La portabilità della posizione contributiva individuale nel sistema di previdenza complementare

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Capitolo Sesto
La portabilità della posizione contributiva individuale
nel sistema di previdenza complementare
SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. La disciplina originaria e l’evoluzione del regime della
portabilità sino alla legge n. 243 del 2004. - 3. Le soluzioni prefigurate nella legge de-
lega per la riforma del sistema pensionistico e quelle accolte nel d.lgs. n. 252 del 2005.
- 4. Gli orientamenti interpretativi della dottrina e i dubbi di incostituzionalità del de-
creto legislativo delegato: un riesame critico. - 5. La prospettiva del diritto comunita-
rio: cenni e rinvio.
1. Introduzione
La materia della portabilità della posizione pensionistica comple-
mentare e, al suo interno, la questione del trasferimento del contributo
dovuto dal datore di lavoro, costituiscono, per comune osservazione1,
uno dei profili più sensibili e controversi della disciplina oggi organica-
mente dettata dal d.lgs. n. 252 del 2005 in attuazione della delega confe-
rita con la legge n. 243 del 2004. È su di essa che, come noto, si sono
non a caso consumati i momenti forse più tesi e concitati del già tormen-
tato iter di approvazione della delega da parte del governo, col convulso
succedersi di schemi di attuazione di segno sostanzialmente diverso in
seno al Consiglio dei Ministri prima della discussa scelta infine operata
nel testo del decreto.
Ma è sin dal primo intervento legislativo organico in materia, ad
opera del d.lgs. n. 124 del 1993, che a ben vedere il tema della portabili-
tà della posizione individuale all’interno del sistema previdenziale com-
plementare costituisce uno dei punti di snodo più rilevanti della discipli-
na, oggetto, infatti, più d’ogni altro, con la sola sintomatica eccezione
degli altrettanto decisivi profili fiscali, di ripetuti interventi di modifica,
ed in qualche modo di “correzione”, da parte del legislatore, già con la
L’elevata “sismicità” di quest’area della disciplina della previdenza
complementare deriva dal fatto che essa si trova al centro – o forse è
senz’altro epicentro, per proseguire nella metafora – di quella costitutiva
1 V. per tutti A. TURSI, Note introduttiv e: la terza riforma della previdenza comple-
mentare, in ID. (a cura di), La nuova disciplina della previdenza complementare (d.lgs. 5
dicembre 2005, n. 252), in Nuove leggi civili commentate, 2007, p. 537 ss., spec. p. 546.
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dialettica tra libertà individuale e dimensione collettiva dei fondi pensio-
ne2, che nel micro-sistema considerato si atteggia, già nel d.lgs. n. 124
del 1993 ed ancor più nei successivi sviluppi normativi, in termini con-
trassegnati da una marcata specialità, se non da una vera e propria
“eccentricità”3, rispetto ai principi generali del nostro diritto sindacale.
Come si è più volte rammentato nel corso di questa trattazione, è infatti
costitutivamente derogatoria, rispetto ai generali principi in tema di effi-
cacia del contratto collettivo di diritto comune4, la scelta – compiuta con
la disciplina del 1993 e poi costantemente ribadita – di fondare sulla li-
bertà individuale, e quindi sulla sovrana valutazione di convenienza del
singolo, l’adesione del lavoratore al fondo di previdenza complementare
istituito dalla fonte collettiva applicabile al rapporto.
La scelta di radicare proprio nella libera valutazione e nella volontà
del singolo il primo momento di libertà della previdenza privata5, ha
avuto, anzi, quale inevitabile conseguenza, che, già nella pregiudiziale
occasione d’intervento rappresentata dalla prima organica disciplina del-
la materia del 1993, il rapporto tra interesse individuale ed interesse col-
lettivo, siccome derogatorio rispetto ai principi generali, si ponesse su di
un piano naturalmente inclinato verso la progressiva promozione della
autonomia individuale. Sicché poteva esattamente osservarsi come, pro-
prio per effetto di quella pregiudiziale scelta del legislatore, nella dialet-
tica tra autonomia collettiva ed individuale fosse quest’ultima ad assu-
mere “un ruolo prevalente”6; e ciò, pur all’interno di un sistema che –
sotto ogni altro profilo, a cominciare da quello relativo alla gerarchia tra
fonti istitutive e tra fondi chiusi ed aperti – tendeva a riassegnare alla
prima la naturale posizione di preminenza.
2 Cfr. A. VISCOMI, La “facoltà di trasferimento” della posizione pensionistica com-
plementare, in Lav. dir., 1997, p. 55; A. ALAIMO, La previdenza com plementare nella crisi
del welfare state: autonomia individuale e nuove frontiere dell’azione sindacale, in Arg. dir.
lav., 2001, p. 201 ss., spec. p. 223.
3 Cfr. P. SANDULLI, Il conferimento, tacito e non, del Tfr al sistema di previdenza com-
plementare: riflessioni critiche, in M. MESSORI (a cura di), La previdenza complementare in
Italia, Bologna, 2006, p. 157 ss., sul punto p. 177.
4 Il rilievo per cui la libertà individuale di adesione costituisce una deroga alla efficacia
ed alla inderogabilità del contratto collettivo, consentendo al lavoratore di rifiutare il suo
naturale effetto normativo, è comune in dottrina: v., tra gli altri, M. PERSIANI, La previdenza
complementare tra iniziativa sindacale e mercato finanziario, in Arg. dir. lav., 2001, p. 715
ss., spec. p. 730; ALAIMO, La previdenza complementare, cit., p. 218.
5 L’altro è ovviamente costituito dalla libertà di istituire forme pensionistiche comple-
mentari, libertà che il d.lgs. n. 124 del 1993 rimetteva – in primo luogo ed in via privilegiata
– alla parti sociali e alle dinamiche della contrattazione collettiva; cfr. diffusamente
G. CIOCCA, La libertà della previdenza privata, Milano, 1998.
6 ALAIMO, op. ult. cit., p. 218.

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