Libertà di insegnamento, libertà dell'arte e della scienza e autonomia universitaria

AutoreDaniele Mercadante
Pagine223-236

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@1. Introduzione

Gli articoli 33 e 34 della Costituzione italiana esprimono i principi che governano i settori dell'istruzione e della cultura.

Essi rappresentano un'elaborazione dell'impegno di portata assai generale che il costituente si è assunto inserendo tra i principi generali della repubblica italiana, all'art. 9, Cost., la promozione della cultura e della ricerca scientifica e tecnica.

Leggendoli una delle prime impressioni che se ne trae è che si tratti di norme che riuniscono disposizioni piuttosto disomogenee.

Effettivamente, come vedremo subito, le aspirazioni che hanno portato alla redazione del testo che fu approvato nel 1947 provenivano da uomini politici portatori di istanze molto differenziate e miravano a obiettivi ugualmente divergenti.

Ma è proprio la complessità dei due articoli a renderli oggetti di studio assai interessanti in quanto analizzandoli ci è consentito affrontare alcune importanti questioni che impegnano la scienza del diritto costituzionale attualmente.

Per rendere l'analisi più aderente a quelle che sono le caratteristiche del diritto per come esso effettivamente incide sulle situazioni concrete del vivere civile, comunque, non mi limiterò a un commento agli articoli ma, alla luce di questi, immaginerò quali possano essere gli esiti della sottoposizione a un giudizio di conformità alla Costituzione di una delle leggi più importanti dell'ultimo biennio in materia di ordinamento dell'università.

Questa legge, la n. 230 del 2005, ha modificato il meccanismo attraverso il quale vengono assunti i professori universitari e tutte le altre categorie di persone che nell'università svolgono una funzione in qualche modo legata alla ricerca o all'insegnamento.

L'analisi si svolgerà in questo modo: dopo un'introduzione all'origine degli artt. 33 e 34, Cost. esaminerò il contenuto della l. 230/2005 e gli elementi più rilevanti del contesto normativo all'interno del quale si è venuta a inserire; infine darò un giudizio sulla compatibilità di questa norma con la Costituzione.

@2. Origini politiche e ideali degli artt. 33 e 34, Cost

Quasi tutte le esposizioni del diritto costituzionale dedicano qualche parola alla descrizione di una fortunata classificazione dei diritti che le carte democratiche assicurano ai soggetti dell'ordinamento giuridico. Page 224

Secondo questa ripartizione la Costituzione garantirebbe diritti di libertà - detti anche libertà dallo stato o libertà negative o diritti della prima generazione - e diritti sociali - detti anche libertà nello stato o libertà positive o diritti della seconda generazione.

I primi consistono nel manifestare la propria personalità senza venire limitati dal potere pubblico mentre i rimanenti si traducono nella pretesa a che lo stato utilizzi le proprie risorse economiche e organizzative per fornire al loro titolare una prestazione, un bene o un servizio.

Gli artt. 33 e 34, Cost. riuniscono entrambi questi generi.

Il primo comma dell'art. 33, Cost. sancisce la libertà dell'arte, della scienza e del loro insegnamento: si tratta con tutta evidenza di un diritto di libertà.

Per rispettarlo il potere pubblico è tenuto ad astenersi da quelle sue manifestazioni che possano limitare la libertà dell'artista, dello scienziato e del docente quando questi sono impegnati nella creazione, nella ricerca e nell'insegnamento; deve anche astenersi dall'ostacolare la diffusione dei prodotti di queste attività.

Non sorprendentemente il primo comma dell'art. 33, Cost. rappresenta un lascito della cultura del vecchio stato liberale, i cui teorici avevano fin dal diciannovesimo secolo concepito l'opportunità di dotare gli insegnanti di una tutela particolare nell'espletamento del loro magistero.

La libertà dell'arte e della scienza costituiva per questa corrente di pensiero un rafforzamento del fondamentale diritto alle libertà di parola e di stampa in contesti nei quali l'assenza di vincoli imposti all'individuo intenzionato a comunicare con altri appariva meritevole di una protezione ancora più robusta di quella che veniva accordata alla generalità dei cittadini.

In assemblea costituente peraltro gli esponenti della tradizione politica e filosofica liberale erano in minoranza e altre due grandi forze si contrapponevano per l'egemonia: i cattolici del partito della Democrazia Cristiana e i marxisti del Partito Comunista Italiano con i suoi alleati di allora del Partito Socialista.

Le concezioni di questi due blocchi politici in materia scolastica e culturale erano lontane dal paradigma liberale e assai distanti pure tra loro.

Per i marxisti la scuola rappresentava uno strumento di cui lo stato si sarebbe avvalso per avanzare i propri scopi, particolarmente di efficienza economica e di eliminazione delle differenze di classe.

Per i loro esperti del settore, scuola e università rappresentavano i mezzi attraverso i quali la nazione si sarebbe dotata del capitale umano necessario alla gestione e all'ammodernamento della macchina produttiva.

Desideravano perciò una scuola controllata saldamente dal potere pubblico e rapida nel modificare le proprie caratteristiche per soddisfare le esigenze, in gran parte ad essa esterne, che questo avrebbe individuato.

Auspici, questi, che richiamano i caratteri di marcato centralismo e dirigismo della scuola pubblica di tradizione sabauda che transitano, attraverso la mediazione marxista, nell'art. 33, c. 2, Cost.; vi erano naturalmente anche differenze significative tra le due impostazioni che si possono apprezzare dalla lettura dell'art. 34, cc. 3 e 4.

Questi alinea evidenziano l'interesse proprio dell'ideologia delle forze marxiste per un sistema educativo efficiente in quanto basato su una competizione che premiasse gli individui più adatti a soddisfare le direttive impartite delle autorità di pianificazione; in questo senso diventava controproducente, prima ancora che iniquo, che la scuola Page 225 perpetuasse privilegi di ceto o di censo a scapito della promozione degli individui più dotati.

Per lo meno in una certa misura, dunque, i diritti sociali elencati all'art. 34, Cost., quello all'istruzione elementare e media e quello all'assistenza scolastica per i capaci e meritevoli, sono nati come riflesso di un interesse strumentale dello stato e, nelle intenzioni di molti costituenti, subordinati a questo.

Differente è la vicenda dell'ampliamento dei diritti di libertà in materia derivato dall'apporto degli interessi rappresentati dalla Democrazia Cristiana.

Per questo partito l'obiettivo prioritario di politica scolastica era riuscire ad assicurare alla chiesa cattolica la libertà di gestire scuole legalmente riconosciute che, fornendo un'istruzione qualitativamente non dissimile da quella impartita dagli istituti statali, potessero nel contempo propagandare la propria visione religiosa.

La preoccupazione di non potere raggiungere questo obiettivo era in effetti fondata se si pone mente al fatto che all'indomani dell'unità d'Italia lo stato aveva assunto per alcuni anni il monopolio di certi settori dell'istruzione, seguendo in questo l'esempio del governo francese.

Quest'ultimo, che non doveva sormontare preclusioni costituzionali in senso contrario, tentò di nazionalizzare nuovamente il sistema scolastico liceale ancora nel 1982 sotto la presidenza di F. Mitterand, ma desistette infine, scoraggiato da imponenti manifestazioni popolari.

Queste considerazioni spiegano il tenore dell'art. 33, cc. 3, 4, 5 e 6, Cost. Il comma 3 sancisce la libertà di istituire scuole e altri istituti di educazione da parte di tutti, privati e enti.

I commi 4 e 5 permettono alle scuole private di rilasciare diplomi che hanno la stessa validità di quelli conseguiti nelle scuole pubbliche sotto la condizione che i programmi delle prime forniscano agli allievi una serie di strumenti culturali ritenuti congrui dallo stato.

L'autorità può accertarsi della preparazione degli studenti privatisti sottoponendoli agli stessi esami e prove di abilitazione professionale ai quali partecipa chi ha frequentato la scuola pubblica.

All'esito del dibattito costituente l'interesse di una parte si è, come si vede, convertito in una libertà per una serie di soggetti indeterminabile a priori, una libertà che consente a tutti, senza riguardo per la rispettiva ideologia o affiliazione religiosa, di istituire scuole e, rispettando criteri educativi non arbitrari, di conferire diplomi parificati a quelli pubblici.

Per quanto riguarda l'università in particolare la Democrazia Cristiana perseguiva un fine concreto e specifico.

Questo era rappresentato dalla tutela dell'autonomia dell'Università Cattolica di Milano che, una volta cessato il divieto di istituire centri di istruzione superiore da parte dei privati, si era proposta con un certo successo come alternativa agli atenei pubblici.

Finì poi per fare parte delle materie oggetto del concordato del 1929 tra Mussolini e papa Pio XI.

In quella sede acquistò la connotazione ibrida di università privata e tuttavia regolata da una nutrita e dettagliata serie di disposizioni dell'ordinamento italiano che in parte conserva a tutt'oggi. Page 226

Sarebbe stata sovvenzionata dallo stato e avrebbe seguitato a rilasciare lauree valide nel nostro paese.

In accordo con quanto precede è possibile intendere meglio il sesto comma dell'art. 33, Cost. che prevede che le università, le accademie e le altre istituzioni di alta cultura abbiano il diritto di emanare autonomamente le norme che regolano il proprio funzionamento, seppure nei limiti stabiliti con legge dello stato, clausola quest'ultima il cui inserimento fu non casualmente proposto dal Partito Comunista Italiano.

Quello che è importante notare è che il diritto all'autonomia non è limitato alle università che, sul modello della Cattolica di Milano, definirei semiprivate.

Esso è esteso a tutte le università, statali e non statali, sovvenzionate o meno dallo stato.

Ma è veramente così ampia la libertà concessa alle università? Consideriamo la questione della...

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