La tutela costituzionale delle forme di convivenza familiare diverse dalla famiglia

AutoreEmanuele Rossi/Nicola Pignatelli
Pagine205-222

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    Emanuele Rossi ha scritto i paragrafi 1, 2, 3, 4, 7. Nicola Pignatelli ha scritto i paragrafi 8 e 9. I paragrafi 5, 6, e 10 sono stati scritti congiuntamente.

@1. Introduzione: l'emergere di forme di convivenza diverse dal matrimonio

Il tema della famiglia è stato al centro, negli ultimi anni, di ripetuti ed importanti dibattiti, per lo più originati dall'emergere nella società civile di forme di convivenza diverse (e talvolta alternative) rispetto al tradizionale modello familiare, e dalla connessa (sebbene non in modo indefettibile) richiesta di assicurare a tali realtà una qualche forma di riconoscimento e tutela sul piano giuridico.

Tali forme di convivenza vanno dalle c.d. famiglie di fatto, composte da soggetti di sesso diverso che vivono come coniugi (more uxorio) senza essere legate da matrimonio riconosciuto agli effetti civili; a coppie di persone dello stesso sesso coabitanti; a famiglie non monogamiche (composte cioè da un uomo con più mogli); a "comunità di tipo familiare" (definite dalla legge 28 marzo 2001, n. 149 come quelle comunità "caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia"); a singles con figli (naturali o adottivi) a carico.

Tali forme di convivenza presentano alcuni tratti comuni e al contempo si distinguono tra loro per altri aspetti.

Tra gli elementi comuni possiamo indicare il fatto che esse sorgono sulla base di un atto di volontà dei soggetti interessati (configurandosi pertanto come formazioni sociali volontarie), che presuppongono un certo grado di stabilità (seppur relativa: ad esempio le famiglie di fatto hanno per lo più lo scopo di creare un legame meno stabile rispetto al matrimonio), che si fondano su una convivenza coabitativa oltre che su un rapporto di relazione affettiva (sebbene questo sia giuridicamente irrilevante). Page 206

Tra gli aspetti che invece sono presenti in alcune delle suddette forme ma non in altre possiamo ricordare la sussistenza di relazioni di tipo sessuale (che ad esempio caratterizzano le famiglie di fatto e le unioni tra persone omosessuali ma non le comunità di tipo familiare o le unioni formati da singles con figli): tali relazioni tuttavia sono irrilevanti sul piano giuridico (nel senso che una coppia di omosessuali, come una famiglia di fatto ma come anche una famiglia legittima non cessano di essere tali, sul piano giuridico, se i componenti decidono di non avere relazioni di questo genere).

Emerge pertanto a prima vista la difficoltà di una considerazione unitaria delle diverse tipologie: anzi può dirsi come la volontà di considerarle unitariamente, che spesso caratterizza il dibattito politico ad esse relativo, rivela la carica ideologica per lo più sottesa alle impostazioni che si fronteggiano, cosa che impedisce per lo più la ricerca di soluzioni pragmatiche e positive.

@2. I principi costituzionali di riferimento

Prima tuttavia di esaminare i profili relativi alla configurazione giuridica di tali forme di convivenza, è opportuno richiamare i principi della nostra Carta costituzionale che fanno da sfondo e, perciò, da linea direttrice, alla tematica in questione.

Tra questi, in primo luogo, il principio personalista, sancito dall'art. 2, Cost. ("La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo"), per il quale la persona umana, e i diritti che le sono propri, è ritenuta precedente rispetto a ogni forma di organizzazione sociale: precedenza da intendere non storicamente ma giuridicamente, nel senso cioè che i suoi diritti non possono che essere "riconosciuti" e non invece "attribuiti". In altri termini, la persona è il fine e lo Stato (e ogni altro ordinamento giuridico) è un mezzo: intendendo la persona quale luogo geometrico di una serie indeterminata di rapporti sociali, mediante i quali l'individuo caratterizza il proprio essere e realizza la propria personalità.

Accanto al principio personalista deve essere richiamato il principio di tutela delle formazioni sociali, anch'esso sancito dall'art. 2, Cost., disposizione che riconosce queste forme di organizzazione sociale indipendentemente dallo scopo che esse si prefiggono, salvi ovviamente i limiti logici che alle singole formazioni sociali sono posti in ragione della loro natura. Non mancano, ancora oggi, insigni giuristi che per negare tutela costituzionale alle famiglie di fatto negano che l'art. 2 sia finalizzato alla tutela delle formazioni sociali di cui solamente presupporrebbe e menzionerebbe l'esistenza, mentre al contrario tale disposizione sarebbe rivolta esclusivamente a riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell'uomo anche al loro interno e contro il rischio di possibili oppressioni che da esse derivino (Grossi). Se non fossero sufficienti i lavori preparatori, sul punto talmente evidenti da non dar luogo al minimo dubbio, né valesse la copiosa e pressoché unanime dottrina che sul punto si è affermata, potrebbe farsi riferimento alla Corte costituzionale che costantemente ha letto l'art. 2 come norma di tutela delle formazioni sociali, e non soltanto nelle formazioni sociali.

Accanto ai due sin qui indicati deve farsi infine riferimento al fondamentale principio espresso dall'art. 3, che stabilendo la pari dignità sociale di ogni individuo e l'eguaglianza di tutti di fronte alla legge esprime la necessità del rispetto e della tutela della "diversità", quale espressione anche del sopra richiamato principio pluralistico, a livello sia ideologico sia istituzionale. A guidare la tutela dell'eguaglianza sul difficile crinale della garanzia di parità e necessaria tutela della differenza è, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il criterio di ragionevolezza. Page 207

Da sottolineare ancora come, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, il principio di eguaglianza non debba essere riferito soltanto al rapporto tra persone, ma debba governare anche la disciplina giuridica riguardante i gruppi sociali, le formazioni sociali, gli enti territoriali: in diverse circostanze sono state infatti dichiarate incostituzionali, ad esempio, delle disposizioni legislative che discriminavano una confessione religiosa rispetto alle altre, o addirittura una regione rispetto alle altre. L'importanza di tale affermazione risulterà in tutta la sua evidenza allorché si analizzerà il rapporto tra famiglia fondata sul matrimonio ed altre forme di convivenza familiare.

@3. La famiglia nella Costituzione

Passando dalla considerazione dei principi costituzionali di rilievo generale a quelli più puntualmente dedicati alla tematica che interessa in questa sede, va posta specifica attenzione all'art. 29, Cost., a mente del quale "la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio".

Tale formulazione richiede una serie di puntualizzazioni. Va in primo luogo ricordato che il termine "società naturale" (proposto nella sua formulazione attuale in sede di Assemblea costituente da Togliatti, riprendendo una prima proposta di Corsanego), non deve essere riferita, secondo quanto si deduce con estrema chiarezza dai lavori preparatori, a un preteso richiamo al giusnaturalismo, quanto invece a una necessaria precedenza dell'istituto familiare rispetto al diritto dello Stato (o di altri ordinamenti giuridici).

L'altro aspetto meritevole di considerazione è il significato da attribuire all'espressione "fondata sul matrimonio".

Tale formula non contiene una definizione di cosa sia il "matrimonio", né quindi della natura dei soggetti che lo possono contrarre: essa opera così un rinvio per presupposizione alle norme regolanti l'istituto matrimoniale contenute in atti normativi non di rango costituzionale (codice civile in primis, nonché norme concordatarie e leggi speciali).

L'espressione utilizzata dal costituente vale comunque a escludere dalla nozione costituzionale di famiglia le convivenze non fondate sul matrimonio, mentre è più dubbio se essa sia ostativa alla possibilità di riconoscere in via legislativa come "famiglia" quelle convivenze che si fondano su una concezione del matrimonio diversa da quella fatta propria dalla normativa civilistica e concordataria, la quale a sua volta riprende la tradizionale connotazione del matrimonio propria della tradizione romanistica ("nuptiae sunt coniuctio maris et foeminae").

@4. Le forme possibili di tutela giuridica delle forme di convivenza diverse dal matrimonio. a) L'allargamento della nozione di famiglia e di matrimonio

A fronte di un quadro costituzionale siffatto, ed in presenza di un quadro sociale che registra un aumento costante del numero di persone coinvolte in quei rapporti di convivenza indicati all'inizio, il problema di come considerare tali "modelli di rapporti affettivi" si pone in modo pressante, e forte di conseguenza è la richiesta di una valutazione costituzionale della possibile normativa ad esse relativa.

Sembra tuttavia che un chiarimento debba essere preliminarmente ricercato in una distinzione fondamentale da compiere: si tratta in sostanza di capire se la strada può o debba essere quella di un allargamento/superamento del concetto di famiglia sin qui accolto, mediante un'estensione della nozione di matrimonio oltre l'ambito tradizionalmente considerato (prima ipotesi); ovvero se la soluzione debba essere quella di una tutela giuridica di tali forme di convivenza come formazioni sociali, non assimilabili al modello familiare (rimanendo da questo chiaramente distinte) ma che a quello si rifanno quale modello più prossimo da un punto di vista sociale e giuridico (seconda ipotesi). Page 208

La prima strada è quella che maggiormente sembra interessare le coppie di omosessuali, relativamente alle quali si pone talvolta la richiesta di consentire loro di contrarre matrimonio e formare una famiglia al pari di persone di diverso sesso. In questa direzione è andata anche una Risoluzione del Parlamento europeo sul rispetto dei diritti umani nell'Unione europea relativa al...

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