I destinatari della legge

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CAPITOLO QUINTO
I DESTINATARI DELLA LEGGE
1. Le organizzazioni sindacali
I sindacati dei lavoratori dipendenti sono gli attori principali della legge sullo
sciopero, vere e proprie star del complesso sistema introdotto dalla
L.146/1990.
Dopo avere a lungo vagheggiato la gestione del conitto nei servizi essen-
ziali solo in termini di autoregolamentazione, le organizzazioni sindacali più
responsabili, come abbiamo visto, si sono alne convinte dell’esigenza di una
legge. E dopo avere vagheggiato che gli astratti precetti della legge potessero
essere tradotti in pratica solo attraverso accordi con le controparti datoriali,
hanno inne preso atto dei limiti dell’autonomia collettiva e accettato la possi-
bilità di regolamentazioni eteronome.
Malgrado gli evidenti limiti che questo sofferto percorso denota, alle orga-
nizzazioni sindacali confederali deve essere riconosciuto il grande merito di
avere in qualche modo ispirato la L.146/1990, i cui istituti fondamentali (preav-
viso, prestazioni indispensabili, etc.) sono tutti mutuati da accordi sindacali; e lo
stesso può dirsi per la L.83/2000, le cui più importanti previsioni (ad esempio,
in tema di rarefazione tra scioperi) riettono il contenuto di precedenti accordi.
Il carattere di legge “contrattata” con i sindacati della L.146 è evidente nella
sua stessa architettura, strutturata su una nozione di sciopero quale astensione
dal lavoro ritualmente “proclamata” da una “organizzazione” sindacale, con
conseguente ruolo assolutamente essenziale attribuito alle organizzazioni dei la-
voratori nella gestione del conitto.
In proposito, basti pensare che:
- le modalità di erogazione delle prestazioni indispensabili devono essere di
norma denite dalle organizzazioni sindacali in accordi o contratti collettivi
(art.2., co.2);
- anche nel varare eventuali regolamentazioni provvisorie, la Commissione di
garanzia “deve tener conto delle previsioni degli atti di autoregolamenta-
zione … nonché degli accordi sottoscritti … dalle organizzazioni sindacali
154 Lo sciopero nei servizi essenziali
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” (art.13, co.1.,
lett.a);
- il procedimento sanzionatorio ruota intorno alle “organizzazioni dei lavora-
tori”, e solo l’eventuale “comportamento negativo” delle stesse legittima
l’irrogazione di sanzioni collettive o individuali (art.4).
Questa assoluta centralità dei sindacati nell’impianto della legge, o meglio,
l’“indispensabilità” loro riconosciuta per il corretto funzionamento dei meccani-
smi legali, comporta peraltro alcuni riessi negativi. Il più vistoso è senz’altro
quello, ampiamente denunciato nel precedente capitolo, di non consentire seri
interventi dissuasivi sui cosiddetti “scioperi spontanei”, vale a dire quelli non
“proclamati” da alcuna “organizzazione sindacale”, e che, come tali, sembrano
non essere stati considerati dal legislatore. Ugualmente, il legislatore sembra
non aver preso in considerazione tutti quei fenomeni che le organizzazioni sin-
dacali più rappresentative continuano a ritenere non regolabili attraverso mecca-
nismi legislativi, quale ad esempio lo sciopero generale.
Il punto è che i sindacati confederali pretendono di essere non solo i padri
ispiratori, ma anche gli integerrimi custodi di una sorta di ortodossia ermeneu-
tica della L.146/1990, così rendendo problematico ogni adeguamento per via
interpretativa delle norme da parte della Commissione di garanzia.
Un esempio lo si è avuto proprio a proposito dello sciopero generale, allor-
ché le organizzazioni sindacali confederali riutarono qualsiasi ipotesi di deni-
zione del fenomeno da parte della Commissione di garanzia, salvo accorgersi
dopo il varo della disciplina speciale che proprio la mancata denizione dello
sciopero generale rende la stessa fruibile anche da piccole organizzazioni che di
“confederale” hanno solo il nome (e a volte neppure quello), le cui proclama-
zioni “fantasma” tendono spesso solo a impedire l’effettuazione di veri scioperi
generali.
Ma il problema forse maggiore è di ordine per così dire “psicologico”, vale
a dire una sorta di pretesa delle organizzazioni sindacali confederali comparati-
vamente più rappresentative (per intenderci, CGIL, CISL e UIL) di essere con-
siderate – in quanto ispiratrici – “destinatarie privilegiate” delle disposizioni
della L.146/1990, quasi che la legge non avesse inevitabilmente ssato norme
astratte uguali per tutti, ma ne consentisse un’applicazione differenziata in rela-
zione ai “quarti di nobiltà” dei diversi sindacati.
Così, non è raro assistere a vibrate proteste dei sindacati confederali allorché
le stringenti regole della rarefazione oggettiva portano la Commissione di garan-
zia a eccepire su scioperi da essi proclamati successivamente a proclamazioni di
piccole organizzazioni autonome, che inevitabilmente trovano la precedenza in
base al criterio temporale di cui si è detto al capitolo terzo.
In realtà, quel che i sindacati confederali mostrano di non voler accettare –
forse perché culturalmente prigionieri di un passato pur da tempo passato – è
l’assetto attuale delle relazioni sindacali nel nostro Paese, che vede, accanto alle
organizzazioni “storiche”, la proliferazione non solo di organizzazioni di me-
stiere e di sindacati “di base”, ma anche di vere e proprie piccole confederazioni

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