Il conflitto di interessi e la sua disciplina nella legge n. 215 Del 2004

AutoreAndrea Pertici
Pagine275-290

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@1. Il conflitto di interessi: un problema di definizione

Il conflitto di interessi può manifestarsi in tutti i casi in cui un soggetto agisce per conto di altri: il rappresentante, infatti, può avere interessi personali in contrasto con quelli del rappresentato. In questi casi, l'ordinamento, prescindendo dalla concreta prova che il rappresentante abbia preferito curare i propri interessi piuttosto che quelli del rappresentato, presume che ciò si verifichi, impedendo al primo di agire per il secondo.

L'ordinamento italiano contempla da tempo varie ipotesi di conflitto di interessi di soggetti investititi di compiti di rappresentanza di natura privatistica, mentre è rimasto a lungo privo di qualunque disciplina organica relativa al conflitto di interessi in cui possono trovarsi coloro che hanno compiti di rappresentanza di interessi pubblici, soltanto in epoca recente - e con i limiti che si dirà - regolato dalla l. n. 215 del 2004.

Sulla base della generale configurazione del conflitto di interessi, pare che esso possa essere definito, in ambito pubblicistico, come situazione in cui il titolare di una carica elettiva o di un pubblico ufficio ha (o è preposto alla cura di) un interesse economico privato tale da poter influenzare (o anche soltanto apparire di influenzare) l'esercizio dei suoi doveri pubblici, potendo preferire tale interesse all'interesse pubblico che dovrebbe perseguire in considerazione delle funzioni che è chiamato a svolgere.

Da un punto di vista soggettivo, quindi, la questione del conflitto di interessi può porsi per tutti coloro che ricoprono cariche o uffici pubblici, elettivi e non, politici o tecnici, di parte o di garanzia (purché l'esercizio delle relative funzioni sia, almeno in parte, discrezionale). Infatti, l'esercizio di funzioni pubbliche, in un ordinamento democratico, deve avvenire nell'esclusivo interesse pubblico, cioè del popolo, questo essendo il fine per cui esse sono attribuite. Pertanto, qualora un soggetto chiamato a esercitare tali funzioni sia portatore di interessi personali che possono (presumibilmente) porsi in contrasto con gli interessi pubblici da perseguire, l'ordinamento - proprio come fa in ambito privatistico - dovrebbe "squalificare" il medesimo dallo svolgerle.

In campo pubblicistico, tuttavia, si pongono questioni del tutto particolari. In primo luogo, infatti, vi sono problemi di individuazione degli interessi (potenzialmente) confliggenti. In particolare, nonostante la Costituzione, la legge e gli atti normativi subordinati facciano spesso riferimento al concetto di "interesse pubblico", sulla definizione del medesimo vi sono sempre stati non pochi contrasti. Non potendosi nean- Page 276 che sommariamente ripercorrere il dibattito sul punto, ci limitiamo in questa sede a considerare che l'espressione è "soltanto una locutio brevis per indicare l'insieme degli interessi pubblici oppure quello fra essi che può o deve essere curato nella specie" (Pizzorusso) e che gli interessi pubblici sono quelli riferibili alla collettività corrispondente all'ordinamento giuridico dello Stato (e degli enti territoriali ivi ricompresi), cioè al popolo (come anche l'etimologia del termine confermerebbe). Anche in relazione al secondo termine del conflitto, e cioè gli interessi privati di cui colui che ricopre la carica pubblica è titolare o (secondo diverse modalità) è preposto alla cura, possono poi sorgere alcuni problemi nell'individuare quali tra questi possano essere ritenuti rilevanti. Negli Stati Uniti, che sono il Paese in cui è presente la più matura riflessione in materia, la dottrina tradizionale e la legislazione vigente tendono a considerare rilevanti soltanto gli interessi economici di coloro che esercitano funzioni pubbliche, nella consapevolezza della difficoltà, se non dell'impossibilità, di andare a sindacare la loro predisposizione mentale a favore di particolari interessi di diversa natura. A nostro avviso, si tratta di una delimitazione molto opportuna, in quanto gli interessi economici sono gli unici valutabili in modo oggettivo, oltre che quelli da cui tradizionalmente hanno avuto origine i più gravi abusi nell'esercizio del potere pubblico (essendo il denaro - dicono gli americani - the mother's milk of politics).

In secondo luogo, si pongono problemi specifici nell'individuazione degli strumenti per il superamento della situazione di conflitto di interessi, la cui finalità, anche secondo quanto risulta dalle esperienze straniere, deve essere quella di mantenere la fiducia pubblica nelle istituzioni, non suscitando neppure il sospetto che esse agiscano per interessi diversi da quelli pubblici. L'intervento successivo all'azione interessata del titolare di carica o ufficio pubblico fallisce il suddetto scopo, e può integrare vere e proprie ipotesi di reato già represse (anche) sul piano penale (si pensi, ad esempio, nel nostro ordinamento, a tutti i reati contro la pubblica amministrazione). Per questo la legislazione sul conflitto di interessi, negli Stati Uniti come in altri Paesi, ha carattere preventivo (senza che ciò escluda, naturalmente, anche la previsione di misure sanzionatorie successive, per le ipotesi in cui si siano adottati comportamenti contrari al dovere di agire nell'esclusivo interesse pubblico, per avvantaggiare interessi privati).

Uno strumento di prevenzione del conflitto di interessi che anche il nostro Paese conosce da tempo è l'incompatibilità, che impone una scelta tra due cariche (almeno una delle quali di carattere pubblico), evitando così che nel prendere le decisioni nell'esercizio delle funzioni legate alla carica pubblica si possa essere tentati di favorire gli interessi privati alla cui cura si è preposti in virtù dell'altra carica.

I principali limiti riguardanti le previsioni sulle incompatibilità, nel nostro ordinamento, sono tradizionalmente legati, da un lato, ad una certa confusione tra questo istituto e quello dell'ineleggibilità e, dall'altro, alla (quasi totale) assenza di previsioni specifiche per i membri del Governo (nell'evidente presupposto della loro contemporanea appartenenza degli stessi alle Camere, soprattutto negli ultimi quindici anni più volte venuta meno, seppure in misura assai variabile nelle varie compagini governative). Dal primo punto di vista, pare da rilevare che la previsione dell'ineleggibilità come strumento di prevenzione del conflitto di interessi risulti irragionevole, intervenendo in una fase in cui, non essendovi ancora l'assunzione di una delle due cariche (ma solo la candidatura alla stessa), non vi può essere alcun rischio di conflitto di interessi. Pertanto, il legislatore dovrebbe procedere ad una revisione dell'ordinamento, trasformando in Page 277 incompatibilità tutte quelle ineleggibilità volte a reagire a potenziali conflitti di interessi (anziché ad assicurare la libertà di voto e la parità di chances dei candidati nell'accesso alle cariche elettive). Nelle more dell'intervento del legislatore, ovviamente, potrà intervenire nel medesimo senso la Corte costituzionale, via via che le vengono poste questioni di legittimità costituzionale su tali norme (come ha fatto, ad esempio, per limitarci a casi non troppo lontani nel tempo, con sentt. nn. 450 del 2000 e 350 del 2001).

Dal secondo punto di vista, invece, la lacuna è stata in gran parte colmata proprio dalla l. n. 215 del 2004, che ha stabilito - come vedremo - un piuttosto ampio novero di incompatibilità specificamente per i titolari di cariche di Governo.

@2. L'Italia "scopre" il conflitto di interessi

Generalmente, nelle "democrazie stabilizzate", è prevista una disciplina volta a impedire che si realizzino ipotesi di conflitto di interessi (e in proposito pare da ricordare, in modo particolare, come la Spagna sia re-intervenuta con una legge generale in materia proprio di recente: l. 10 aprile 2006, n. 5, recante "regulaciòn de los conflictos de intereses de los miembros del Gobierno y de los Altos Cargos de la Administraciòn General del Estado"; sempre nel 2006 essendo poi stato approvato, in Canada, il "Conflict of Interest and Post- Employment Code for Public Office Holders").

La legislazione più risalente e completa è quella vigente negli Stati Uniti d'America, dove le prime norme in materia risalgono alla metà del XIX secolo, quando il Congresso approvò una legge volta a impedire la pratica, intrapresa da alcuni parlamentari e funzionari statali, di patrocinare cause di privati contro la Federazione. In Italia il tema è stato completamente ignorato per decenni, tanto nelle sedi istituzionali, quanto, generalmente, anche in quelle scientifiche. Un'inversione di tendenza si è realizzata alla fine del 1993, a seguito della decisione di uno dei maggiori imprenditori del Paese (Silvio Berlusconi) di prendere attivamente parte alla vita politica, costituendo un proprio partito ("Forza Italia"). A seguito della partecipazione di questo partito alle elezioni del 1994, gli schieramenti politici costituitisi intorno al medesimo (il "Polo del Buon Governo", nel centrosud, e il "Polo della libertà", nel centro-nord) ottennero la maggioranza parlamentare e costituirono così un Governo presieduto dallo stesso on. Berlusconi. Ciò suscitò le prime preoccupazioni per il possibile emergere di conflitti di interessi, di cui, in realtà, già in precedenza, vi erano state alcune manifestazioni, per quanto meno evidenti, sempre passate del tutto sotto silenzio. Pertanto, subito dopo le elezioni del 1994, furono avanzate alcune soluzioni, immediatamente rivelatrici delle difficoltà di affrontare una simile questione quando essa era ormai, di fatto, così strettamente connessa a un caso concreto. Quindi, una prima ipotesi prevedeva che il Governo fosse posto sotto la "tutela" di una personalità autorevole e super-partes (si era fatto il nome dell'ex Presidente del Senato, Giovanni Spadolini), che avrebbe dovuto garantire la separazione tra gli interessi pubblici e quelli privati del Presidente del...

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