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@1. I principi costituzionali in materia di lavoro

La Costituzione del 1948 dedica al tema del lavoro una ampia serie di disposizioni, che trovano spazio sia all'interno dei principi fondamentali sia nella prima parte della Costituzione stessa, in quella sezione solitamente indicata come "Costituzione economica". Dall'esame delle varie norme, emerge con chiarezza una considerazione del lavoro come elemento fondante dell'ordinamento costituzionale italiano. Converrà perciò prendere in esame le varie disposizioni in questione al fine di poter confrontare i principi che esse affermano con la recente riforma del mercato del lavoro, nell'ottica di una considerazione della sua capacità di "attuare" o meno la Costituzione.

Com'è noto, all'art. 1 si definisce la Repubblica italiana come fondata sul lavoro. Questa affermazione ha dato adito a diverse interpretazioni in dottrina, frutto della stessa genesi della Costituzione italiana quale carta di compromesso fra correnti ideologiche diverse. Si è autorevolmente sostenuto (Mortati) che il richiamo al lavoro, ben lungi dall'essere un'espressione di retorica costituzionale, fosse in realtà anche un richiamo alla classe lavoratrice, intesa come "classe generale". D'altro canto, si è preferito intendere questo passaggio della disposizione in questione come in realtà riferito alla totalità del lavoro, inteso come ogni forma o modo di esplicazione di attività lavorativa (Esposito, Barile), opinione che è poi divenuta prevalente (Scognamiglio). Sebbene, quindi, si tenda a considerare il lavoro ampiamente inteso come fondamento della Repubblica, pare evidente che nella Costituzione vi sia una particolare attenzione per una tipologia di lavoro che, per la natura del sistema economico capitalista oggi dominante, risulta essere in posizione svantaggiata (Scognamiglio), e pertanto degna di maggior tutela, ovvero il lavoro subordinato (in senso ampio, essendo in questi anni proprio la categoria della subordinazione al centro di riflessioni e modifiche non marginali). Ciò non vuol significare che altre tipologie di lavoratori siano ignorati dal testo costituzionale: anzi, ad esempio, l'art. 45 tutela l'artigianato e il suo sviluppo; a questo proposito, si potrà però affermare che disposizioni come l'art. 35 e simili non siano riferite a quella categoria di lavoro che è l'attività imprenditoriale, come del resto sembra ritenere la stessa Corte costituzionale (sent. n. 141/1967), tutelata invece dall'art. 41. In questo, la composizione delle diverse "spinte" culturali in seno all'assemblea costituente si manifesta in tutta la sua evidenza: a una scelta di un sistema economico che garantisce la libertà di iniziativa economica privata (art. 41) e tutela la proprietà privata (art. 42), sposando così un'economia di mercato, si affiancano una serie di limiti e tutele che Page 238 vogliono tendere a evitare che le storture di questo sistema, lasciato al governo di una cieca mano invisibile, si abbattano inevitabilmente sulle fasce più deboli della popolazione. Se, infatti, "l'iniziativa economica privata è libera", è pur vero che essa "non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana" (art. 41, c. 2); inoltre, esplicitamente si affida alla legge il compito di predisporre programmi e controlli al fine di indirizzare detta attività a fini sociali (art. 41, c. 3). La stessa proprietà privata, elemento essenziale della forma di Stato liberale, deve essere accessibile a tutti e deve avere una funzione sociale (art. 42, c. 2). Questo tentativo di mediazione, che già emerge all'interno di questi due articoli, si nota anche nel complesso delle disposizioni costituzionali che intervengono in materia di lavoro. Trattasi di un compromesso fra due visioni così opposte di sistemi economico-sociali, vicini alla cultura socialista l'uno, a quella liberale l'altro, che concretamente, come è stato sostenuto (Romagnoli), sarà determinato nel suo vero significato nella prassi applicativa, frutto anche dei rapporti di forza che emergeranno nella società. La difficoltà di individuare un significato giuridico "autentico" di questo compromesso emerge del resto anche in dottrina, laddove si sono confrontate ricostruzioni in base alle quali sarebbe possibile interpretare la Costituzione, sotto questo profilo, in modi fortemente sbilanciati nell'uno o nell'altro senso (si pensi alla celebre "polemica" fra G. Lavagna e U. Rescigno, relativa alla possibilità di "piegare" la Costituzione alle esigenze del socialismo, affermata dall'uno e recisamente negata dall'altro).

Continuando nell'esame delle disposizioni rilevanti in tema di lavoro, dovrà ricordarsi, in primo luogo, che la Costituzione prevede e tutela il diritto al lavoro come proprio di ogni cittadino, impegnandosi a promuovere le condizioni che lo rendano effettivo (art. 4, Cost.). È ormai ritenuto in via maggioritaria che con diritto al lavoro non si possa intendere un vero e proprio diritto soggettivo azionabile davanti a un giudice, magari per imporre a un determinato datore di lavoro di procedere all'assunzione; certamente, però, come la Corte costituzionale ha più volte sottolineato (sentt. n. 6/1956; n. 61/1965; n. 41/1971), lo Stato dovrà impegnarsi al fine di creare, esercitando le proprie prerogative di "governo" in senso ampio, le condizioni perché tendenzialmente i cittadini ottengano un posto di lavoro (Mazziotti). Su questo, in particolar modo, la Corte è intervenuta con una fondamentale sentenza, la n. 45/1965, che appunto definisce il lavoro come un fondamentale diritto della persona umana, che lo Stato deve mirare a garantire attraverso l'esercizio delle sue competenze. In molti casi, inoltre questo intervento statale potrà arrivare fino a limitare la libertà di iniziativa privata dell'imprenditore, pubblico o privato, in quella occasione essendosi ritenuta soccombente la tutela della libertà di iniziativa economica privata altrettanto garantita in Costituzione: un esempio può essere rinvenuto nelle assunzioni obbligatorie di soggetti disabili in una certa percentuale dei dipendenti totali (fra le molte, Corte cost. sentt. n. 38/1960; n. 55/1961; n. 279/1983).

Nel Titolo III della Parte prima della Costituzione (artt. 35 e sgg.), le disposizioni costituzionali si fanno più specifiche: l'art. 35 tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni e impegna la Repubblica a curare la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori; l'art. 36 stabilisce la proporzionalità della retribuzione in riferimento alla quantità e qualità del lavoro, nonché stabilisce un limite minimo inderogabile, in modo tale che essa sia sufficiente a garantire un'esistenza libera e dignitosa al lavoratore e alla sua famiglia. Inoltre, inserisce una riserva di legge sull'entità della durata mas- Page 239 sima della giornata lavorativa, oltre a stabilire alcuni vincoli di indisponibilità relativamente alle ferie e al riposo settimanale sui quali si tornerà più oltre. Nell'art. 37 è tutelata la donna lavoratrice, stabilendo la necessaria parità di trattamento retributiva con l'uomo e imponendo contemporaneamente la garanzia che a questa sia consentito svolgere quella che la Costituzione volle definire la "sua essenziale funzione familiare". Si pone inoltre una riserva di legge in tema di lavoro minorile, al fine di stabilire l'età minima per accedere al lavoro, nonché la parità di retribuzione a parità di lavoro. L'art. 38 prefigura l'intervento assistenziale nonché previdenziale dello Stato, in primo luogo in caso di "infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione involontaria", e inoltre garantisce l'educazione e l'avviamento professionale ai "minorati e inabili". Infine, è da segnalare l'art. 39 che tutela l'organizzazione in sindacati dei lavoratori, peraltro prevedendo degli adempimenti formali che sono rimasti solo sulla carta. Di minore rilevanza è l'art. 46, che riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende; si tratta invero di una norma che non ha avuto sostanzialmente attuazione.

Tutte queste disposizioni, siano esse di principio o maggiormente di dettaglio, ritrovano più o meno direttamente il proprio fondamento nell'art. 3, secondo comma, della Costituzione, che sancisce il principio di eguaglianza sostanziale. Questo stabilisce, com'è noto, che la Repubblica non ha soltanto un ruolo "esterno" e passivo rispetto alle dinamiche sociali che si determinano nel rispetto formale della legge, ma deve al contrario farsi carico del compito "attivo" di eliminare eventuali ostacoli "di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il completo sviluppo della personalità umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Anche in questo fondamentale articolo emerge il compromesso che si sottolineava più sopra: se infatti un egualitarismo assoluto non sembra essere l'obiettivo della Costituzione, essa senza dubbio vuole garantire che tutti i cittadini abbiano le medesime possibilità di partenza per sviluppare e affermare se stessi, per così dire, senza soffrire di impedimenti o ostacoli che per avventura si trovino a dover fronteggiare a differenza di altri.

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