Orario di lavoro

AutoreMario Giovanni Garofalo - Massimo Roccella
Pagine349-400

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@ART. 1. ENTRATA ED USCITA IN AZIENDA.

L’entrata e l’uscita dei lavoratori dall’azienda è regolata dalle disposizioni aziendali in atto che dovranno definire l’orario di accesso allo stabilimento e quello di inizio del lavoro.

Resta fermo che all’inizio dell’orario di lavoro il lavoratore dovrà trovarsi al suo posto per iniziare il lavoro.

Al ritardatario il conteggio delle ore di lavoro sarà effettuato a partire da un quarto d’ora o mezz’ora dopo l’inizio dell’orario di lavoro che avrebbe dovuto osservare, a seconda che il ritardo sia compreso nei primi 15 minuti o oltre i 15 e fino ai 30.

@Commento di Anna Fenoglio

  1. – In passato, la disposizione in materia di entrata e uscita dall’azienda – applicabile nei confronti dei soli operai – regolamentava nel dettaglio l’utilizzo dei segnali acustici indicanti l’inizio e la fine dell’orario di lavoro1; con il rinnovo contrattuale del 2008, l’efficacia della medesima norma è stata estesa a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla qualifica: per rendere “neutrale” tale disposizione le parti sociali hanno così rinunciato a disciplinare le cadenze temporali delle sirene (che normalmente sono utilizzate per scandire il tempo di lavoro soltanto nei confronti degli operai), delegando le disposizioni aziendali a regolamentare in modo maggiormente dettagliato le modalità con cui segnalare l’inizio e la fine dell’orario di lavoro.

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    Al di là degli angusti limiti della disciplina dell’entrata e uscita dall’azienda, la norma in commento merita però un’analisi più approfondita, che si ricolleghi alla nozione stessa di orario. Fondamentale è infatti soffermare l’attenzione sul secondo comma dell’articolo in commento, secondo il quale all’inizio dell’orario di lavoro il prestatore d’opera deve trovarsi al suo posto «per iniziare il lavoro»: occorre chiarire se, con questa espressione, le parti sociali abbiano inteso disporre che – allo scoccare dell’ora prestabilita – il lavoratore debba immediatamente iniziare a rendere la prestazione oggetto del contratto, o se invece – durante l’orario di lavoro – possano essere svolte attività propedeutiche all’attività lavorativa vera e propria. In altre parole, bisogna capire se, ad esempio, il lavoratore debba procedere alla vestizione della divisa o della tuta antinfortunistica prima dell’«ora x» o se invece tale attività possa essere svolta durante l’orario di lavoro; lo stesso quesito può porsi anche in relazione al tempo di viaggio necessario per raggiungere il luogo di lavoro2.

    Per risolvere tale importante questione interpretativa è opportuno rifarsi alla nozione di «orario di lavoro» introdotta dalla direttiva comunitaria 93/104/ CE3 e recepita testualmente dal d.lgs. n. 66/2003, nozione con la quale contrasterebbe certamente una lettura restrittiva dell’articolo in commento. Secondo la Corte di Giustizia Europea4, infatti, elementi determinanti per valutare se un periodo di servizio rientri nella nozione di orario sono la presenza fisica del lavoratore sul luogo di lavoro e il suo essere a disposizione del datore di lavoro per poter fornire immediatamente la propria opera5; laddove questi requisiti siano soddisfatti, si devono considerare rientranti nell’orario di lavoro anche i c.d. tempi «interstiziali»6, cioè quei momenti in cui il dipendente «non presta effettivamente la sua attività»7. Abbracciando una visione duale dei periodi di lavoro e di riposo e respingendo così implicitamente la nozione di tempi «del terzo tipo»8, la Corte ha dunque ritenuto che lo svolgimento di attività stru-

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    mentali debba necessariamente rientrare nell’orario di lavoro: solo in tal modo, infatti, è possibile «garantire una tutela efficace della sicurezza e della salute dei lavoratori, facendo loro beneficiare effettivamente di periodi minimi di riposo»9.

    La definizione di orario contenuta nella direttiva comunitaria e nel d.lgs. n. 66/2003 – alla quale ovviamente il contratto collettivo si deve rifare – non è dunque «indicativa del carattere di effettività del lavoro […] quale requisito essenziale per il computo dell’orario»10, computo nel quale non devono rientrare solo i periodi in cui il dipendente «è attualmente impegnato nell’adempimento della prestazione (in sostanza, sta lavorando)»11, ma anche i momenti dedicati allo svolgimento di attività propedeutiche. Tenuto conto dell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia e dalla nostra giurisprudenza interna, che più volte si è espressa su tale punto, si deve perciò ritenere che l’articolo qui in esame consenta al prestatore d’opera di svolgere le attività strumentali durante l’orario lavorativo12, a condizione che queste siano eterodirette dall’imprenditore: il tempo dedicato alla vestizione della tuta deve dunque essere retribuito13 qualora il dipendente sia vincolato in relazione al momento ed al luogo in cui procedere alla vestizione14; è invece estraneo alla nozione di orario di lavoro il tempo di viaggio, a meno che questo non risulti strettamente funzio-

    analisi di tale questione e per maggiori riferimenti dottrinali v. V. Ferrante, Il tempo di lavoro fra persona e produttività, Torino, Giappichelli, 2008, 236.

    2003, n. 22, 13, ove è però utilizzata in senso opposto.

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    nale alla svolgimento della prestazione15, come nel caso delle trasferte16 o degli interventi svolti durante la reperibilità17.

    Nessuna novità è invece prevista dal terzo comma della disposizione in commento, che si limita a confermare che, in caso di ritardo del lavoratore, il conteggio delle ore sarà effettuato a partire da un quarto d’ora o mezz’ora dopo l’inizio dell’orario, a seconda dell’entità del ritardo. È appena il caso di ricordare la natura esclusivamente amministrativocontabile e non disciplinare delle trattenute salariali18.

    @ART. 2. CONTRAZIONE TEMPORANEA DELL’ORARIO DI LAVORO.

    Ferma restando l’utilizzabilità, in rapporto alle differenti esigenze aziendali, degli strumenti di legge vigenti in materia di Cassa integrazione guadagni e mobilità e di contratti di solidarietà, le parti convengono che a fronte di casi di crisi, ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale che determinino esuberi occupazionali sia opportuno un comportamento che tenda a diminuire, per quanto possibile, le conseguenze sociali di un minore impiego della forza lavoro.

    A tal fine, nell’ambito degli incontri previsti dalle procedure di legge per affrontare le situazioni di cui sopra, le parti esamineranno, nel rispetto delle esigenze tecniche organizzative delle singole imprese, la possibilità di utilizzare in modo collettivo i permessi annui retribuiti di cui all’art. 5, del presente Titolo, ferma restando la particolare disciplina stabilita al secondo comma del paragrafo Permessi annui retribuiti contenuto nello stesso articolo, nonché i residui delle giornate di ferie di cui all’art. 10 del presente Titolo, e la fruizione delle festività cadenti di domenica e, fino al 31 dicembre 2008, di quelle cadenti di sabato per i lavoratori non mensilizzati.

    @Commento di Anna Fenoglio

    Nulla di nuovo è previsto dalla disposizione in esame: fatta salva l’operatività degli ammortizzatori sociali predisposti dal legislatore19, ancora una

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    volta le parti sociali si impegnano – durante la procedura di consultazione sindacale necessaria per poter accedere al trattamento di integrazione salariale o per procedere a licenziamenti collettivi e trasferimenti d’azienda – ad individuare soluzioni alternative che possano ridurre al minimo i disagi per i lavoratori. In caso di crisi, ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale20 si dovrà perciò verificare in via preventiva la possibilità di utilizzare in modo collettivo i permessi annui retribuiti21, i residui delle giornate di ferie e le festività cadenti di domenica22: solo ove tali soluzioni non possano essere adottate si farà ricorso a cassa integrazione, mobilità e contratti di solidarietà.

    @ART. 3. SOSPENSIONE ED INTERRUZIONE DEL LAVORO.

    In caso di interruzioni di lavoro di breve durata, dovute a causa di forza maggiore, nel conteggio della retribuzione non si terrà conto delle interruzioni stesse, quando queste, nella giornata, non superino nel loro complesso i 60 minuti.

    In caso di interruzioni di lavoro che nella giornata superino nel loro complesso i 60 minuti, se l’azienda trattiene il lavoratore nella sede di lavoro questi ha diritto alla corresponsione della retribuzione per tutte le ore di presenza.

    Lo stesso trattamento deve essere usato al lavoratore cottimista quando rimanga inoperoso per ragioni indipendenti dalla sua volontà.

    In caso di sospensione di lavoro che oltrepassi i 15 giorni, salvo eventuale accordo tra le Organizzazioni sindacali periferiche per il prolungamento di tale termine, il lavoratore potrà risolvere il rapporto con diritto a tutte le indennità relative compreso il preavviso, nonché al trattamento di fine rapporto.

    @ART. 4. RECUPERI.

    Fermo restando quanto previsto dal precedente art. 3 è ammesso il recupero a regime normale delle ore di lavoro perdute a causa di forza maggiore o per le interruzioni di lavoro concordate fra le Organizzazioni sindacali periferiche o tra la Direzione e la Rappresentanza sindacale unitaria o anche, per casi individuali, fra le parti interessate, purché il recupero stesso sia contenuto nel limite di un’ora al giorno e si effettui entro i 30 giorni immediatamente successivi a quello in cui è avvenuta l’interruzione.

    contratto di lavoro, Milano, Franco Angeli, 1985; S. Renga, Mercato del lavoro e diritto, Milano, Franco Angeli, 1996; L. Calafà, Contratti di solidarietà, in DDP, Sez. comm., Agg. 2000, Torino, Utet, 2000, 200.

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    @Commento di Anna Fenoglio

    Nel regolamentare la c.d. mora accipiendi – cioè la sospensione dell’attività lavorativa, con il conseguente rifiuto del datore di lavoro di accettare le prestazioni offerte dai dipendenti – l’attuale contratto collettivo ha dettato un’unica disciplina applicabile nei confronti sia degli...

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