Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali nel secolo del socialismo

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1. Dallo Stato liberale, al fascismo, alla democrazia
“Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”: è
questa la sintetica formula adottata nell’art.40 della Costituzione.
Come ben noto, il dibattito tra i costituenti sul diritto di sciopero fu assai
vivace e contrastato, specie sul tema specico dell’astensione dal lavoro degli
addetti a servizi di interesse generale (all’epoca, essenzialmente dipendenti pub-
blici).
La questione, del resto, non era nuova.
Il codice penale Zanardelli del 1889 (entrato in vigore il 1° gennaio 1890),
prevedeva una pena – peraltro meramente pecuniaria – per “i pubblici ufciali
che in numero di tre o più, e previo concerto, abbandonano indebitamente il
proprio ufcio”. Quanto allo sciopero in generale, invece, il codice Zanardelli
ne prevedeva la punibilità solo ove posto in essere “con violenza o minaccia”.
Si trattava, come si vede, di norme sostanzialmente liberali per i canoni
dell’epoca, pur se la loro ispirazione venne nei fatti contraddetta da interpreta-
zioni fortemente estensive delle autorità giudiziaria e di pubblica sicurezza
(quando non direttamente dagli interventi dell’Esercito).
In ogni caso, già all’epoca vigeva una rilevante differenza tra lo sciopero dei
“pubblici ufciali” (sostanzialmente i pubblici impiegati), vietato, e quello dei
lavoratori del settore privato, libero laddove attuato pacicamente. Il che, non
era il portato di concezioni puramente conservatrici.
Già nei primi anni del secolo scorso, infatti, persino autorevoli esponenti dei
partiti operai avevano espresso forti dubbi sulla legittimità dello sciopero nei
servizi pubblici essenziali, considerato che “i servizi pubblici non ammettono
interruzione senza recare grave danno alla collettività”6.
6 v. l’ordine del giorno approvato dal congresso del Partito Socialista tenutosi a Milano nel
1910, ma anche le posizioni assunte da Bonomi e Turati nel 1902-1903 – il tutto, riportato in
Curzio, Autonomia collettiva e sciopero nei servizi essenziali, Bari, 1992, p. 14, nota 4.
CAPITOLO PRIMO
LO SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI
ESSENZIALI NEL SECOLO
DEL SOCIALISMO
32 Lo sciopero nei servizi essenziali
Sin dagli albori del movimento sindacale, insomma, era stato avvertito il
contrasto tra il diritto di sciopero dei lavoratori delle aziende pubbliche e i diritti
dei cittadini che fruiscono dei servizi erogati da quelle aziende.
Per la verità, nelle riessioni di quanti ritenevano “da sinistra” che lo scio-
pero degli addetti a pubblici servizi fosse incompatibile con la funzione degli
stessi, pesava essenzialmente, all’epoca, un’ipoteca di carattere ideologico: se lo
Stato è dei lavoratori (o comunque dei lavoratori deve diventare), come possono
i dipendenti pubblici scioperare contro lo Stato, cioè contro sé stessi? Più in
generale, no a quando la classe operaia è stata intesa come “classe generale”,
nonché soggetto assolutamente unitario, lo sciopero nei servizi pubblici, col-
pendo essenzialmente i lavoratori fruitori di quei servizi, è apparso una contrad-
dizione (Mao-tze-tung avrebbe parlato di “contraddizioni in seno al popolo”).
Non era tanto il contrasto tra diritti soggettivi del cittadino a venire in rilievo,
insomma; quanto, piuttosto, la dimensione “di classe” dello sciopero, che come
tale non poteva tradursi in un danno per la stessa classe lavoratrice che quello
sciopero aveva proclamato.
La questione fu risolta in radice dal fascismo.
Inizialmente, con la legge n.563 del 1926, che considerava reato contro il
normale funzionamento della pubblica amministrazione lo sciopero non solo dei
pubblici dipendenti, ma anche di tutti coloro che concorrevano all’erogazione di
servizi di pubblica necessità, inasprendo le sanzioni previste dal codice Zanar-
delli.
Successivamente, le norme del codice penale Rocco provvidero a omologare
l’astensione dal lavoro nei servizi pubblici a quella nel settore privato: aboli-
zione del diritto di sciopero per tutti i lavoratori, e buonanotte!
Senonchè, abbattuto il fascismo e ripristinate le libertà sindacali, lo specico
problema dello sciopero nei servizi pubblici tornò inevitabilmente a riproporsi,
addirittura mentre ancora infuriava la guerra.
Il primo statuto della CGIL unitaria (anteriore, dunque, alla scissione della
componente cattolica che avrebbe dato vita alla CISL), approvato al congresso
di Napoli del 28-31 gennaio 1945, così recitava: “Lo sciopero dei servizi pub-
blici è sconsigliabile, essendo un mezzo di lotta che – quale ne sia lo scopo –
determina danni e disagi gravi alla collettività, compresi gli stessi lavoratori. Vi
si può ricorrere solamente in casi eccezionali e maturamente vagliati. Perciò,
nessuna organizzazione di addetti a servizi pubblici può proclamare lo sciopero
– se questo deve avere la conseguenza di far cessare il servizio per il pubblico
– senza l’autorizzazione preventiva del Comitato della rispettiva Federazione
Nazionale e del Consiglio Direttivo della CGIL”.
Se queste erano le posizioni del sindacato dei lavoratori, non devono allora
meravigliare i contrasti che, sul tema dello sciopero nei servizi pubblici, si svi-
lupparono nell’Assemblea Costituente.
La composizione venne alne trovata nel sintetico testo nale dell’art.40 (te-
sto scarno proprio per tenere insieme le diverse posizioni), in cui si riconosce
pienamente il diritto di sciopero per tutti i lavoratori, ma si rimette al legislatore

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