Risoluzione del rapporto di lavoro

AutoreMario Giovanni Garofalo - Massimo Roccella
Pagine655-666

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@ART. 1.

PREAVVISO DI LICENZIAMENTO E DI DIMISSIONI.

Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato non può essere risolto da nessuna delle due parti senza un preavviso i cui termini sono stabiliti come segue a seconda dell’anzianità e della categoria professionale cui appartiene il lavoratore.

Anni di servizio 6ª e 7ª categoria professionale

  1. , 5ª categoria professionale

  2. e 3ª categoria professionale

    10 giorni 7 giorni

    3 mesi 2 mesi 20 giorni 15 giorni

    Oltre i 10 anni 4 mesi 2 mesi e 15 giorni

  3. categoria professionale

    Fino a 5 anni 2 mensilità 1,5 mensilità 0,33 mensilità 0,24 mensilità

    e fino a 10

  4. categoria professionale

    Fino a 5 anni 2 mesi 1 mese e 15 giorni

    e fino a 10

    1 mese 20 giorni

    I termini di disdetta decorrono dal giorno del ricevimento dell’atto di dimissioni o di licenziamento e il periodo di preavviso si calcola dal giorno successivo.

    La parte che risolve il rapporto senza l’osservanza dei predetti termini di preavviso deve corrispondere all’altra un’indennità pari all’importo della retribuzione per il periodo di mancato preavviso come di seguito stabilito.

    Anni di servizio

  5. e 7ª categoria professionale

  6. , 5ª categoria professionale

  7. e 3ª categoria professionale

    3 mensilità 2 mensilità 0,67 mensilità 0,5 mensilità

    Oltre i 10 anni 4 mensilità 2,5 mensilità 1 mensilità 0,67 mensilità

    Durante il compimento del periodo di preavviso in caso di licenziamento l’azienda concederà al lavoratore dei permessi per la ricerca di nuova occupazione; la distribuzione

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    e la durata dei permessi stessi saranno stabilite dalla Direzione in rapporto alle esigenze dell’azienda.

    Tanto il licenziamento quanto le dimissioni saranno comunicate per iscritto. L’indennità sostitutiva di preavviso spetta in ogni caso al lavoratore che all’atto del licenziamento si trovi in sospensione.

    @Commento di Anna Fenoglio

    Operante in maniera simmetrica qualunque sia la parte recedente, il preavviso consente alle parti di fruire di un periodo di tempo per affrontare il «fatto “traumatico” della fine del rapporto di lavoro»1, posponendo il momento di produzione degli effetti del licenziamento o delle dimissioni. La funzione essenziale di tale istituto è, infatti, quella di consentire al datore di lavoro di ricercare un sostituto del dipendente dimissionario o di permettere al lavoratore licenziato di disporre del tempo necessario per trovare una nuova occupazione; proprio a tal fine, durante il periodo di preavviso e compatibilmente con le esigenze dell’azienda, al lavoratore possono essere concessi permessi per ricercare un nuovo impiego.

    Nel dettare le modalità con cui il preavviso deve essere fornito, le parti sociali hanno unificato la disciplina prevista nei confronti di operai e impiegati, introducendo qua e là alcune modifiche di rilevo rispetto a quanto pattuito precedentemente. È stato innanzitutto dilatato il termine di preavviso, termine che varia ora anche per gli operai non soltanto in relazione all’anzianità di servizio ma anche a seconda della categoria professionale di appartenenza. È stato inoltre chiarito che il termine di disdetta – in precedenza decorrente nei confronti degli impiegati dalla metà o dalla fine di ciascun mese – comincia a scorrere dal giorno del ricevimento dell’atto di dimissioni o di licenziamento e che il preavviso deve essere computato a partire dal giorno successivo2.

    Non particolarmente rilevante è invece l’innovazione in materia di indennità sostitutiva: la somma dovuta dalla parte recedente che non rispetti il termine di preavviso è stata ora indicata espressamente in una tabella, senza tuttavia introdurre sostanziali variazioni; come imposto dall’art. 2118, comma 2 cod. civ., infatti, l’indennità continua a corrispondere all’importo della retribuzione che sarebbe spettato per il periodo di mancato preavviso.

    Proprio in relazione a tale indennità si è sviluppata in giurisprudenza un’importante querelle, sorta a causa della poca chiarezza del dettato legislativo: dal tenore letterale dell’art. 21183, infatti, non è agevole comprendere se la corresponsione dell’indennità costituisca una vera e propria alternativa –

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    disponibile per la parte recedente – alla concessione del periodo di preavviso. Nettamente prevalente è tuttavia la tesi che attribuisce a quest’ultimo efficacia reale4: costituendo una forma minima di tutela nei confronti della parte (in specie, stando all’ipotesi socialmente di maggior rilievo, del lavoratore) che subisce il recesso5, secondo la giurisprudenza maggioritaria il periodo di preavviso può essere sostituito dal pagamento di una indennità soltanto qualora il lavoratore dichiari espressamente di rinunciare alla prosecuzione del rapporto, non potendosi tuttavia ricavare la volontà del prestatore dalla mera accettazione dell’indennità sostitutiva6. Unica finalità perseguibile dal versamento di tale somma è, dunque, non l’immediata cessazione del rapporto di lavoro (che continua infatti a produrre effetti giuridici fino alla scadenza del preavviso), ma soltanto l’esonero del dipendente licenziato dallo svolgimento di attività lavorative: più che sostituire il preavviso, l’indennità sostituisce perciò lo svolgimento di attività lavorativa durante tale periodo. Non irrilevanti sono le conseguenze pratiche che derivano da tale interpretazione, come ad esempio la sospensione del termine nel caso di insorgenza di una malattia7 o la possibilità che il lavoratore licenziato fruisca di eventuali trattamenti migliorativi introdotti dalla contrattazione collettiva durante il periodo di preavviso.

    Occorre, infine, ricordare come l’obbligo di preavviso – che non opera nel periodo di prova, nel rapporto di lavoro a termine e nei rapporti con clausola di durata minima garantita8 – venga meno in presenza di una giusta causa di licenziamento, «che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto». Qualora la giusta causa sia invocata dal lavoratore, peraltro, il datore di lavoro resterà tenuto a pagare l’indennità di mancato preavviso, che assume in questo caso veste sanzionatoria del comportamento determinante le dimissioni. Incerta è, infine, l’obbligatorietà del preavviso nel caso di licenziamento per raggiunti limiti di età pensionabile: ritenuto superfluo da parte della giurisprudenza9, in altre pronunce il rispetto di tale termine è invece considerato obbligatorio, non integrando il raggiungimento dell’età pensionabile una causa di cessazione automatica del rapporto10.

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    @ART. 2. CONSEGNA DEI DOCUMENTI ALLA CESSAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO.

    Entro il giorno successivo all’effettiva cessazione del rapporto di lavoro l’azienda metterà a disposizione del lavoratore per il ritiro i documenti dovutigli, regolarmente aggiornati, ed il lavoratore rilascerà regolare ricevuta.

    Ferme restando le disposizioni di legge, qualora per circostanze eccezionali indipendenti dalla volontà dell’imprenditore questi non fosse in grado di consegnare i documenti, dovrà rilasciare al lavoratore una dichiarazione scritta che serva di giustificazione al lavoratore stesso per richiedere i documenti necessari per instaurare un eventuale nuovo rapporto di lavoro.

    @ART. 3. CERTIFICATO DI LAVORO.

    Ai sensi dell’art. 2124 del Codice civile l’azienda dovrà rilasciare al lavoratore, all’atto della risoluzione del rapporto di lavoro, qualunque ne sia la causa e sempreché non sia obbligatorio il libretto di lavoro, un certificato con indicazione del tempo durante il quale il lavoratore stesso è stato occupato alle sue dipendenze e delle mansioni da esso esercitate.

    @Commento di Anna Fenoglio

    Le due disposizioni in commento, invariate rispetto a quanto pattuito nei previgenti rinnovi contrattuali, hanno perso gran parte dell’importanza precedentemente loro attribuita: mentre in passato – in un sistema normativo caratterizzato dall’obbligatoria iscrizione alle liste di collocamento di coloro che aspiravano a concludere un contratto di lavoro subordinato11 – la restituzione del libretto di lavoro era requisito indispensabile affinché il prestatore d’opera potesse trovare una nuova occupazione, oggi la consegna dei documenti alla cessazione del rapporto di lavoro non è più essenziale.

    Prima della più recente riforma12, infatti, chi intendeva cercare un nuovo lavoro doveva obbligatoriamente rivolgersi all’ufficio di collocamento presentando il

    1998, 331; Cass., 25 luglio 1994, n. 6901, in NGL, 1994, 772; Cass., 18 dicembre 1993, n. 12558, in MGL, 1994, 60; Cass., 30 luglio 1991, n. 8448, in MGL, 1991, 554; Cass., 20 febbraio 1990, n. 1238, in MGC, 1990, fasc. 2, secondo cui «il raggiungimento da parte del lavoratore dell’età pensionabile non determina, salvo che sussista apposita clausola (cosiddetta di stabilità relativa) che preveda siffatto evento come causa di risoluzione del rapporto, l’automatica estinzione di quest’ultimo, ma comporta soltanto la inapplicabilità ad esso della disciplina limitativa dei licenziamenti individuali ed il riacquisto da parte del datore di lavoro della facoltà di recesso ad nutum ex art. 2118 cod. civ. con obbligo quindi di preavviso o dell’indennità sostitutiva».

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    proprio libretto di lavoro contenente i dati relativi ad eventuali precedenti esperienze lavorative13; all’atto dell’assunzione, inoltre, il libretto doveva essere consegnato al nuovo datore di lavoro, che lo conservava fino al termine del rapporto14. Soltanto nei pochi casi in cui la legge escludeva l’obbligatorietà del libretto, la...

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