Individuale e collettivo nella previdenza complementare: un quadro introduttivo d'insieme

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Capitolo Primo
Individuale e collettivo nella previdenza complementare:
un quadro introduttivo d’insieme
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Individuale e collettivo nella recente evoluzione della discipli-
na della previdenza complementare. - 3. Il ridisegno delle fonti istitutive: una (prima)
sinossi. - 4. Libertà di adesione e libertà di scelta del soggetto nel nuovo sistema di fi-
nanziamento della previdenza complementare. - 5. La libertà di adesione e le criticità
del conferimento tacito del trattamento di fine rapporto. - 6. Il banco di prova della
portabilità della posizione pensionistica complementare. - 7. L’incerto statuto giuridico
delle prestazioni dei fondi pensione e la nuova disciplina delle anticipazioni e dei ri-
scatti. - 8. Previdenza complementare, mercato, solidarietà: la prospettiva comunitaria.
1. Premessa
Fedeltà al modello originario e innovazioni di regime si intrecciano
nella nuova disciplina della previdenza complementare introdotta dal
d.lgs. n. 252 del 20051 in attuazione della delega conferita con la legge
n. 243 del 2004. Ed è già in ragione di questo tentativo di tenere in-
sieme elementi radicati nella disciplina previgente con forti innova-
zioni di sistema che il decreto finisce per accentuare i tratti di “ambi-
valenza”2, e i connessi momenti di tensione (se non anche di contrad-
dizione)3, che improntano la disciplina della previdenza complemen-
tare, lasciando inevasa – come era forse inevitabile – la questione del-
la sua incerta collocazione costituzionale, e perciò irrisolta la caratteriz-
zazione “ibrida”4, “ancipite”, per così dire, del relativo ordinamento di
settore.
1 D’ora innanzi, più semplicemente (e per lo più), il decreto legislativo o senz’altro il
decreto.
2 G. SANTORO-PASSARELLI, La previdenza complementare tra rischio e bisogno, in
Mass. giur. lav., 2006, p. 976.
3 Sulla possibile accentuazione, nella riforma, delle incoerenze del sistema, v. soprat-
tutto R. PESSI, La previdenza complementare tra funzione costituzionale e concorrenza, in
Mass. giur. lav., 2005, p. 484 ss., spec. pp. 487-488.
4 Cfr. in tal senso, tra gli altri, R. VIANELLO, Previdenza complementare e autonomia
collettiva, Padova, 2005, p. 634 ss., che individua nel carattere ibrido della previdenza com-
plementare la vera “costante normativa diacronica” del sistema. Nel medesimo senso, in
precedenza, T. TREU, La previdenza complem entare nel sistema previdenziale, in M. BES-
SONE, F. CARINCI (a cura di), La previdenza complementare, in Diritto del lavoro. Commen-
tario diretto da F. Carinci, IV, Torino, 2004, p. 3 ss., spec. p. 10, e soprattutto M. CINELLI,
ad es. in Diritto della previdenza sociale, Torino, 2005, p. 67.
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Pur senza aspirare a sciogliere le questioni di fondo connesse alla
perplessa collocazione costituzionale della relativa disciplina tra secondo
e quinto comma dell’art. 38 Cost., la legge delega appariva peraltro im-
prontata a scelte più nette, e in qualche modo meno compromissorie, ri-
spetto a quelle poi effettivamente compiute dal decreto legislativo ema-
nato in sua attuazione. All’ombra del criterio direttivo della parificazione
delle forme collettive e individuali di previdenza complementare e della
promozione della libera circolazione dei lavoratori nell’ambito del se-
condo pilastro dell’edificio pensionistico multilivello, la legge n. 243 del
2004 lasciava, infatti, in primo luogo presagire una forte accentuazione
dei profili di concorrenzialità all’interno del sistema, con la connessa va-
lorizzazione della libertà individuale come libertà di scelta tra offerte di
investimento del risparmio previdenziale tra loro in competizione in un
level playing field unitariamente vigilato dalla COVIP5. In questa prima
linea direttrice, la legge delega appariva chiaramente ispirata dall’intento
di portare a compiuto svolgimento le premesse del disegno già implicito,
ma solo parzialmente abbozzato, dal d.lgs. n. 47 del 2000, cui si deve,
pur tra molte incoerenze e incertezze, un primo passo verso l’attrazione
della previdenza integrativa individuale entro il perimetro del secondo
pilastro pensionistico6.
Nello stesso tempo, però, la legge delega – in termini che sono ap-
parsi contraddittori con tale prima linea direttrice7, ma che a ben vedere
5 Sull’impianto della delega v., con diverse valutazioni, M. CINELLI, P. SANDULLI,
Prime note sulla riforma pensionistica del 2004, in Riv. dir. sic. soc., 2004, p. 587 ss. (ed ivi
spec. p. 617 ss., per i profili relativi alla previdenza complementare); A. PANDOLFO, Una
prima interpretazione della nuova legge in tema di pensioni complementari, con qualche
(utile?) indicazione per il legislatore delegato, in Prev. ass. pubbl. priv., 2004, p. 1225 ss.;
A. TURSI, La terza riforma della previdenza complementare in itinere: spunti di riflessione,
ivi, 2005, p. 513 ss.
6 Scelta, questa, probabilmente all’epoca poco riflettuta e forse anche poco coerente
con la delega svolta dal decreto n. 47 del 2000, soprattutto in ragione dell’insufficiente as-
setto di governance del secondo pilastro così riconfigurato: v. L. FRANCARIO, La ridefini-
zione della governance nei fondi pensione con pluralità di forme previdenziali, in M. MES-
SORI (a cura di), La previdenza complementare in Italia, Bologna, 2006, p. 331 ss., qui p.
370. Come si ricorderà anche più avanti, il d.lgs. n. 47 del 2000 aveva peraltro stabilito una
tendenziale parificazione tra forme collettive e individuali essenzialmente sul piano del trat-
tamento fiscale, circostanza, questa, che aveva indotto parte della dottrina (confortata, poi,
dalla stessa prassi applicativa e dagli orientamenti della COVIP) ad escludere una completa
assimilazione tra forme di previdenza propriamente “complementare” e forme “individuali”
(o, secondo altra terminologia, “integrative”), e, quindi, tra secondo e terzo pilastro del si-
stema pensionistico; v. in tal senso soprattutto A. TURSI, La previdenza pensionistica priva-
ta: forme complementari e forme individuali, in Riv. dir. sic. soc., 2002, p. 111 ss.; A.
ALAIMO, La previdenza complementare nella crisi del welfare state: autonomia individuale
e nuove frontiere dell’azione sindacale, in Arg. dir. lav., 2001, p. 201 ss.
7 V. soprattutto PESSI, La previdenza, cit., spec. p. 487; ID., La nozione co stituzional-
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risentono più immediatamente (e in ciò, se si vuole, coerentemente) della
morfologia “ibrida” del fenomeno regolato – risultava diretta a rinsalda-
re il già forte legame funzionale tra primo e secondo pilastro allargato,
sia pure abbandonando l’iniziale, controversa ipotesi – la sola capace,
peraltro, secondo larga parte della dottrina, di soddisfare appieno quelle
istanze di funzionalizzazione all’obiettivo di tutela iscritto nel secondo
comma dell’art. 38 Cost. – “di realizzare un livello necessario di previ-
denza pensionistica complementare”8.
La prima linea direttrice della riforma implicava potenzialmente, se
portata alle coerenti conseguenze, una discontinuità con l’assetto regola-
tivo del d.lgs. n. 124 del 1993 anche maggiore di quella virtualmente
contenuta nella seconda, una volta che quest’ultima era stata privata del
suo elemento innovativo più dirompente: quello rappresentato, appunto,
dalla adesione obbligatoria, quale inizialmente prospettata nel disegno di
legge delega nella originaria formulazione del 20019. Ed è forse per que-
sto che il legislatore delegato è alla fine riuscito a tradurre con una certa
coerenza più la seconda linea direttrice che la prima10, dimostrando, co-
sì, come il vero nodo del sistema non stia tanto nelle tensioni che deriva-
no dal collegamento funzionale tra i due pilastri pensionistici, l’uno ob-
bligatorio e l’altro facoltativo11, quanto, piuttosto, nella linea di faglia tra
mente necessitata di previdenza complementare: un commento, in MESSORI (a cura di), La
previdenza complementare, cit., p. 325 ss.
8 P. SANDULLI, I profili di trasparenza nella normativa italiana dei f ondi pensione, in
COVIP, Q uaderni tematici - La centralità della comunicazione nella previdenza comple-
mentare, speciale n. 1/2003, Quaderno n. 2, Bollettino, anno VII, p. 21 ss., qui p. 22 (in
nota), che giustamente individuava tale intenzione nella previsione di cui all’art. 1, comma
2, lettera g), punto 6, del d.d.l. n. 2145 AC, dal quale ha preso avvio il processo poi sfociato
9 In termini critici su tale originaria inclinazione del legislatore delegante v. pure M.
CINELLI, Brevi note sul disegno di legge n. 2145 di delega in materia previd enziale, in Dir.
lav. Marche, 2002, p. 135 ss., spec. p. 142.
10 Ma anche qui non senza “scarti” rispetto al contenuto della legge delega: v. ad es.
quanto nota A. TURSI, Note introduttive: la terza riforma della previdenza complementare,
in ID. (a cura di), La nuova disciplina della previdenza complementare (d.lgs. 5 dicembre
2005, n. 252), in Nuove leggi civili commentate, p. 539, a proposito della mancata previsio-
ne normativa espressa, nel decreto, della contitolarità, in capo al fondo pensione, del diritto
al versamento della contribuzione a favore degli iscritti.
11 Queste sembrano, infatti, ormai “metabolizzate” dalla giurisprudenza costituzionale
stratificatasi in materia, che mediante il richiamo all’art. 38, comma 2, Cost. ha dimostrato
di poter conferire il crisma della legittimità ad operazioni di funzionalizzazione della previ-
denza complementare a quella pubblica di segno decisamente “dirigista” (G. ZAMPINI, La
previdenza complementare. Fondamento costituzionale e modelli organizzativi, Padova,
2004, p. 38 ss.), in quanto caratterizzate – a tacer d’altro – da una forte compressione degli
spazi di libertà della autoregolazione collettiva. Il manto del secondo comma dell’art. 38
Cost. si è prestato così a coprire e convalidare le scelte del legislatore ordinario (si pensi alla
vicenda del contributo di solidarietà e a quella della cosiddetta abolizione dei prepensiona-

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