Una responsabilità penale diretta delle imprese?

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UNA RESPONSABILITÀ PENALE DIRETTA DELLE IMPRESE?

Sommario: 1. Genesi ed evoluzione della problematica– 2. Il d.lgs. n. 231/013. Uno sguardo comparatistico – 4. Il fatto di reato commesso direttamente dallʼente – 5. Proposte per una “generalizzazione” della responsabilità penale dʼimpresa.

1. Genesi ed evoluzione della problematica – Si è f‌in qui dimostrato come la previsione di una responsabilità penale diretta (o di primo grado) delle imprese possa essere utile a risolvere, nel modo più convincente, la vexata quaestio della delega di funzioni 1 – e della individuazione del soggetto penalmente responsabile di alcuni reati dʼimpresa -, in modo conforme, tanto al principio di tassatività, quanto a quello di personalità 2 : questo pure

1Questa soluzione congiunta delle due problematiche – appunto della delega di funzioni e della responsabilità da reato degli enti – era stata già ipotizzata in altra sede. Cfr. PLANTAMURA, Delega di funzioni e funzionalità della delega: un tentativo di quadratura del cerchio, in Riv. della S.S.E.F., 2004, n.11, 130ss. (anche on line: rivista.ssef.it). Ed è forse a tal proposito che recentemente – il 25 maggio 2005, in occasione di un convegno in argomento organizzato dal Centro studi e ricerca di diritto penale dellʼeconomia – il Lanzi avrebbe affermato che “una dottrina piuttosto avveniristica pronostica, per i reati ambientali, una sorta di corporate killing, che supera lʼimputazione delle persone f‌isiche e si rivolge direttamente allʼente, anche se rimangono non poche diff‌icoltà in relazione ai criteri di imputazione sia oggettiva (illecito commesso nellʼinteresse della società) che soggettiva (responsabilità di soggetti in posizione apicale o meno)”, secondo quanto riferito da BELTRAMI, La

responsabilità da reato delle società, in Ind.pen., 2005, 791.

2A meno, chiaramente, di non voler intendere il citato principio in senso eccessivamente antropomorf‌ico, negando la possibilità che – in mancanza di una modif‌ica sul punto – la responsabilità penale degli enti sia costituzionalmente legittima. Lʼobiezione della (presunta) incostituzionalità – per violazione, appunto, dellʼart.27 co.1 Cost. – della responsabilità penale degli enti (che, non a caso, nel nostro ordinamento è ancora formalmente denominata

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nei casi più controversi, come quello della delega ad un soggetto tecnicamente incompetente o della c.d. delega a catena 3 .

Effettivamente, però, lʼesigenza della previsione di una responsabilità penale delle imprese è nata, storicamente, da fattori del tutto eterogenei rispetto a quelli evidenziati nel precedente capitolo. Ed infatti, mentre nella prospettiva che qui si propone la responsabilità penale (diretta) degli enti dovrebbe riguar-dare esclusivamente ipotesi delittuose colpose – perché è appunto nellʼimpresa in sé che si è individuato lʼunico vero soggetto responsabile della tutela (o garante) dei beni giuridici che possono essere

involontariamente lesi, o posti in pericolo, nello svolgimento dellʼattività dʼimpresa -, generalmente la punizione dellʼente è sempre stata intesa a prevenire la commissione di delitti, soprattutto dolosi, da parte degli agents degli enti stessi.

Quindi, è naturale che la responsabilità penale delle persone giuridiche sia nata come una responsabilità indiretta o di secondo grado – e tale rimane, come si vedrà, pure quando sia prevista eventualmente come “autonoma” -, appunto per i fatti di reato commessi dai propri

agents . Così come appare scontato che tale responsabilità sia stata sempre limitata alle ipotesi in cui gli agents abbiano avuto in vista, nel commettere il reato, il perseguimento di un interesse – quantomeno – anche dellʼimpresa di appartenenza.

Altrimenti, se si volesse punire lʼente pure nel caso della commissione di un delitto da parte di un

agent del tutto infedele, si f‌inirebbe per punire unʼimpresa che, il più delle volte, sarebbe in realtà la persona offesa – o almeno una delle persone offese – dal reato in questione. In buona sostanza, il legislatore – in primis quello americano 4 – resosi conto di non riuscire a frenare il dilagarsi di comportamenti fraudolenti da parte dei managers delle società commerciali, ha deciso di responsabilizzare (penalmente) le società stesse. Da ul-

“amministrativa”), non è stata ancora del tutto superata in dottrina. Per una recente riproposizione di tale “classica” obiezione, si veda MAIELLO, La natura…, cit., 913s. Allo stesso proposito, specie per i presunti contrasti con i principi di colpevolezza e rieducazione, si veda ALESSANDRI, Art.27…, cit., 159ss.

3Recentemente, si stanno moltiplicando, in dottrina, i segnali di “apertura”, verso una responsabilità diretta degli enti. Cfr. DE FRANCESCO, Gli enti collettivi: soggetti dellʼillecito o garanti dei precetti normativi?, in Dir.pen.proc., 2005, 755s.; nonché DI GIOVINE, La responsabilità degli enti: lineamenti di un nuovo modello di illecito punitivo, in AA.VV., Diritto e impresa: un rapporto controverso, a cura di MANNA, Milano, 2004, 567s.

4Non è certo un caso, infatti, che lʼordinamento degli Stati Uniti dʼAmerica sia quello il cui studio è stato maggiormente approfondito nellʼampio volume comparatistico della DE

MAGLIE, Lʼetica e il mercato, cit., 11ss. Volume al quale, pure per i numerosissimi riferimenti legislativi, bibliograf‌ici e giurisprudenziali, si rinvia.

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timo, applicando la f‌ilosof‌ia del c.d. carott-stick , con la previsione di pene severe, ma anche di un sistema premiale (nel senso di un esonero dalla responsabilità o di una sua limitazione), per quelle imprese che si forniscano, anche post factum , di strumenti adeguati a impedire – o, comunque, a contenere – la possibilità, da parte dei propri agents , di compiere attività delittuose.

La responsabilità penale delle persone giuridiche, dunque, è stata f‌in ad oggi considerata prevalentemente in senso cumulativo5

, e non esclusivo , rispetto a quella delle persone f‌isiche responsabili dei fatti di reato. E questo perché lʼesigenza alla base della sua introduzione è stata quella di un rafforzamento della tenuta preventiva del sistema – che, come accennato, stava cedendo -, e non quella – che invece si è sottolineata in questo studio – di una più esatta e puntuale individuazione di quale sia il soggetto penalmente responsabile di alcuni delitti dʼimpresa, nel rispetto delle garanzie proprie del moderno diritto penale. Due prospettive affatto eterogenee, dunque, che non sono tra di loro in contrasto, e che, da un punto di vista logico, non si escludono in alcun modo.

Ciò nondimeno, non ci si può qui esimere – prima di entrare nel merito della prospettiva prescelta -, da qualche breve considerazione critica sul modello “classico” della responsabilità penale indiretta degli enti, per i fatti costitutivi di reato commessi dai propri

agents (la cui individuazione, comunque, non è sempre ritenuta necessaria). E, per far questo, si deve andare alla base dellʼesigenza di prevenzione da cui tale modello è sorto.

Ebbene, come già evidenziato agli inizi del novecento da Werner Som-bart e Max Weber6

(rispettivamente ne “ Il borghese ” e “ Lʼetica protestante e lo spirito del capitalismo ”), uno degli elementi necessari per la nascita dello spirito borghese – che ha consentito il passaggio dallʼeconomia medievale a quella capitalistica – è stato sicuramente il sentimento religioso, specie nella

5Tanto che in dottrina non è mancato chi, con riferimento al modello italiano, ha criticato il legislatore in quanto, non avendo previsto espressamente il principio del cumulo, avrebbe corso il rischio (decisamente eventuale) di legittimare, testualmente, “interpretazioni pseudo-garantiste (ad es.: divieto di ne bis in idem) f‌inalizzate a far cadere su di uno solo dei soggetti in questione (la società o il suo dirigente) il peso della sanzione”: “Il principio del cumulo di responsabilità assolve, invece, una funzione completamente diversa: oltre ad assumere una insostituibile valenza generalpreventiva, è indicativo della acquisita consapevolezza della natura “mista” del reato dʼimpresa, che è spesso il frutto di una combinazione tra politica dʼimpresa e scelte individuali.”, così, DE MAGLIE, Principi generali…, cit., 1352.

6Cfr. SOMBART, Der Bourgeois, Monaco-Lipsia, 1913, trad. it., Il Borghese, Parma, 1994; WEBER, Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, Tubingen, 1922, trad. it., Lʼetica protestante e lo spirito del capitalismo, Firenze, 1970.

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sua accezione moralistica. Questa considerazione, ampiamente confermata dallo sviluppo che il capitalismo ha avuto – ed ha tuttora – negli Stati Uniti dʼAmerica (nazione calvinista per eccellenza), prendeva le mosse dalla necessità, per lo sviluppo dello spirito borghese, e quindi del capitalismo, di un clima di assoluta f‌iducia reciproca negli scambi commerciali.

Clima che ben poteva essere assicurato dallʼaffermarsi del tomismo prima e, poi, soprattutto delle religioni protestanti che, rispetto a quella cattolica, erano più interessate agli aspetti morali, rispetto a quelli puramente dottrinali. Ed erano, inoltre, portatrici di un seme antigerarchico, nonché, alla f‌ine, sostanzialmente democratico, per cui – negligendo le classi f‌ino a quel momento considerate superiori (quella...

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