Il codice dell'ambiente (d.lgs. 152/2006)

AutoreAngioletta Sperti
Pagine353-364

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@1. Premessa

Il decreto legislativo n. 152/2006 recante "Norme in materia ambientale", adottato in via definitiva dal precedente Governo nel gennaio 2006 e pubblicato in G.U. il 2 aprile 2006, è il risultato di un lungo e controverso iter istituzionale avviato con la legge delega n. 308 del 15 dicembre 2004 ("Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione"). Tale iter non può dirsi definitivamente concluso dal momento che, come si dirà, l'attuale esecutivo ha dichiarato (d.l. 173/2006 e relativa legge di conversione n. 228/2006) la propria volontà di porre mano ai contenuti del decreto legislativo in vista di una sua complessiva revisione.

In questo lavoro, ripercorrendo sinteticamente il dibattito che ha condotto all'adozione del testo unico, nonché le vicende relative alla sua attuazione, integrazione e parziale modificazione, intendiamo ripercorrere i contenuti e le finalità del provvedimento al fine di sottolinearne i punti più controversi sia sotto il profilo dell'attuazione delle disposizioni costituzionali che del rispetto delle disposizioni comunitarie in materia.

@2. Il lungo dibattito sulla razionalizzazione della materia ambientale e le finalità del nuovo testo unico

Il nuovo testo unico si configura come un vero e proprio "codice dell'ambiente", composto di 310 articoli e 45 corposi allegati, il quale accorpa le disposizioni concernenti settori omogenei della disciplina ambientale. A tale fine esso abroga cinque leggi, otto decreti legislativi, quattro decreti del Presidente della Repubblica, tre decreti del Presidente del Consiglio ed, infine, otto decreti ministeriali e, al tempo stesso, recepisce otto direttive comunitarie.

In particolare il d.lgs. 152/2006 si propone come "obiettivo primario" "la promozione dei livelli di qualità della vita umana da realizzare attraverso la salvaguardia e il miglioramento delle condizioni dell'ambiente e l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali" (art. 2, c. 1). A tale fine si dichiara l'intento di provvedere al "riordino, al coordinamento e all'integrazione delle disposizioni legislative vigenti" nelle materie di cui alla legge delega e in particolare relativamente alle procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS), per la valutazione dell'impatto ambientale (VIA) e per l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC) (parte II); alla difesa del suolo e alla lotta alla desertificazione (parte III, sezione I); alla tutela delle acque dall'inquinamento e alla Page 354 gestione delle risorse idriche (parte III, sezioni II e III); alla gestione dei rifiuti e alla bonifica dei siti contaminati (parte IV); alla tutela dell'aria e alla riduzione delle emissioni in atmosfera (parte V); infine, alla tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente (parte VI).

Sotto il profilo dell'attività legislativa si è assistito negli ultimi anni ad un eccesso di produzione normativa in materia ambientale; la disciplina si caratterizza al tempo stesso per la complessità formale e la difficile attuabilità con effetti paralizzanti sulla salva- guardia ambientale. La normativa statale di livello primario in materia ambientale ha infatti progressivamente assunto, al pari di quella comunitaria e regionale, il carattere di "legge provvedimento" e invaso sfere di competenza tradizionalmente attribuite all'esecutivo. Inoltre, soprattutto a partire dalla fine degli anni ottanta e sino alla nota sent. n. 360/1996 della Corte costituzionale, la prassi dell'ampio ricorso alla decretazione di urgenza aveva interessato anche il diritto dell'ambiente, con la conseguenza che "materie quali la tutela delle acque, la gestione dei rifiuti e delle materie prime secondarie, l'inquinamento atmosferico, i controlli ambientali sono stati sottoposti a continui e reiterati interventi del governo attraverso discipline emanate mediante decreto-legge, con conseguenze gravi sul piano della certezza del diritto e della tutela delle situazioni giuridiche soggettive" (Caravita).

A ciò deve aggiungersi che rilevanti settori del diritto ambientale sono stati a lungo affidati in via transitoria alla disciplina di carattere regolamentare, spesso in deroga alla prescrizioni contenute nelle fonti primarie. È significativo a questo proposito l'esempio rappresentato dalla disciplina relativa alla VIA - valutazione di impatto ambientale - con riferimento alla quale l'attuazione della direttiva comunitaria n. 337 del 1985 è stata a lungo rimessa, peraltro parzialmente, alla disciplina di livello regolamentare, nonché a una lunga serie di circolari ministeriali che si sono intrecciate con la disciplina comunitaria e con le previsioni adottate a livello regionale, peraltro spesso non in linea con le disposizioni nazionali. L'ipertrofia legislativa in questo settore è resa evidente da una ricerca condotta dall'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT) la quale ha stimato che alla data di entrata in vigore del Testo unico la disciplina relativa alla VIA poteva dirsi rimessa a un totale di circa un centinaio di provvedimenti.

Infine, l'asistematicità della normativa ambientale, spesso oggetto di critiche e osservazioni da parte dalla dottrina (Caravita, Grassi) e dovuta alla molteplicità dei livelli di governo coinvolti, rendeva indispensabile un'organica e più precisa definizione delle sede e degli organi preposti alla programmazione ambientale anche al fine di precisarne le competenze. È infatti noto che sebbene la riforma del titolo V della Costituzione (l. cost. 3/2001) abbia contribuito alla definizione a livello costituzionale di una nozione di "ambiente" attraverso l'attribuzione della materia della "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali" alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (l'art. 117, c. 2, lett. s)), essa ha altresì sollevato forti dubbi interpretativi circa il riparto di competenze in materia.

È utile ricordare che molte delle materie riconducibili a una nozione di "ambiente" in senso lato rientrano fra quelle attribuite alla competenza concorrente di Stato e Regioni (in particolare la tutela della salute, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia, la valorizzazione dei beni culturali e ambientali, il governo del territorio); inoltre tra le materie ascrivibili alla competenza residuale delle regioni possono essere fatti rientrare ambiti tematici di centrale importanza nella politica di tutela ambientale quali l'agricoltura, la caccia e la pesca. Page 355

Confermando la propria giurisprudenza precedente alla riforma, la stessa Corte costituzionale ha ribadito la "configurazione dell'ambiente come "valore costituzionalmente protetto" che "delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono a esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale". Di conseguenza, deve constatarsi come riguardo alla protezione dell'ambiente la riforma del titolo V "non [abbia] sostanzialmente inteso eliminare la preesistente pluralità di titoli di legittimazione per interventi regionali diretti a soddisfare contestualmente, nell'ambito delle proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo Stato" (sent. n. 407/2002).

Le ragioni sin qui descritte hanno reso dunque improcrastinabile l'esigenza di porre mano alla normativa ambientale al fine di una sua razionalizzazione e semplificazione.

Il tema è stato affrontato senza successo anche nelle precedenti legislature e le proposte avanzate hanno percorso sia la strada dell'adozione del testo unico sia quella del modello della legge di principi, intorno alla quale razionalizzare successivamente la normativa ambientale nei principali settori.

Nel 1991 una commissione istituita dal ministro dell'Ambiente Giorgio Ruffolo (c.d. commissione Carabba) elaborò un progetto (in sei articoli) di legge di delega al Governo per l'emanazione di un testo unico in materia di tutela dell'ambiente. Nel 1993 una commissione di studio istituita dal ministro Valdo Spini espresse invece l'opportunità dell'adozione di una legge quadro che contenesse le linee fondamentali sulle quali procedere alla successiva sistemazione della normativa ambientale. I lavori della commissione si conclusero infatti nell'aprile 1994 quando fu sottoposta all'esame del Parlamento una bozza di legge-quadro di settantadue articoli contenente i principi di generali del diritto dell'ambiente, la disciplina del quadro organizzativo di riferimento e le linee fondamentali dei principali ambiti di tutela. Nel 1994 il ministro Matteoli ripropose il ricorso a un testo unico, mentre nel 1996 un'ulteriore proposta di legge, tesa all'elaborazione di un testo unico in materia ambientale, riprese le linee generali già elaborate nel progetto del 1991 (A.C. 1878).

Al termine di questo lungo dibattito la scelta del testo unico è dunque risultata quella preferita dal legislatore e tuttavia, come si dirà, non poche sono le obiezioni che possono essere rivolte al nuovo codice dell'ambiente, fra cui quella di non aver disciplinato alcune materie di grande rilievo (ad esempio quelle relative alle aree protette e alla conservazione e all'utilizzo sostenibile delle specie protette di flora e fauna le quali continuano ad essere disciplinate dalle specifiche normative di riferimento), di averne disciplinate altre in modo insufficiente e di aver rimesso a specifiche disposizioni vigenti o addirittura a una futura normativa di...

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