Tecniche di strutturazione dell'illecito per una tutela penale dell'ambiente
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TECNICHE DI STRUTTURAZIONE DELLʼILLECITO PER UNA TUTELA PENALE DELLʼAMBIENTE
Sommario: 1. Il modello classico, i c.d. danni punitivi e la class action – 1.1 Il nodo della causalità e la suora di clausura bosniaca – 2. Il modello sanzionatorio – 2.1 La questione della riserva di legge – 2.2 La depenalizzazione delle contravvenzioni – 3. Il modello parzialmente sanzionatorio – 4. Il “recupero” della condotta pericolosa – 4.1 I delitti di inquinamento doloso e colposo.
1. Il modello classico , i c.d. danni punitivi e la class action – In questo studio si è accolta la prospettiva, per la tutela dellʼambiente, del ricorso anche al diritto penale. Questo, non solo in ossequio alla prospettiva accolta in sede europea, ma anche e soprattutto per una precisa scelta di politica criminale, secondo la quale “ lʼabbandono del diritto penale comporterebbe una perdita di efficacia stigmatizzante della sanzione, la quale comporterebbe ricadute sulla prevenzione generale positiva ” 1 . É chiaro, poi, che alla base della succitata scelta vi è la condivisione di una concezione almeno tendenzialmente geocentrica 2 del rapporto tra lʼuomo e lʼambiente 3 . Concezione
1Così MANNA, La regola…, cit., 651.
2Cfr. WHITE, The Historical Roots of Our Ecologic Crisis, in Science, 1967, vol.155, 1203ss.
3“A siffatto paradigma – seppure sensibilmente temperato – sembrerebbe ispirarsi lo stesso diritto comunitario c.d. super-primario, sol che si consideri come la norma di cui al secondo alinea dellʼart.174 Tr. Ce – secondo la numerazione adottata a Nizza, e che rappresenta la legal basis di ogni intervento degli organi di Bruxelles, nella materia in analisi – ammetta lo svolgimento di attività pericolose per lʼecosistema naturale nei limiti della loro compatibilità con un elevato livello di tutela dellʼambiente.”, così MANNA, Struttura e funzione dellʼillecito penale ambientale. Le caratteristiche della normativa sovranazionale, in Giur.mer., 2004, 2163ss.
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che, secondo chi scrive, è destinata a farsi strada, lentamente ma inesorabilmente, nella mentalità generale. Per altro, la concezione antropocentrica attualmente dominante che – già propria delle popolazioni semitiche, si è poi diffusa in occidente attraverso la religione Cristiana – non è del tutto priva di responsabilità rispetto al verificarsi della presente condizione di crisi ambientale.
Questʼultima, infatti, rappresenta in parte anche una sorta di “effetto collaterale”, di ordine meramente sociale, dovuto allʼadattamento, comunque legittimo, di una forma della Tradizione propria di popolazioni turaniane (o nomadi), a delle popolazioni iraniane (o stanziali), portato successivamente alle sue estreme conseguenze, dallʼavvento dellʼera moderna. Infatti, era inevitabile che la
Weltanschauung propria di popolazioni che, in quanto nomadi, tendevano a non modificare i territori sui quali si spostavano (pastorizia), comportasse delle controindicazioni, una volta mutuata da popolazioni che invece, proprio perché stanziali, erano abituate ad incidere sensibilmente sul territorio sul quale stabilmente vivevano (agricoltura).
Del resto, come esempio paradigmatico del mutamento di prospettiva intervenuto dopo la diffusione in occidente della religione Cristiana, si può ricordare, appunto in agricoltura, il passaggio (avvenuto nella seconda metà del settimo secolo dopo Cristo) dallʼaratro tradizionale a due buoi, che, dotato di una sola lama, si limitava a graffiare la zolla di terra, a quello ad otto buoi, che, con un sistema triplice di lame, arrivava a “violentare” le zolle: passaggio che è stato possibile solo in conseguenza della mutata considerazione del rapporto tra lʼuomo e lʼambiente. Ma tale mutamento era destinato a spiegare i suoi effetti più eclatanti solo nellʼepoca moderna, cioè nellʼepoca in cui lʼuomo si è impadronito di strumenti tecnici straordinari, capaci di stravolgere lʼambiente in cui vive in una misura, precedentemente, neppure immaginabile.
Quindi, il ritorno ad una concezione tendenzialmente geocentrica – che comunque, in linea di principio, non contrasta affatto con il Cristianesimo – potrebbe favorire, proprio sul piano sociale, la creazione delle basi culturali attualmente indispensabili, perché si giunga ad una interazione più equilibrata tra lʼambiente e lʼuomo. Il geocentrismo, infatti, non devʼessere confuso con il panteismo o, addirittura, con il politeismo.
Concezioni, questʼultime, che sono chiaramente incompatibili con il Cristianesimo e con ogni altra autentica forma tradizionale precedente, e che costituiscono solo delle
degenerazioni in senso materialistico , formulate in periodi (relativamente “recenti”) di decadenza intellettuale, di
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109antiche dottrine metafisiche non più comprese 4 . In particolare: il panteismo è dovuto a quello speciale errore – che rivela, appunto, una tendenza allʼincomprensione della metafisica – consistente nel ritenere che, dato che tutto quello che esiste è Dio – perché viceversa Dio non sarebbe infinito, ma piuttosto indefinito, come il numero dei punti contenuti in una linea retta 5 -, reciprocamente Dio si riduca allʼunione di tutto quello che esiste (o meglio ancora alla sua confusione, come in alcune pseudo-teorie proprie della c.d. new age ); mentre il politeismo si basa sulla grosso-lana identificazione di alcune rappresentazioni individualizzate del medesimo Dio unico, in altrettanti veri e propri individui-dei, per cui, sotto questo speciale punto di vista, è condivisibile quanto affermato dal Mordini, secondo il quale non sarebbero mai esistite delle dottrine tradizionali politeiste, ma solo dei politeisti 6 .
Al contrario, una concezione geocentrica equilibrata, e quindi non condizionata da qualsivoglia forma di
sentimentalismo ecologista , potrebbe molto semplicemente partire – almeno per i cristiani – dallʼassunto secondo il quale “ un uomo siffatto, un uomo nobile, sa infatti con certezza che nulla esiste senza Dio. Dio, in quanto infinito, è dovunque e in tutte le cose ” 7 . Per altro, intesa in questo senso, la concezione geocentrica sarebbe lʼunica davvero compatibile con lʼidea, propria della teologia cristiana, di creatio ex nihil , mentre escluderebbe radicalmente le opposte visioni legate allʼarchetipo del dio-demiurgo.
Per quanto, poi, in questa sede più direttamente interessa, in virtù di una concezione tendenzialmente geocentrica, si potrebbe sostenere che il diritto penale ambientale debba tutelare, appunto, il bene ambiente, e non la funzio-
4Per lʼapprofondimento di questi temi, che esulano dai confini di questo studio, si rinvia a GUÉNON, Introduction générale à lʼétude des doctrines hindoues, Paris, 1921, trad. it., Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, Milano, 1989.
5Viceversa, quello della coesistenza di più infiniti (o, addirittura, di infiniti infiniti) è un errore logico proprio della matematica moderna. E non si tratta solo di una questione terminologica, ma di principio, che, tuttavia, per la sua scarsa rilevanza applicativa, oggi appare sicuramente di importanza secondaria. Cfr. GUÉNON, Le principes du calcul infinitésimal, Paris, 1946, trad. it., La metafisica del numero. Principi di calcolo infinitesimale, Carmagnola, 1990.
6Anche per una esatta ed organica ricostruzione del rapporto tra le tradizioni precristiane (generalmente ritenute politeiste) e quella Cristiana, si rinvia a MORDINI, La verità del
linguaggio, Roma, 1974.
7Così, testualmente, S. ANTONIO ABATE, Avvisi, in AA.VV., La Filocalia, a cura di NICODIMO AGHIORITA e MACARIO DI CORINTO, Venezia, 1782, trad. it. ARTIOLI e LOVATO, Milano, 2004, vol.I, 76.
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ne amministrativa. E che lʼambiente non debba essere preso in considerazione quale bene strumentale alla tutela della salute pubblica o individuale (o, addirittura, del corretto funzionamento del mercato e della concorrenza) 8 ,
ma come bene finale.
Accanto alle persone, cioè, si ritiene di affiancare pure i
singoli ecosistemi – così evitando gli eventuali problemi di “gigantismo” -, quali nuove possibili “vittime” delle attività industriali e della conseguente emissione/ immissione, nellʼambiente, di sostanze chimico–tossiche o di radiazioni. Così ottenendo il risultato, appunto tramite la salvaguardia, quali beni strumentali ed individuali, dei singoli ecosistemi (o, ancora meglio, delle specifiche componenti dei singoli ecosistemi), di conseguire la tutela, quale bene finale, dellʼambiente inteso nella sua dimensione meta–individuale.
A tal proposito, tuttavia, corre lʼobbligo di specificare che quanto affermato in ordine ai beni finali e strumentali, rileva solo da un punto di vista della politica criminale, e non da quello esegetico. Nel senso che, nellʼinterpretazione dei delitti ambientali, bisognerebbe tener conto solo del bene (strumentale) immediatamente tutelato dalla norma, senza domandarsi se vi sia stata (o meno) una lesione del bene finale. Infatti, “
se cʼè un (c.d.) bene strumentale immediatamente protetto dalla norma, a questo si dovrebbe ritenere limitata la tutela, senza possibilità logica di assegnare al (c.d.) bene finale una sua concreta e immediata rilevanza nel quadro della tutela voluta dalla norma stessa. Questʼultimo bene non potrebbe, in ogni caso, non restare ...Per continuare a leggere
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